L’avvocato ha l’obbligo di fatturare tempestivamente i compensi percepiti

In tema di fatturazione dei compensi, l’avvocato ha l’obbligo di emettere fattura tempestiva e contestuale alla riscossione dei compensi percepiti, a nulla rilevando l’eventuale ritardo nell’adempimento. La violazione di tale obbligo è sanzionata dagli artt. 16 e 29 del codice deontologico forense.

Lo ha ribadito il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 1/19 depositata il 4 novembre. Il caso. A fronte dell’esposto con cui il cliente segnalava i due avvocati che, nell’ambito di una procedura stragiudiziale volta all’estinzione di un mutuo bancario, avevano trattenuto indebitamente, a titolo di rimborso spese legali, parte delle somme ricevute per l’ammortamento del mutuo, il COA di Milano deliberava l’apertura del procedimento disciplinare. Al termine dell’istruttoria, gli avvocati venivano ritenuti responsabili, oltre che per non aver fornito regolare rendiconto della gestione della somma ricevuta dal cliente, per non aver emesso regolare fattura per gli importi incassati a titolo di rimborso spese legali. Avverso tale decisione, i due avvocati propongono ricorso dinanzi al CNF. Presunzione di colpa. Con riferimento al profilo della mancata fatturazione dei compensi professionali trattenuti, il Consiglio Nazionale Forense ribadisce che per l’imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione, dolo generico o specifico, ma è sufficiente solo la volontarietà, o suitas , con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto. Infatti, secondo la Cassazione, in materia di illeciti disciplinari, la coscienza e volontà delle azioni o omissioni consistono nel dominio anche solo potenziale dell’azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto. Ciò fonda la presunzione di colpa per l’atto sconveniente o vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a quest’ultimo l’onere di provare di aver agito senza colpa. Pertanto, l’agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l’uso della normale diligenza, oppure se intervengono cause esterne. Ne consegue che non si può parlare d’imperizia incolpevole laddove il professionista legale sia in grado di conoscere e interpretare correttamente l’ordinamento giudiziario e forense. Obbligo di fatturazione tempestiva dei compensi percepiti. Nella fattispecie, alla luce della complessiva ricostruzione dei fatti, il CNF ritiene che sotto il profilo che qui interessa il ricorso non sia meritevole di accoglimento. Infatti, secondo il Consiglio, l’avvocato ha l’obbligo, sanzionato dagli artt. 16 e 29 cod. deon., di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione dei compensi, a nulla rilevando l’eventuale ritardo nell’adempimento, non preso in considerazione né dal codice deontologico forense, né dal d.P.R. n. 633/1972.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 21 aprile 2016 – 27 febbraio 2019, n. 1 Presidente Logrieco – Segretario Losurdo Fatto Con esposto presentato al COA di Milano in data 02.08.2011 il sig. [esponente] segnalava che gli avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2] nell’ambito di una procedura stragiudiziale volta alla estinzione di un mutuo bancario, avevano trattenuto indebitamente, a titolo di rimborso spese legali, una parte delle somme ricevute dal cliente per l’ammortamento del mutuo. Richiesti chiarimenti, gli avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2] vi provvedevano con sollecitudine contestando quanto affermato dall’esponente e deducendo di avere gestito correttamente la pratica in oggetto, peraltro protrattasi oltre anni dieci. In data 22.12.2011 il COA deliberava l’apertura del procedimento disciplinare e per l’effetto formulava il seguente capo di incolpazione essere venuti meno ai doveri di probità e diligenza per 1 avere nell’interesse del sig. [esponente] incassato complessivi euro 88.000,00 da destinarsi alla estinzione del contratto di mutuo instaurato con [banca] versando invece alla banca mutuataria il ridotto importo di euro 80.000,00 senza fornire al cliente preciso rendiconto 2 non avere provveduto ad emettere regolare fattura a fronte dei corrispettivi trattenuti quali spese legali 3 non avere costantemente informato il cliente dell’intenzione della banca di non concedere la richiesta rateizzazione di pagamento. In Milano, dal 2003 al 2009.” Durante la fase istruttoria veniva escusso l’esponente ed emergeva, a parere del Consiglio milanese, che gli odierni incolpati avevano ricevuto dal cliente un importo, la cui quantificazione ammontava a circa 88.000,00, destinato all’estinzione di un mutuo contratto con [BANCA], ma che detto importo non era stato interamente utilizzato per il fine cui era stato elargito, al contrario trattenuto dagli avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2] a titolo di rimborso per spese legali. Tale comportamento, a parere del COA procedente, integrava illecito disciplinare in quanto gli incolpati non solo non avevano fornito regolare rendiconto della gestione della somma ricevuta dal cliente, ma non avevano neppure fornito informazioni sull’andamento della pratica, né avevano emesso regolare fattura per gli importi incassati a titolo di rimborso spese legali. Per tali ragioni, gli avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2] venivano ritenuti responsabili disciplinarmente, e per l’effetto veniva applicata agli stessi la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per mesi due. Gli avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2] proponevano tempestivo ricorso avverso la suindicata decisione, chiedendo 1 accertare e dichiarare l’improcedibilità dell’azione disciplinare per intervenuta prescrizione 2 dichiarare nulla ovvero annullare la decisione per insussistenza dell’illecito disciplinare addebitato 3 in via subordinata, applicare sanzione disciplinare meno gravosa. Parte ricorrente producevano nuova documentazione All.8 , in particolare numerosi assegni intestati all’Istituto di credito Intesa BCI a firma dell’esponente [esponente], che gli Avvocati [ricorrente1] e [ricorrente2], una volta ricevuti, ne avevano dato notizia all’Avv. [tizio] su propria carta intestata con fotocopia del titolo emesso in favore dell’Istituto bancario. A fondamento del ricorso gli incolpati deducevano 1. la prescrizione dell’illecito disciplinare i ricorrenti sostenevano che la condotta disciplinare rilevante faceva riferimento a fatti che si erano realizzati dal 2003 al 2009, e che comunque dovevano essere considerati autonomi l’uno dagli altri, con la conseguenza che, a tutto voler concedere, ognuno di essi avrebbe dovuto costituire un illecito disciplinare. Inoltre la delibera di apertura del procedimento disciplinare era datata 22.12.2011, ma era stata notificata il 03.07.2012, quindi ben oltre i cinque anni da ogni addebito deontologico, sicchè avrebbero potuto rispondere solo dei fatti commessi dal 03.07.2007 fino al 2009. In detto periodo, sostengono i ricorrenti, tutte le somme ricevute dal sig. [esponente] erano state girate all’istituto bancario ed erano stati a loro elargiti solo euro 1500 a titolo di rimborso spese legali. 2. errata qualificazione dell’illecito disciplinare errata valutazione dei fatti e assoluta inesistenza dell’illecito errata valutazione delle circostanze di fatto ascrivibili agli incolpati ai fini della irrogazione della sanzione pagine da 5 a 10 i ricorrenti sostengono che l’esposto presentato dal sig. [esponente] è del tutto generico e privo di riscontri probatori al contrario nelle proprie deduzioni difensive gli incolpati hanno fornito prova documentale di aver versato a [banca] tutte le somme ricevute dal debitore cliente, e di avere trattenuto a titolo di rimborso spese non più di 4 o 5 mila euro in dieci anni” pag. 5 . Il COA, quindi, fondava il giudizio di colpevolezza disciplinare sulle sole dichiarazioni dell’esponente, senza tenere conto dei documenti prodotti dalla difesa e senza ricercare, durante la fase istruttoria, i necessari riscontri esterni in parte qua, la motivazione è, a parere dei ricorrenti, insufficiente, apodittica ed autoreferenziale” pag. 8 se non addirittura inesistente”. Ciò detto, i ricorrenti sostengono che i fatti di cui all’esposto sono del tutto inesistenti come inesistente è la violazione deontologica addebitata non solo dal punto di vista oggettivo ma anche dal punto di vista soggettivo essendo chiara la mancanza di volontarietà della condotta disciplinarmente illecita cfr. pagine 7 e 10 del ricorso . 3. inadeguatezza e sproporzione della sanzione a pagina 11 del ricorso viene sostenuta la inadeguatezza e sproporzione della sanzione applicata rispetto ai fatti disciplinari addebitati. Diritto Per tutto quanto sopra esposto, si deve sottolineare che l’incolpazione non lascia dubbi su quali siano le condotte in astratto contestate. Quanto al motivo di gravame sub 1 l’eccezione di prescrizione è infondata, attesa la natura continuata dell’illecito contestato, iniziata nel 2003 e protrattasi sino al 2008, data di emissione dell’ultimo assegno. Senonchè il Coa di Milano deliberava l’apertura del procedimento in data 22/12/2012, quando erano decorsi solo 3 anni dalla cessazione dell’illecito, per cui la prescrizione non era maturata. Il dies a quo per la prescrizione dell’azione disciplinare va individuato nel momento della commissione del fatto solo se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo che si consuma o si esaurisce al momento stesso in cui viene realizzata ove invece la violazione risulti integrata da una condotta protrattasi e mantenuta nel tempo, la decorrenza del termine prescrizionale ha inizio dalla data della cessazione della condotta Consiglio Nazionale Forense pres. f.f. Perfetti, rel. Picchioni , sentenza del 28 aprile 2015, n. 68 Di contro è fondata la seconda censura, atteso che gli incolpati hanno fornito prova documentale di aver versato al creditore tutte le somme ricevute dal debitore loro assistito Signor [esponente] , e di aver trattenuto a titolo di rimborso spese euro 8.000,00 nell’arco temporale di dieci anni. Infatti, i ricorrenti hanno prodotto n. 41 nuovi documenti afferente in gran parte a pagamenti eseguiti, dal 2003 al dicembre 2005, mediante assegni personali tratti dal cliente a favore dell’Istituto bancario, e successivamente mediante bonifici, alla stregua della richiesta pervenuta dal creditore cessionario, subentrato nel 2006. Ebbene l’attività di trasmissione per conto del cliente di pagamenti periodici a terzi non configura, né può configurare, gestione di denaro del cliente, e non può certo far nascere in capo al professionista un obbligo di rendicontazione in senso stretto, dal momento che la trasmissione al cliente delle singole missive con cui vengono effettuati i pagamenti e per il 2006 le copie dei bonifici tempestivamente disposti esaurisce l’obbligo professionale di dar conto delle attività svolte. Al contempo la ridetta attività assolve anche l’obbligo di diligenza e di correttezza, nonché quello di informativa, dal momento che gli incolpati una volta ricevuti i titoli di pagamento dal cliente provvedevano ad inoltrarli all’Istituto bancario. Deve essere confermata la decisione impugnata, invece, per quanto riguarda la mancata fatturazione dei compensi professionali trattenuti euro 8.000 e la omessa informativa del cliente, in difetto di qualsiasi elementi, anche indiziario, di segno contrario rispetto a quelli posti a fondamento delle decisione. Non appare meritevole di accoglimento il profilo della censura relativo alla asserita assenza di volontarietà della condotta da loro posta in essere nella commissione dei fatti in esame. Invero la censura è manifestamente infondata alla luce della complessiva ricostruzione dei fatti riportata nella decisione impugnata. A prescindere da ciò, secondo la costante giurisprudenza disciplinare, ai fini della sussistenza dell’illecito disciplinare, è sufficiente la volontarietà del comportamento dell’incolpato e, quindi, sotto il profilo soggettivo, è sufficiente la suitas” della condotta intesa come volontà consapevole dell’atto che si compie, dovendo la coscienza e volontà essere interpretata in rapporto alla possibilità di esercitare sul proprio comportamento un controllo finalistico e, quindi, dominarlo. L’evitabilità della condotta, pertanto, delinea la soglia minima della sua attribuibilità al soggetto, intesa come appartenenza della condotta al soggetto stesso. cfr. Consiglio Nazionale Forense, sentenza del 29 luglio 2016, n. 267 CNF, sentenza del 29 luglio 2016, n. 271, sentenza del 23 gennaio 2017, n. 2, sentenza del 25 luglio 2016, n. 231, sentenza del 25 luglio 2016, n. 213 . Sul punto è sufficiente ribadire che per l’imputabilità dell’infrazione disciplinare non è necessaria la consapevolezza dell’illegittimità dell’azione, dolo generico o specifico, ma è sufficiente solo la volontarietà c.d. suitas con la quale è stato compiuto l’atto deontologicamente scorretto. Secondo la Corte di Cassazione, SS.UU., ordinanza n. 22521 del 7 novembre 2016, In materia di illeciti disciplinari, la coscienza e volontà delle azioni o omissioni di cui all’art. 4 del nuovo Codice Deontologico consistono nel dominio anche solo potenziale dell'azione o omissione, che possa essere impedita con uno sforzo del volere e sia quindi attribuibile alla volontà del soggetto. Il che fonda la presunzione di colpa per l'atto sconveniente o addirittura vietato a carico di chi lo abbia commesso, lasciando a costui l'onere di provare di aver agito senza colpa. Sicché l'agente resta scriminato solo se vi sia errore inevitabile, cioè non superabile con l'uso della normale diligenza, oppure se intervengano cause esterne che escludono l'attribuzione psichica della condotta al soggetto. Ne deriva che non possa parlarsi d'imperizia incolpevole ove si tratti di professionista legale e quindi in grado di conoscere e interpretare correttamente l'ordinamento giudiziario e forense.” In considerazione del comportamento complessivo degli incolpati e del parziale accoglimento della impugnazione, questo Consiglio ritiene congruo applicare la sanzione della censura. P.Q.M. visto l’art. 54 del R.D.L. 27.11.1933 n. 1578 e gli artt. 44 e 59 e segg. Del R.D. del 22.01.1934 n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense, in parziale riforma della decisione impugnata, proscioglie gli incolpati in ordine all’illecito contestato sub capo 1 , conferma per il resto la decisione impugnata e per l’effetto applica agli stessi la sanzione della censura. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle genericità e degli altri identificativi.