Notifica di un precetto, errore nell’avviso di ricevimento: per due legali niente risarcimento e condanna

Respinta la pretesa avanzata dagli avvocati nei confronti di Poste Italiane evidente l’errore ma manca la ‘prova provata’ del danno. E paradossalmente son proprio i due legali a finire condannati a risarcire i danni arrecati alla società per la loro condotta processuale, centrata su pretese chiaramente prive di fondamento.

Affidata a Poste Italiane la notifica di un precetto – valore 840 euro –, due avvocati scoprono che l’avviso di ricevimento non è stato correttamente compilato dall’ufficiale postale. E questo dettaglio fa scattare in loro, spiegano, ansia e preoccupazione l’ipotesi che la notifica possa essere dichiarata nulla in un ipotetico giudizio . Il quadro non è sufficiente per accogliere la pretesa risarcitoria da loro avanzata nei confronti di Poste Italiane, anche perché, osservano i giudici, manca la ‘prova provata’ dell’esistenza di un danno reale. Per i due legali arriva però anche la beffa debbono non solo pagare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione , ma anche versare 2mila euro a Poste Italiane a titolo di risarcimento Cassazione, ordinanza n. 31176/19, sez. VI Civile, depositata il 28 novembre . Notifica. Identificato l’errore presente nella compilazione dell’ avviso di ricevimento relativo alla notifica del precetto affidata a Poste Italiane, i Giudici di merito ritengono evidente l’inadempimento compiuto dal dipendente della società, ma ritengono generica e non dimostrata l’esistenza del danno lamentato dai due avvocati. Insufficiente il richiamo da parte loro ad ansia e preoccupazione per l’ipotesi che la notifica potesse essere dichiarata nulla in un ipotetico giudizio . Così la richiesta di risarcimento viene respinta sia in primo che in secondo grado. I due giudizi si differenziano solo sul fronte delle spese il Giudice di Pace opta per la compensazione , mentre il Giudice del Tribunale condanna i due avvocati alla rifusione delle spese per il grado di appello . Colpa. Inutile, anzi autolesionistico, si rivela il ricorso proposto dai due legali in Cassazione. Difatti, non solo viene ribadita la giustezza della decisione pronunciata in Tribunale, cioè il no” alla loro richiesta di risarcimento , ma viene anche sancito il loro obbligo si sobbarcarsi le spese del giudizio di legittimità, provvedendo alla rifusione in favore di Poste Italiane per una cifra pari a 2mila e 200 euro, e di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per l’impugnazione . E per chiudere il cerchio, infine, i Giudici ritengono evidente che i due legali abbiano tenuto un contegno processuale connotato quanto meno da colpa grave, sostenendo tesi scopertamente infondate, e la cui infondatezza sarebbe balzata evidente ictu oculi a qualsiasi professionista del diritto . Così, a fronte di una evidente colpa grave a carico dei due avvocati nella battaglia legale portata avanti, essi vengono condannati d’ufficio anche a versare 2mila euro a Poste Italiane a titolo di risarcimento del danno .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 3, ordinanza 11 luglio – 28 novembre 2019, n. 31176 Presidente Frasca - Relatore Rossetti Fatti di causa 1. Nel 2010 Ma. Lo. e Da. Del Mo. convennero dinanzi al Giudice di pace di Roma la società Poste Italiane s.p.a., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni rispettivamente patiti in conseguenza del fatto che, avendo chiesto alla Poste italiane la notifica di un precetto a mezzo posta, l'avviso di ricevimento non venne compilato correttamente dall'ufficiale postale, ingenerando negli attori ansia e preoccupazione per l'ipotesi che la notifica fosse, in un ipotetico giudizio, dichiarata nulla. Il valore del precetto era di 840 Euro. 2. Il Giudice di pace rigettò la domanda e compensò le spese. Il Tribunale di Roma ritenne sussistente l'inadempimento della Poste italiane s.p.a., ma non dimostrata l'esistenza del danno. Di conseguenza rigettò il gravame, confermò la statuizione di compensazione delle spese del primo grado, e condannò gli appellanti alla rifusione delle spese del grado di appello. 3. Ricorrono per cassazione avverso tale sentenza Da. Del Mo. e Ma. Lo. con ricorso fondato su due motivi. Resiste con controricorso la Poste italiane s.p.a. Ragioni della decisione 1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell'articolo 360, n. 3, c.p.c, la violazione dell'articolo 92 c.p.c. Deducono che nel caso di specie si era verificata una reciproca soccombenza, in quanto la società appellata aveva eccepito l’inammissibilità dell'appello tale eccezione era stata rigettata di conseguenza il Tribunale in sede di appello avrebbe dovuto compensare le spese. 1.1. Il motivo è infondato, per due indipendenti ragioni. Il rigetto delle eccezioni preliminari di rito o pregiudiziali di merito, infatti, non dà luogo ad una soccombenza reciproca in senso tecnico, se la parte che le sollevò sia comunque risultata vittoriosa nel merito. In secondo luogo, il motivo come articolato si fonda su un assunto manifestamente illogico. Il Tribunale, infatti, rigettando l'eccezione preliminare d'inammissibilità dell'appello sollevato dalla Poste Italiane, ha esaminato la pretesa risarcitoria nel merito, e nel merito l'ha ritenuta infondata. Se, dunque, si seguisse la logica sottesa del ricorso si dovrebbe pervenire al seguente paradosso che colui il quale abbia ragione nel merito, ma proponga un appello inammissibile, sarà - giustamente - sempre condannato alle spese per contro chi proponga un appello ritenuto dal giudice infondato nel merito, ma abbia la buona sorte di vedersi preliminarmente opporre un'infondata eccezione di inammissibilità, potrebbe evitare la condanna alle spese. Con la conseguenza che chi avanza una pretesa ammissibile ma infondata verrebbe a trovarsi in una posizione più favorevole rispetto a chi avanzasse una pretesa fondata nel merito, ma inammissibile in rito. E tale palese reductio ad absurdum svela la fallacia della premessa su cui poggia il primo motivo di ricorso. 2. Con una seconda censura i ricorrenti lamentano la violazione dei parametri previsti dal D.M. 55 del 2014. Deducono che il Tribunale li ha condannati alla rifusione delle spese del grado quantificate nella misura di Euro 2.000, eccedente il massimo previsto dal suddetto decreto per le controversie, quale quella in oggetto, di valore inferiore a 1.000 Euro. 2.1. Il motivo è manifestamente infondato. Nell'atto di citazione gli attori chiesero la condanna della Poste Italiane al risarcimento di Euro 5,60 a titolo di danno patrimoniale, o nella maggiore o minore somma che il giudice riterrà di giustizia nonché la condanna della Poste Italiane al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali da stabilirsi in via equitativa e comunque entro la competenza del giudice adito . Il valore della causa doveva quindi stabilirsi nella misura di Euro 5.000, e per i giudizi di valore fino a 5.000 Euro il valore massimo delle spese è 2.916 Euro, e quindi il Tribunale si è tenuto all'interno del suddetto valore. 3. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno a poste a carico dei ricorrenti, ai sensi dell'art. 385, comma 1, c.p.c. e sono liquidate nel dispositivo. 3.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione, ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228 . 4. Il giudizio concluso della presente sentenza è iniziato in primo grado nel 2010. Ad esso, pertanto, è applicabile l'art. 96, comma 3, c.p.c. nel testo aggiunto dall'art. 45, comma 12, della L. 18 giugno 2009, n. 69, il quale stabilisce che in ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell'art. 91, il giudice, anche d'ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata . Norma che, per espressa previsione dell'art. 58, comma 1, della legge testé citata, si applica ai giudici instaurati dopo la data della sua entrata in vigore . 4.1. Ciò posto circa la disciplina applicabile, questa Corte ritiene che agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave vuol dire azionare la propria pretesa, o resistere a quella avversa, con la coscienza dell'infondatezza della domanda o dell'eccezione ovvero senza aver adoperato la normale diligenza per acquisire la coscienza dell'infondatezza della propria posizione. Nel caso di specie, i ricorrenti hanno tenuto un contegno processuale connotato quanto meno da colpa grave, sostenendo tesi scopertamente infondate, e la cui infondatezza sarebbe balzata evidente ictu oculi a qualsiasi professionista del diritto. Condotte così distanti da principi giuridici pacifici e risalenti, e ripetutamente affermati da questa Corte, ad avviso del Collegio costituiscono un'ipotesi almeno di colpa grave, consistente nel non intelligere quod omnes intelligunt. I ricorrenti vanno di conseguenza condannata d'ufficio, ai sensi dell'art. 96, comma 3, c.p.c. al pagamento in favore della Poste Italiane, in aggiunta alle spese di lite, d'una somma equitativamente determinata a titolo di risarcimento del danno. Tale somma viene stabilita assumendo a parametro di riferimento l'importo delle spese dovute alla parte vittoriosa per questo grado di giudizio, e nella specie può essere fissata in via equitativa ex art. 1226 c.c. nell'importo di Euro 2.000, oltre interessi legali dalla data di pubblicazione della presente ordinanza. P.Q.M. - rigetta il ricorso - condanna Ma. Lo. e Da. Del Mo., in solido, alla rifusione in favore di Poste Italiane s.p.a. delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.200, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie ex art. 2, comma 2, D.M. 10.3.2014 n. 55 - condanna Ma. Lo. e Da. Del Mo., in solido, al pagamento in favore di Poste Italiane s.p.a. della somma di Euro 2.000, oltre interessi come in motivazione - dà atto che sussistono i presupposti previsti dall'art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30.5.2002 n. 115, per il versamento da parte di Ma. Lo. e Da. Del Mo., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione.