I limiti della parcellizzazione dei crediti dell’avvocato riferiti a prestazioni rese per lo stesso cliente

Non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in virtù di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, poiché tale scissione del contenuto dell’obbligazione si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, sia con il principio costituzionale del giusto processo.

Lo ribadisce la Corte di Cassazione con ordinanza n. 31308/19, depositata il 29 novembre. Il caso. Dopo essere stato revocato come legale, il cui mandato gli era stato conferito da una banca senza che gli venissero corrisposti i compensi spettanti, l’attore, un avvocato, proponeva tanti gravami per ottenere vari decreti ingiuntivi relativi ai distinti crediti riguardanti le diverse prestazioni professionali svolte nell’interesse della banca sua cliente . Tali decreti venivano concessi e tra essi ve ne era uno relativo all’incarico svolto per conto della banca nei confronti di un altro soggetto. Questo decreto veniva opposto dall’ingiunto e il GdP rigettava l’opposizione. Il Tribunale, adito in secondo grado, accoglieva il gravame della banca e dichiarava l’improponibilità della domanda dell’avvocato, condannandolo anche alla restituzione delle somme percepite, poiché riteneva fondato il motivo dell’appellante relativo all’illegittima parcellizzazione del credito. Avverso tale decisione l’avvocato propone ricorso per cassazione. Divieto di frazionamento dei crediti. Secondo un costante orientamento giurisprudenziale non è consentito al creditore di una determinata somma, dovuta in virtù di un unico rapporto obbligatorio, frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, poiché tale scissione del contenuto dell’obbligazione si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede che deve sussistere nel rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nella fase eventuale dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento , sia con il principio costituzionale del giusto processo, posto che la suddetta parcellizzazione si traduce in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte. Da ciò deriva che le domande giudiziali aventi ad oggetto la frazione di un unico credito devono essere dichiarate improcedibili. Infatti, prosegue la S.C., ove la pretese risarcitorie, oltre a far capo al medesimo rapporto tra le parti, siano anche inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato, o fondate sullo stesso fatto costitutivo, le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile ai fini della tutela processuale frazionata . In caso contrario non è consentito tale frazionamento, poiché esso porterebbe solo ad un maggiore costo per una duplicazione dell’attività istruttoria e dispersione della conoscenza della stessa vicenda sostanziale. Pertanto, il ricorso proposto dall’avvocato risulta infondato perché, se è vero che i suoi crediti trovavano origine in distinti rapporti professionali, è pur vero che gli stessi erano riferiti a prestazioni rese nell’interesse del medesimo cliente, ossia la banca.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 25 giugno – 29 novembre 2019, n. 31308 Presidente Oricchio – Relatore Carrato Rilevato in fatto L’avv. G.C. , dopo aver ricevuto la revoca dei mandati come legale conferitigli dalla Bcc Banca di Cosenza poi posta in LCA e, quindi, ceduta alla Banca per lo Sviluppo s.p.a. e non essendogli stati corrisposti i compensi spettanti, proponeva tanti ricorsi per l’ottenimento dei decreti ingiuntivi relativi ai distinti crediti riguardanti le specifiche prestazioni professionali svolte nell’interesse del suddetto istituto di credito, decreti che venivano concessi e tra i quali si ricomprendeva anche quello concernente l’incarico svolto per conto della predetta banca nei confronti di P.C.I. , con il riconoscimento di un compenso di Euro 3.559.40, oltre accessori. Quest’ultimo decreto ingiuntivo veniva opposto dall’ingiunto e il giudice di pace adito, con sentenza n. 1143/2012, rigettava l’opposizione. Decidendo sull’appello interposto dalla Banca per lo Sviluppo s.p.a. e nella costituzione dell’appellato, il Tribunale di Cosenza, con sentenza n. 2026/2014, accoglieva il gravame e, in riforma dell’impugnata decisione, dichiarava l’improponibilità della domanda proposta dall’avv. G. , oltre a condannare quest’ultimo alla restituzione degli importi ricevuti in esecuzione della pronuncia di primo grado, nonché alla rifusione delle spese di entrambi i gradi di giudizio. A sostegno dell’adottata decisione, il Tribunale cosentino riteneva fondato il motivo dell’appellante relativo alla illegittima parcellizzazione del credito come attuata dall’appellato, avendo egli agito con distinte iniziative giudiziali per il recupero di crediti - fondati sullo stesso titolo - vantati nei confronti dell’istituto di credito, come, peraltro, già deciso con altre sentenze, alla cui motivazione si richiamava. Considerato in diritto 1. Avverso la suddetta sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, l’avv. G.C. , resistito con controricorso dall’intimata Banca per lo Sviluppo s.p.a La difesa del ricorrente ha anche depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis.1 c.p.c 1.1. Con la formulata censura il ricorrente ha denunciato l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che era stato oggetto di discussione tra le parti, congiuntamente alla violazione e falsa applicazione dell’art. 645 c.p.c In particolare, il professionista ricorrente ha dedotto l’illegittimità dell’impugnata sentenza nella parte in cui aveva ritenuto - ma, a suo avviso, in modo inconferente - applicabile il principio statuito dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 23726/2007 in tema di parcellizzazione dei crediti, senza, peraltro, provvedere ad alcun accertamento in merito alla fondatezza dell’an e del quantum della sua pretesa creditoria. 2. In via pregiudiziale è da ritenersi del tutto infondata l’avanzata eccezione di inammissibilità del ricorso - proposta dalla controricorrente - per asserita violazione dell’art. 366 c.p.c., avendo, invero, il ricorrente assolto a tutti i requisiti previsti da detta norma, con specifico riferimento alla prospettazione di una sufficiente esposizione sommaria dei fatti. 3. Ciò premesso, il collegio ritiene che l’unico motivo formulato dal ricorrente è infondato e deve, pertanto, essere rigettato. È risaputo che fin dalla sentenza n. 23726 del 2007 adottata da questa Corte a Sezioni unite non è consentito al creditore di una determinata somma di denaro, dovuta in forza di un unico rapporto obbligatorio, di frazionare il credito in plurime richieste giudiziali di adempimento, contestuali o scaglionate nel tempo, in quanto tale scissione del contenuto dell’obbligazione, operata dal creditore per sua esclusiva utilità con unilaterale modificazione che aggrava la posizione del debitore, si pone in contrasto sia con il principio di correttezza e buona fede, che deve improntare il rapporto tra le parti non solo durante l’esecuzione del contratto ma anche nell’eventuale fase dell’azione giudiziale per ottenere l’adempimento, sia con il principio costituzionale del giusto processo, traducendosi la parcellizzazione della domanda giudiziale diretta alla soddisfazione della pretesa creditoria in un abuso degli strumenti processuali che l’ordinamento offre alla parte, nei limiti di una corretta tutela del suo interesse sostanziale. Ne consegue che le domande giudiziali aventi ad oggetto una frazione di un unico credito sono da dichiararsi improcedibili o improponibili . Tale principio è stato reiteratamente ribadito successivamente v., ad es., Cass. n. 31012/2017 e Cass. n. 19898/2018 . Sono state le stesse Sezioni unite che - con la recente sentenza n. 4090/2017 - hanno ulteriormente affinato e reinterpretato la portata del suddetto principio statuendo che le domande aventi ad oggetto diversi e distinti diritti di credito, benché relativi ad un medesimo rapporto di durata tra le parti, possono essere proposte in separati processi, ma, ove le suddette pretese creditorie, oltre a far capo ad un medesimo rapporto tra le stesse parti, siano anche, in proiezione, inscrivibili nel medesimo ambito oggettivo di un possibile giudicato o, comunque, fondate sullo stesso fatto costitutivo, - sì da non poter essere accertate separatamente se non a costo di una duplicazione di attività istruttoria e di una conseguente dispersione della conoscenza dell’identica vicenda sostanziale - le relative domande possono essere formulate in autonomi giudizi solo se risulti in capo al creditore un interesse oggettivamente valutabile ai fini della tutela processuale frazionata v., in seguito, nello stesso senso, anche Cass. n. 6591/2019 . Orbene, alla luce dei richiamati precedenti e - in particolare - della più recente evoluzione giurisprudenziale di questa Corte, il motivo proposto dal ricorrente è privo di fondamento giuridico perché - se è vero che i crediti azionati dall’avv. C. trovavano origine in distinti rapporti professionali - è pur vero che gli stessi erano riferiti a prestazioni professionali rese nell’interesse della stessa banca poi incorporata in quella oggi controricorrente per il recupero di crediti verso clienti della medesima quindi, i titoli per i quali erano state intraprese le procedure giudiziali erano del tutto omogenei, oltre che a riferirsi ad attività svolte in favore del medesimo soggetto, ragion per cui non v’era ragione di frazionare le relative azioni, nè il ricorrente ha dedotto di aver prospettato e riscontrato in sede di merito che vi erano state delle concrete esigenze tali da giustificare la separazione delle iniziative giudiziali sostanziatesi in plurimi procedimenti monitori. È, quindi, da ritenersi conforme a diritto l’impugnata sentenza con la quale, in accoglimento dell’appello dell’istituto di credito, la specifica domanda dell’avv. C. è stata dichiarata improponibile, con ciò rimanendo - ovviamente precluso ogni esame sulla possibile sussistenza o meno della ragione del credito e del relativo quantum vantato. 4. In definitiva, il ricorso deve essere respinto, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo. Va dato, infine, anche atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 1700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre iva, cap e contributo forfettario nella misura del 15% sulle voci come per legge. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, del raddoppio del contributo unificato ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.