Onorari dell’avvocato: l’eventuale mutamento di rito deve essere comunicato dal giudice entro la prima udienza

La Corte di Cassazione con la sentenza 186/20, depositata il 9 gennaio, è chiamata a decidere in merito alla legittimità di una procedura relativa al mancato pagamento degli onorari di un avvocato.

Il caso. Il processo di merito principiava allorché un legale, che riteneva di avere un credito avverso alcuni clienti, promuoveva un giudizio mediante il deposito di un ricorso ex art. 633 c.p.c. I clienti, ritenendo il credito inesistente, impugnavano il suddetto decreto ingiuntivo con atto di citazione sollevando svariate eccezioni di merito e – in merito al rito – affermando l’incompetenza territoriale del giudice adito. Secondo gli attori opponenti, difatti, il processo de quo avrebbe dovuto essere istaurato dall’avvocato presso il tribunale del circondario ove questi erano residenti, essendo applicabile alle controversie tra avvocato e clienti c.d. foro del consumatore. Ai sensi e per gli effetti dell’art. 66 bis del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206 c.d. Codice del Consumo Per le controversie civili inerenti all'applicazione delle Sezioni da I a IV del presente capo la competenza territoriale inderogabile è del giudice del luogo di residenza o di domicilio del consumatore, se ubicati nel territorio dello Stato”. Nel corso del giudizio, poi, il tribunale aveva emesso ordinanza ex art. 702- bis c.p.c. ritenendo come il giudizio dovesse essere deciso con le forme del rito sommario e citando a sostegno l’art. 14 del d.lgs. 150 del 2011. Il processo, quindi, terminava con ordinanza con la quale il tribunale, pur ritenendosi competente relativamente alla procedura di opposizione all’esecuzione, dichiarava come sarebbe stato giusto tribunale competente per il processo monitorio quello relativo al foro del consumatore. Concludeva, poi, il tribunale, riducendo gli onorari dovuti all’avvocato convenuto opposto in ragione del mero riconoscimento dell’attività stragiudiziale posta in essere in favore degli attori opponenti. Il ricorso in cassazione. Avverso tale provvedimento il soccombente ricorreva in sede di Cassazione con ricorso con il quale affermava la violazione da parte del tribunale delle norme relative al corretto svolgimento dei processi civili. In prima battuta, infatti, il ricorrente specificava come l’ordinanza impugnata avesse violato i principi del giusto processo e del contraddittorio, stante il fatto che il procedimento si era svolto tutto con le forme del rito ordinario e solo a seguito dell’udienza di precisazione delle conclusioni il rito era stato convertito in un procedimento sommario, senza peraltro consentire alle parti alcuna successiva attività processuale. Non solo la decisione sul mutamento di rito sarebbe stata unicamente comunicata alle parti, senza peraltro consentire loro di discuterne in udienza o depositare alcuna osservazione scritta. Il Tribunale, quindi, con questa decisione, aveva deciso la causa secondo il rito del procedimento sommario e aveva emesso ordinanza ai sensi dell’art. 702- bis c.p.c. in composizione collegiale, violando così i diritti della parte. Tale provvedimento, difatti, era meramente ricorribile in Cassazione, laddove una sentenza ordinaria sarebbe stata impugnabile anche con un appello. Il secondo motivo di ricorso, invece, denunciava la nullità del provvedimento impugnato per la violazione dell’art. 4 d.lgs. 150 del 2011. Tale norma, in particolare ai primi due commi, affermava che Quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza. L'ordinanza prevista dal comma 1 viene pronunciata dal giudice, anche d'ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti”. La corte di cassazione accoglie il ricorso del legale soccombente. Con la decisione in commento, Cass. Sez. II, 9 gennaio 2020, n. 186, la Corte accoglieva il ricorso limitatamente alle doglianze sopra tratteggiate. Il ricorso, in effetti, era fondato su ben sei motivi, ma l’accoglimento dei primi due comportava l’assorbimento dei restanti. Per quanto riguarda i primi due motivi, la Suprema Corte riconosceva come il tribunale avesse effettivamente errato nel disporre la mutazione del rito, da ordinario a sommario, ben oltre i termini previsti dall’art. 4 d.lgs. 150/2011. Il processo, infatti, era stato radicato nella sua fase monitoria mediante il deposito del ricorso ex art. 633 c.p.c. nel foro di un tribunale non competente. L’opposizione, introdotta con atto di citazione e non con ricorso, aveva di fatto contestato questa competenza territoriale, identificando il foro del consumatore come quello competente. Il Tribunale, ove avesse ritenuto corretto decidere a seguito di procedimento sommario, avrebbe dovuto disporre la mutazione entro e non oltre la prima udienza. Il mancato mutamento di rito a seguito della prima udienza avrebbe dovuto comportare una decadenza da tale facoltà e, conseguentemente, il processo avrebbe dovuto concludersi seguendo il rito ordinario. La mutazione di rito a seguito dell’udienza di precisazione delle conclusioni non aveva consentito alle parti una corretta difesa, violando i loro diritti al giusto processo previsti dall’art. 111 della Costituzione. Per queste ragioni la Corte di Cassazione cassava l’ordinanza impugnata e disponeva il rinvio del processo al primo giudice adito non quello relativo al foro del consumatore e indicato dall’eccezione contenuta nell’atto di citazione in opposizione per un nuovo giudizio di merito.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 marzo 2019 – 9 gennaio 2020, n. 186 Presidente San Giorgio – Relatore Giannaccari Fatti di causa Il processo trae origine dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo proposto da R.M. , D. e S. e Z.A. nei confronti dell’Avv. L.S. , in favore del quale il Presidente del Tribunale di Velletri aveva ingiunto il pagamento delle competenze professionali. Gli opponenti, asserendo che fosse applicabile il foro del consumatore, eccepivano l’incompetenza territoriale del Tribunale di Velletri in favore del Tribunale di Latina, nel cui circondario avevano la residenza nel merito contestavano l’infondatezza della pretesa del L. e chiedevano la revoca del decreto ingiuntivo. Il Giudice Istruttore, con ordinanza del 21.05.2014, emessa in corso di causa, rigettava l’eccezione di incompetenza territoriale. Successivamente, il Tribunale di Velletri decideva la causa in composizione collegiale, emettendo ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., ritenendo che, nonostante il giudizio fosse stato introdotto nelle forme del rito ordinario, era applicabile il rito sommario, perché richiamato espressamente dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, ratione temporis applicabile, per le cause aventi ad oggetto le prestazioni professionali degli avvocati. Il Tribunale revocava l’ordinanza del 21.05.2014, con cui era stata rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Velletri, ritenendo che fosse competente il Tribunale di Latina, quale foro del consumatore tuttavia affermava la competenza del tribunale adito, quale giudice dell’opposizione al decreto ingiuntivo rideterminava, quindi, il compenso dovuto all’Avv. L. , al quale riconosceva esclusivamente le prestazioni per l’attività stragiudiziale prestata in favore dei propri clienti. Per la cassazione di detta ordinanza, ha proposto ricorso l’Avv. L. sulla base di sei motivi. R.M. , S. , D. e Z.A. sono rimasti intimati. In prossimità dell’udienza, il ricorrente ha depositato memoria difensiva. Ragioni della decisione Con il primo motivo di ricorso, si deduce la nullità dell’ordinanza per violazione e falsa applicazione degli artt. 101, 134, 176, 187, 188 e 189 c.p.c., per violazione dei principi del giusto processo e del contraddittorio ex art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 afferma il ricorrente che, siccome il processo si era svolto nelle forme del rito ordinario fino al momento della precisazione delle conclusioni, l’ordinanza di mutamento del rito avrebbe dovuto essere comunicata alle parti invitandole a precisare nuovamente le conclusioni. Il Tribunale, decidendo la causa secondo le forme del rito sommario, con ordinanza ex art. 702 bis c.p.c. in composizione collegiale, avrebbe violato il principio del contraddittorio ed il diritto di difesa, in quanto, la decisione assunta nella forma di ordinanza sarebbe ricorribile per cassazione, mentre la sentenza sarebbe impugnabile con l’appello. La decisione relativa all’applicabilità del rito sommario, anziché del rito ordinario, sarebbe stata, inoltre, assunta d’ufficio, senza assegnare alle parti il termine di legge per interloquire sulla questione. Con il secondo motivo di ricorso, si denuncia la nullità dell’ordinanza per violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, comma 1 e 2, e art. 14, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, poiché l’ordinanza di mutamento del rito sarebbe stata pronunciata dopo la precisazione delle conclusioni, quando la causa era riservata per la decisione, e non entro la prima udienza di comparizione delle parti. Inoltre, sarebbe stato violato l’art. 50 quater c.p.c., sulla ripartizione delle competenze tra giudice collegiale e giudice monocratico, in quanto la causa era stata decisa dal collegio e non dal giudice monocratico quando era ormai precluso il mutamento del rito. I motivi, da trattare congiuntamente per la loro connessione, sono fondati. Il D.Lgs. n. 150 del 2011, applicabile alle cause relative agli onorari degli avvocati, prevede che quando una controversia viene promossa in forme diverse da quelle previste dal presente decreto, il giudice dispone il mutamento del rito con ordinanza . Il comma 2 dell’art. 4 dispone che l’ordinanza di mutamento del rito viene pronunciata dal giudice, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti. È evidente dalla lettura del testo normativo che il legislatore abbia previsto un rigido sbarramento per il mutamento del rito, attraverso la fissazione di un termine perentorio coincidente con la prima udienza. Il mutamento del rito non è, infatti, privo di conseguenze per le parti in relazione al regime di impugnazione, in quanto l’ordinanza che conclude il procedimento speciale è ricorribile per cassazione, ai sensi del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, comma 4, mentre la sentenza è impugnabile con l’appello. Nel caso di specie, l’opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore dell’Avv. L. era stata introdotto con citazione e non con ricorso, come previsto dal D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 14, come interpretato con indirizzo consolidato di questa Corte, che ha trovato conferma nella sentenza a Sezioni Unite n. 4485 del 23.2.2018. Tuttavia, poiché il mutamento del rito non era avvenuto entro la prima udienza di comparizione delle parti, il Tribunale non poteva mutare il rito dopo che le parti avevano precisato le conclusioni e la causa era stata trattenuta in decisione. Conseguentemente, il giudizio avrebbe dovuto svolgersi nelle forme ordinarie e concludersi con sentenza, impugnabile anche per i motivi attinenti al merito, e non con ordinanza collegiale, ricorribile per cassazione per violazione di legge. È assorbito dalla decisione il terzo motivo di ricorso, con il quale si denuncia la violazione dell’art. 641 c.p.c., per essere stata l’opposizione tardivamente proposta. Con il quarto motivo di ricorso, si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 44 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, nonché l’illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo del giudizio, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per avere il Tribunale revocato l’ordinanza emessa in corso di causa dal Giudice istruttore, con la quale era stata rigettata l’eccezione di incompetenza territoriale mentre si tratterebbe di ordinanza impugnabile con regolamento di competenza, sicché sulla statuizione relativa alla competenza si sarebbe formato il giudicato interno. Il ricorrente contesta, inoltre, la fondatezza della decisione del Tribunale, in quanto, nelle cause promosse da un professionista per il pagamento delle proprie spettanze professionali, sarebbe competente il Foro ove ha sede il Consiglio dell’Ordine di appartenenza del professionista e, quindi, nella specie il Tribunale di Velletri. Il motivo non è fondato. Questa Corte, con orientamento consolidato, al quale si intende dare continuità, ha affermato che, anche dopo l’innovazione introdotta dalla novella di cui alla L. 18 giugno 2009, n. 69, in relazione alla forma della decisione sulla competenza, da adottarsi con ordinanza anziché con sentenza, il provvedimento del giudice adito, che nel disattendere la corrispondente eccezione, affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sé, è insuscettibile di impugnazione con il regolamento ex art. 42 c.p.c., ove non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, salvo che quel giudice, così procedendo e statuendo, lo abbia fatto conclamando, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, l’idoneità della propria determinazione a risolvere definitivamente, davanti a sé, la suddetta questione Cassazione civile sez. un., 29/09/2014, n. 20449, Cass. civ., sez. un., 12 maggio 2008, n. 11657, Cass. civ., sez. VI, 26 marzo 2014 n. 7191, Cass. Civ., Sez VI, 20.1.2017, n. 1685 Cass. Civ., Sez VI, 7.6.2017 n. 14223 Cass. Civ., Sez VI, 7.3.2018 n. 5354 . Nella specie, il Tribunale, con l’ordinanza del 21.5.2014, aveva rigettato l’eccezione di incompetenza territoriale, senza che la decisione fosse stata preceduta dall’invito delle parti a precisare le conclusioni sull’eccezione di incompetenza, tanto che, con la medesima ordinanza, aveva rimesso la causa sul ruolo per la prosecuzione del giudizio. L’ordinanza del giudice unico, dichiarativa della competenza, non era, pertanto, impugnabile con regolamento di competenza e non era idonea a statuire sulla competenza con autorità di giudicato. È assorbito il quinto motivo di ricorso, con cui si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nonché l’illogica e contraddittoria motivazione su un punto decisivo per il giudizio, per avere il Tribunale erroneamente deciso nel merito, pur avendo ritenuto che il decreto ingiuntivo fosse stato emesso dal giudice incompetente. Resta assorbito anche il sesto motivo di ricorso, relativo all’errata regolamentazione delle spese di lite. L’ordinanza va, pertanto, cassata in relazione ai motivi accolti e rinviata, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Velletri, in diversa composizione, che si atterrà ai seguenti principi di diritto Nelle cause aventi ad oggetto la liquidazione delle prestazioni professionali dell’avvocato, il mutamento del rito, nelle ipotesi in cui l’opposizione al decreto ingiuntivo venga introdotto con citazione anziché con ricorso, può avvenire, anche d’ufficio, non oltre la prima udienza di comparizione delle parti anche in una causa avente ad oggetto le prestazioni professionali dell’avvocato, introdotta e proseguita con il rito ordinario, il provvedimento del giudice adito che, nel disattendere l’eccezione di incompetenza territoriale, affermi la propria competenza e disponga la prosecuzione del giudizio innanzi a sé, è insuscettibile di impugnazione con il regolamento ex art. 42 c.p.c., ove non preceduto dalla rimessione della causa in decisione e dal previo invito alle parti a precisare le rispettive integrali conclusioni anche di merito, salvo che quel giudice, così procedendo e statuendo, lo abbia fatto conclamando, in termini di assoluta e oggettiva inequivocità ed incontrovertibilità, l’idoneità della propria determinazione a risolvere definitivamente, davanti a sé, la suddetta questione . P.Q.M. Accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, rigetta il quarto motivo e dichiara assorbiti i restanti, cassa l’ordinanza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, innanzi al Tribunale di Velletri in diversa composizione.