Sanzione disciplinare per l’avvocato: possibile il ricorso alle Sezioni Unite avverso la decisione del CNF

L’illecito deontologico dell’avvocato è considerato rientrante nella materia civile e, di conseguenza, il giudice deputato a valutare la correttezza delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense dal punto di vista della legittimità e coerenza con il sistema normativo nazionale è la Cassazione a Sezioni Unite Civili.

Sul tema le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n. 412/20, depositata il 14 gennaio Il caso. Una controversia tra due società sfociava nel deposito da parte di una delle stesse di un ricorso ex art. 633 c.p.c. volto ad ottenere il pagamento di un debito pregresso. Tale decreto ingiuntivo veniva poi opposto dalla convenuta, la quale notificava atto di citazione in opposizione al decreto ingiuntivo e provvedeva ad iscrivere a ruolo il processo. L’iscrizione a ruolo era tuttavia affetta da un errore materiale la società che aveva provveduto alla materiale iscrizione era un’altra e diversa dall’attrice opponente. Al di là di quanto scritto nell’iscrizione a ruolo, tuttavia, l’errore era facilmente riconoscibile sia dall’intestazione che dal testo dell’atto ex art. 645 c.p.c. il quale riportava la corretta intestazione dell’attrice. Il legale della società convenuta opposta, però, depositava al giudice de quo istanza di concessione della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo opposto, rappresentando in modo non preciso i fatti del processo e ottenendo così il relativo provvedimento di esecutività. Tale attività veniva immediatamente attenzionata dal Consiglio Distrettuale di Disciplina che valutava la commissione di un illecito da parte del legale e irrogava la pena della sospensione dall’esercizio della professione per la durata di due mesi. Il legale condannato proponeva quindi ricorso in sede di Cassazione, affermando la sussistenza di un conflitto tra la giurisdizione del Consiglio Nazionale Forense e il Tribunale de quo e domandando per la risoluzione di tale conflitto l’applicazione dei principi del codice di procedura penale. Gli addebiti deontologici mossi al legale condannato. In conseguenza delle condotte tenute dal legale, il Consiglio Nazionale Forense aveva irrogato la seria sanzione della sospensione dall’esercizio della professione. In particolare l’accusa concerneva la violazione degli articoli 19 e 50 del Codice Deontologico Forense. La prima norma citata afferma che l'avvocato deve mantenere nei confronti dei colleghi e delle istituzioni forensi un comportamento ispirato a correttezza e lealtà , mentre la seconda – più specificamente – elenca alcuni doveri dell’avvocato tra i quali L'avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova, o documenti che sappia essere falsi 2. L'avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova, o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi e l’avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull’esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato . A detta del Consiglio Nazionale Forense, quindi, il comportamento del difensore della convenuta opposta aveva violato sia i doveri di lealtà verso il collega che patrocinava l’attrice opponente, sia quelli generali di probità, per avere ottenuto il provvedimento di provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto sulla base di una premessa non genuina. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite dichiara l’inammissibilità del ricorso depositato. La sentenza oggi in commento dichiarava l’inammissibilità del ricorso proposto dal legale condannato dal Consiglio Nazionale Forense. Egli, difatti, aveva paventato nel ricorso un conflitto di competenza e/o giurisdizione tra il Consiglio Nazionale Forense, che aveva irrogato la sanzione deontologica e il tribunale dell’opposizione a decreto ingiuntivo. Inoltre, dal punto di vista della procedura, aveva richiesto l’applicazione delle regole del codice di procedura penale. In particolare, il ricorso introduttivo del giudizio di legittimità era stato titolato ricorso per Cassazione ex art. 28 lett. a Cpp . Tale norma afferma che Vi è conflitto quando in qualsiasi stato e grado del processo a uno o più giudici ordinari e uno o più giudici speciali contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona b due o più giudici ordinari contemporaneamente prendono o ricusano di prendere cognizione del medesimo fatto attribuito alla stessa persona. 2. Le norme sui conflitti si applicano anche nei casi analoghi a quelli previsti dal comma 1. Tuttavia, qualora il contrasto sia tra giudice dell'udienza preliminare e giudice del dibattimento, prevale la decisione di quest'ultimo. 3. Nel corso delle indagini preliminari, non può essere proposto conflitto positivo fondato su ragioni di competenza per territorio determinata dalla connessione . Con la sentenza in commento la Cassazione specificava l’infondatezza delle argomentazioni del ricorrente. Trattandosi il ricorso di materia prettamente civile, difatti, esso era stato correttamente indirizzato alla Cassazione a Sezioni Unite Civili. Gli illeciti deontologici, difatti, sono considerati materia civile e – in ragione di ciò – il giudice deputato a valutarne la correttezza delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense dal punto di vista della legittimità e coerenza con il sistema normativo nazionale è solo la Cassazione a Sezioni Unite Civili. Nel decidere, poi, essa dovrà applicare i principi del Codice Deontologico Forense e, in via residuale, le norme e principi dell’ordinamento civile. Mai, a meno di un esplicito richiamo, all’interno di una procedura per un illecito deontologico si potranno applicare le norme del Codice di Procedura Penale. Dello stesso tenore un precedente arresto della Cassazione a Sezioni Unite Civili che aveva affermato che il ricorso alle Sezioni unite della Corte di Cassazione, avverso le decisioni in materia disciplinare del consiglio nazionale forense, è soggetto, in difetto di espressa previsione contraria ai principi generali del codice del rito civile Cass. SS. UU 2176/81 . In conclusione il ricorso veniva dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al rimborso delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 maggio 2019 – 14 gennaio 2020, n. 412 Presidente Tirelli – Relatore Frasca Fatti di causa 1. Con decreto ingiuntivo del marzo 2015 il Tribunale di Milano ingiungeva alla COES COMPANY s.r.l. ed alla SERI S.p.a., il pagamento della somma di Euro 1.623.071,15, oltre interessi e spese in favore di COES S.p.a., in liquidazione ed in concordato preventivo, rappresentata dall’avv. S.S. . Le società ingiunte proponevano separate opposizioni avverso i decreto ingiuntivo, ma entrambe le cause venivano iscritte a ruolo da SE.R.I. S.p.a., assumendo i numeri di ruolo 29120/15 e 29121/15 R.G. e venendo assegnate a distinti magistrati, con prima udienza fissata rispettivamente il 3 dicembre 2015 ed il 19 gennaio 20.16. L’Avvocato S. , nell’interesse dell’opposta COES S.p.a. si costituiva in entrambi i giudizi, depositando comparsa di risposta. Successivamente accadeva che, dopo il rigetto nell’ambito dei giudizio n. 29120/15 della richiesta di concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo con provvedimento dell’11 febbraio 2016, a seguito della rimessione al Presidente del Tribunale del fascicolo dell’altro giudizio nella prima udienza del 19 gennaio 2016, di esso fosse disposta l’assegnazione al giudice del giudizio n. 29120/15, il quale, successivamente alla riunione dei giudizi disposta all’udienza del 28 aprile 2016 e ad un rinvio per la discussione sulla provvisoria esecutività, all’udienza del 1 giugno 2016 si riservava sulla richiesta di concessione della provvisoria esecuzione del decreto emesso contro la COES COMPANY relativa al giudizio n. 29121/15 e la negava con ordinanza riservata dell’8 settembre 2016. L’Avvocato S. , con riferimento al detto decreto lo stesso 1 giugno 2016 presentava in via telematica istanza al giudice del Tribunale di Milano che aveva emesso il decreto ingiuntivo contro la COES COMPANY istanza di declaratoria dell’esecutività del decreto ai sensi dell’art. 647 c.p.c., adducendo che l’opposizione da essa proposta non era stata iscritta a ruolo dalla medesima. L’istanza veniva accolta con decreto del 30 giugno 2016. 2. Frattanto, a seguito di esposto del 24 maggio 2016, presentato dall’Avvocato Carlo Grillo, difensore della COES COMPANY il Consiglio Distrettuale di Disciplina presso la Corte d’Appello di Milano avvia procedimento disciplinare a carico dell’Avvocato S. imputandogli la seguente incolpazione Violazione dell’art. 19 e art. 50, nn. 5 e 6 ncdf perché, quale difensore della società COES SPA in liquidazione ed in concordato preventivo, richiedeva in data 1 giugno 2016 ed otteneva in data 30 giugno 2016 dal tribunale di Milano - nella persona del giudice Dott. Sc. - la concessione della provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo n. 7580/2015 nei confronti dell’ingiunta COES COMPANY srl omettendo di rappresentare la pendenza del procedimento di opposizione R.G. 29120/15 Dott. M. promosso da Coes Company srl . Il procedimento, iscritto al n. 1047/2016, sfociava nella decisione del 13 marzo 2018, con la quale il COA, sul presupposto che al Magistrato al quale era stata inoltrata la richiesta ex art. 647 c.p.c., non fosse stata fornita dal S. una corretta rappresentazione della vicenda processuale e che tale condotta lo avesse tratto in errore inducendolo ad emettere il provvedimento richiesto, e - considerando inoltre che l’iscrizione a ruolo riferita alla SE.R.I. anziché alla COES COMPANY avesse determinato un mero errore materiale in ordine al nome dell’attore nella iscrizione a ruolo e non una nullità processuale, essendo agevolmente riconoscibile e non idoneo ad indurre la parte destinataria della notifica dell’atto di citazione in errore nell’individuazione di quale fosse la causa iscritta a ruolo - rilevata la responsabilità disciplinare dell’Avvocato S. e gli infliggeva la sospensione di due mesi dell’esercizio della professione per violazione dell’art. 19 e art. 50, comma 5 del Codice Deontologico Forense. 3. L’Avvocato S. ha depositato presso questa Corte un atto datato 20 aprile 2018, recante la seguente duplice espressa indicazione come oggetto - Ricorso per Cassazione ex art. 28 c.p.p., lett. a , per denuncia di conflitto fra il Consiglio Distrettuale di Disciplina, il Consiglio Nazionale Forense quali giudici speciali nell’attuale procedimento 1047/2016 ed il Tribunale di Milano Sez. XII civile G.I. Dott. M.C. giudice naturale ordinario nel procedimento N. 29120/2015 RG - Ricorso ex art. 33 Reg. 21 febbraio 2014, n. 2, nonché L.P. n. 247 del 2012, art. 61, avverso la decisione della sezione del Consiglio Distrettuale di Disciplina presso la Corte d’Appello di Milano che in data 22 febbraio 2018 infliggeva all’Avv. S.S. la sanzione della sospensione per violazione dell’art. 19 e art. 50, comma 5 del Codice deontologico Forense . Successivamente a tale indicazione dell’oggetto, l’atto si qualifica come ricorso per cassazione quanto all’indicata enunciazione del conflitto e di impugnazione diretta al Consiglio Nazionale Forense quanto all’indicato ricorso contro la decisione del COA. Nelle conclusioni successive all’illustrazione l’atto chiede a alla Corte di Cassazione la risoluzione del conflitto con rimessione al giudice ordinario del Tribunale di Milano, unico giudice naturale, per altro già investito del problema, a giudicare sulla materia con conseguente cassazione del provvedimento impugnato b a Consiglio Nazionale Forense la riforma del provvedimento ricorso con la formula non luogo a procedere per insussistenza del fatto . 4. La trattazione dell’incombente è stata fissata all’odierna udienza davanti alle Sezioni Unite, attesa l’inerenza alla materia disciplinare forense. 5. In vista dell’udienza il Procuratore Generale presso la Corte ha depositato conclusioni scritte, nelle quali ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso ed ha reiterato tale richiesta nella pubblica udienza, nella quale è comparso anche il difensore del ricorrente. Ragioni della decisione 1. In via preliminare rilevano le Sezioni Unite che l’atto indirizzato a questa Corte si deve individuare - non diversamente da quel che ha rilevato il P.G. - soltanto nel ricorso per conflitto ai sensi dell’invocata norma del Codice di Procedura Penale, essendo invece il ricorso contro la decisione del COA indirizzato al Consiglio Nazionale Forense e come tale non rivolto alla Corte. 2. Il ricorso per conflitto è stato depositato come ricorso in materia civile e, quindi, deve ritenersi indirizzato alla Sezioni Unite Civili, stante l’inerenza alla materia disciplinare forense. L’evocazione della norma del processo penale, come paradigma normativo del preteso conflitto appare priva di fondamento normativo. E ciò ancorché la giurisprudenza di questa Corte in sede penale interpreti quel paradigma nel senso che È configurabile, sub specie di caso analogo, conflitto di competenza tra giudice civile e giudice penale, se e in quanto si determini una situazione di stasi processuale eliminabile solo con l’intervento della Corte regolatrice Cass. Pen., n. 19547 del 2004 ed abbia di recente affermato che Il giudice penale che, dopo avere declinato la competenza a favore del giudice civile, si veda restituiti da quest’ultimo gli atti sul presupposto che la competenza spetti al giudice penale, ha l’obbligo di trasmettere gli atti alla Corte di cassazione per la decisione del conflitto, vertendosi in una delle ipotesi di cui all’art. 28 c.p.p., comma 2 In applicazione del principio, la Corte ha dichiarato abnorme l’ordinanza del giudice dell’esecuzione penale che aveva dichiarato non luogo a provvedere sulla richiesta della parte di sollevare conflitto Cass. Pen. n. 31843 del 2019 in altra decisione è stato affermato che Il conflitto negativo improprio di competenza insorto tra il giudice di pace, procedente nella causa civile di opposizione all’ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria irrogata in relazione ad un’infrazione amministrativa, e il giudice penale, procedente per il delitto ascritto ad uno dei due attori opponenti in sede civile, deve essere risolto con l’affermazione della competenza del giudice di pace qualora non emerga alcun profilo di connessione ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 24 Cass. Pen., n. 5603 del 2008 . La norma dell’art. 28 c.p.p., pur così interpretata, suppone che la materia del conflitto venga in rilievo dinanzi ai giudice penale e difetta manifestamente tale presupposto. D’altro canto, l’intervento delle Sezioni Unite in ambito disciplinare forense è previsto dalla norma del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3 tuttora in vigore come riconosciuto dal D.Lgs. n. 179 del 2009, art. 1, comma 1 e ribadito dalla L. n. 247 del 2012, art. 36, comma 6, certamente come espressione della sua giurisdizione civile, tanto che è risalente la giurisprudenza di queste Sezioni Unite secondo cui Il ricorso alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione, avverso le decisioni in materia disciplinare del consiglio nazionale forense, e soggetto, in difetto di espressa previsione contraria, ai principi generali del codice del rito civile si veda già Cass., Sez. Un., n. 2176 del 1981 di seguito Cass., Sez. Un. nn. 1105 del 1983 n. 2645 del 1987 n. 2434 del 1997 n. 21272 del 2010 n. 13797 del 2012 . Inoltre, è pacifico che Nel procedimento disciplinare a carico degli avvocati trovano applicazione, quanto alla procedura, le norme particolari che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale e, in mancanza, quelle del codice di procedura civile, mentre le norme del codice di procedura penale si applicano soltanto nelle ipotesi in cui la legge professionale vi faccia espresso rinvio, ovvero allorché sorga la necessità di applicare istituti che hanno il loro regolamento esclusivamente nel codice di procedura penale Cass., Sez. Un., nn. 20773 del 2010 e 10692 del 2010 . Deve, pertanto, rilevarsi che resta incomprensibile la prospettazione a questa Corte di un conflitto ai sensi dell’art. 28 c.p.p. e ciò ancorché dell’art. 29 c.p.p., comma 2, legittimi a proporlo la parte privata. 3. Mette conto di rilevare, per ragioni di completezza ed ancorché una simile qualificazione manchi nel ricorso su cui si decide, che nemmeno gioverebbe all’ammissibilità del ricorso, l’esercizio del potere di qualificazione in iure d’ufficio dell’impugnazione proposta e, dunque, una riconduzione alla norma che disciplina i conflitti di giurisdizione e, particolarmente, i conflitti positivi di cui all’art. 362 c.p.c., comma 2, n. 2 la ragione è di tutta evidenza e si rinviene nella circostanza che un simile conflitto suppone l’esistenza di due decisioni confliggenti e nella specie non solo nel procedimento per decreto ingiuntivo manca una decisione, nel senso di decisione impugnabile, ma nel procedimento disciplinare essa manca a maggior ragione, atteso che la decisione emessa dal COA ha natura amministrativa, cioè rappresenta un provvedimento amministrativo, sebbene di natura giustiziale, attesa la materia su cui interviene, quella disciplinare, e, dunque, non costituisce una decisione di natura giurisdizionale. E, peraltro, essa ha il suo mezzo di impugnazione in sede giurisdizionale nel ricorso al CNF ai sensi della L. n. 247 del 2012, art. 61. 4. Il ricorso, per la parte che è rivolta a questa Corte, deve, pertanto, ritenersi inammissibile. 5. Il tenore della presente pronuncia impone, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, di dare atto che ricorrono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo pari al contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1-bis, se dovuto. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1, dà atto che, per il tenore della presente pronuncia, ricorrono le condizioni per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo pari al contributo unificato, di cui all’art. 13, comma 1-bis, se dovuto.