Vietato sferrare attacchi personali all’avvocato avversario

Si configura la violazione dell’art. 52 cod. deont. laddove le esternazioni verbali dedotte nell’atto difensivo dell’avvocato superino il limite di compatibilità con le esigenze di dialettica processuale e di adempimento del mandato professionale.

Attacchi personali. Con sentenza n. 52 del 2019, il Consiglio Nazionale Forense ha chiarito che il limite di compatibilità delle esternazioni verbali dedotte nell’atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell’adempimento del mandato professionale va individuato nell’intangibilità della persona del contraddittore. Pertanto, qualora la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l’esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 29 settembre 2018 16 luglio 2019, n. 52 Presidente Picchioni Segretario Capria Fatto Nel luglio del 2009 l’avv. [ESPONENTE] del Foro di Treviso, inoltrava al COA di Pordenone esposto con il quale lamentava il comportamento tenuto dall’avv. [RICORRENTE], sua controparte in un giudizio civile, per avergli costui inviato una comunicazione fax nella quale affermava ritengo che tale Vostro comportamento arrechi danno al sig. [TIZIO] e gravi gli uffici giudiziari di questioni bagattellari . In contemporanea l’avv. [RICORRENTE] presentava esposto avverso l’avv. [ESPONENTE], affermando, tra l’altro, che ritengo che il patrocinio del sig. [TIZIO] abbia agito contro l’interesse del proprio assistito facendogli intraprendere azioni giudiziarie infondate che danneggiano economicamente il proprio cliente . Successivamente alle richieste di chiarimenti il COA decideva di archiviare l’esposto proposto dall’Avv. [RICORRENTE] contro l’Avv. [ESPONENTE] e apriva procedimento disciplinare nei confronti dell’avv. [RICORRENTE], per il seguente capo d’incolpazione violazione dell’art. 6 dovere di lealtà e correttezza , dell’art. 20 divieto di uso di espressioni sconvenienti e offensive e dell’art. 22 rapporto di colleganza del Codice Deontologico per aver utilizzato nella comunicazione via fax del 13.07.2009 inviata all’avv. [ESPONENTE] e nell’esposto presentato a questo COA in data 15.07.2009 nei confronti dell’avv. [ESPONENTE], espressioni sconvenienti ed offensive del seguente tenore ritengo che tale Vostro comportamento arrechi danno al sig. [TIZIO] e gravi gli uffici giudiziari di questioni bagattellari in comunicazione via fax del 13.07.20109 Ritengo che il patrocinio del sig. [TIZIO] abbia agito contro l’interesse del proprio assistito facendogli intraprendere azioni giudiziarie infondate che danneggiano economicamente il proprio cliente in esposto dd 15.07.2009 . È del tutto evidente che far presentare una querela per falsa testimonianza ed una opposizione a precetto destituite di ogni fondamento non possa essere frutto della sola volontà del cliente . All’esito del rinvio a giudizio, il COA riteneva l’odierno ricorrente responsabile dell’addebito disciplinare e gli infliggeva la sanzione dell’avvertimento. Nella parte motiva della decisione il COA evidenziava che era emerso attraverso l’esame del contenuto dei documenti in atti come l’incolpato avesse utilizzato, nella corrispondenza con il collega avv. [ESPONENTE] e nell’esposto presentato nei confronti di quest’ultimo, le espressioni sconvenienti ed offensive di cui al capo di incolpazione vietate dal codice deontologico. Faceva ancora rilevare la gratuità delle espressione utilizzate, prive di relazione con l’esercizio del diritto di difesa. Evidenziava ancora il COA come l’elemento psicologico della consapevolezza e volontà offensiva da parte dell’incolpato doveva ritenersi in re ipsa. Avverso la decisione ha proposto tempestivo ricorso l’Avv. [RICORRENTE] evidenziando che le frasi utilizzate nella comunicazione fax e nell’esposto inviato al COA non erano dotate del carattere dell’offensività e lesività della dignità e del decoro dell’avv. [ESPONENTE], essendo invece mere esternazioni volte a stigmatizzare le altrui iniziative giudiziali, che nel caso concreto si erano concretizzate nella proposizione di opposizione a precetto su sentenza per la differenza di circa 100,00 Euro. Evidenziava ancora che l’uso dell’aggettivo bagattellare non doveva considerarsi offensivo o lesivo del dignità del collega, trattandosi di termine comunemente utilizzato in ambito forense per descrivere una controversia di valore esiguo. Sottolineava che le sue esternazioni altro non erano state che un parere circa le altrui iniziative giudiziarie e mancavano di qualsiasi offensività e/o volgarità. Faceva altresì rimarcare che il COA non aveva effettuato un’indagine accurata in merito alla volontarietà dell’azione e che comunque ove mai l’avesse effettuata doveva concludere per l’inesistenza della volontarietà della condotta. Concludeva chiedendo l’annullamento del provvedimento sanzionatorio e in via istruttoria l’ammissione di prove orali non ammesse dal COA. Motivi della decisione Il ricorso proposta dall’Avv. [RICORRENTE] non appare meritevole di accoglimento. Non può essere riposto in dubbio che l’avvocato, nell’esercizio dell’attività professionale debba evitare espressioni sconvenienti nei confronti dei colleghi, così come non può essere riposto in dubbio la sacralità del rapporto di colleganza. L’aver l’Avv. [RICORRENTE] utilizzato nei confronti del collega [ESPONENTE], in uno scritto a costui diretto fax del 13.07.2009 le espressioni riportate nel capo di incolpazione configura certamente la violazione dell’art. 20 del CdF, vecchia formulazione, riprodotta in maniera integrale nell’art. 52 del nuovo codice deontologico forense. Nel può sostenersi, come pretende l’Avv. [RICORRENTE], che il frasario utilizzato sia privo degli elementi di sconvenienza, lesività ed offensività. Ed infatti se è pur vero che l’avvocato ben può e deve utilizzare fermezza e toni anche accesi nel sostenere la difesa della parte assistita, è altrettanto vero che tale potere, che ben può essere elevato a livello di dovere, trova un limite in quella che la valutazione dell’operato del difensore della controparte, allorché questa viene fatta scadere di livello. In definitiva l’Avv. [RICORRENTE] con il frasario adoperato, riportato nel fax del 13 luglio 2009 si è dato a deplorare l’operato del collega di controparte, sindacando e censurando le scelte di costui, finendo per attribuirgli una condotta foriera di danni per l’assistito. Non pago di tanto l’Avv. [RICORRENTE] ha rincarato la dose, riproponendo nell’esposto, contro l’Avv. [ESPONENTE], inviato al COA il 15.07.2009, le censure sull’operato del collega, accusato ancora una volta di agire contro l’interesse del cliente assistito, aggiungendo altresì di ritenere lo stesso avvocato [ESPONENTE] come regista delle azioni proposte dal cliente. Alla luce di tali evenienze stigmatizzate dal COA, sia pure con motivazione sintetica, motivazione che in questa sede ben può essere integrata, emerge certamente il disvalore della condotta dell’incolpato. Non colgono pertanto nel segno le censure mossa dall’Avv. [RICORRENTE] alla decisione di prime cure. Ed infatticome già evidenziato - il frasario contenuto sia nella comunicazione fax, che nell’esposto, finisce per estrinsecarsi in una censurabile deplorazione dell’operato del difensore di controparte. In tal modo il limite del dovere di probità, lealtà e decoro, viene travalicato. Per quanto riguarda la cesura del provvedimento impugnato per carenza di volontarietà nella condotta, non può ignorarsi che ai fini della configurazione dell’illecito disciplinare è sufficiente la volontarietà del comportamento dell’incolpato e quindi sotto il profilo soggettivo è sufficiente la suitas della condotta, intesa come volontà consapevole dell’atto posto in essere, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento, un controllo finalistico. Al riguardo pare opportuno richiamare Cass. SS.UU. ord. 22521 del 7.11.2016 per la quale In materia di illeciti disciplinari, la coscienza e volontà delle azioni o omissioni di cui all’art. del nuovo Codice deontologico consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto. Per quanto riguarda infine la critica alla decisione del COA, con riferimento al dedotto profilo di carenza degli elementi probatori sui quali è stata fondata la decisione, appare bastevole osservare che questa si è basata sugli scritti provenienti dall’incolpato richiamati in maniera puntuale sia nel capo di incolpazione, che nel contenuto della decisione, per cui la inutilità di prove orari appare essere in re ipsa. P.Q.M. visti gli artt. 36 e 37 L. n. 247/2012 e gli artt. 59 e segg. del R.D. 22.1.1934, n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso. 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