L'onorario dell'avvocato dipende dall'attività effettivamente svolta

Ai fini della liquidazione del compenso professionale, il giudice dovrà verificare di volta in volta l’attività difensiva effettivamente svolta, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda costituisca o meno parametro di riferimento idoneo in relazione al valore della controversia.

Così decide la Suprema Corte con la sentenza n. 22455/19, depositata il 9 settembre. La vicenda. Il Tribunale di Avellino ingiungeva alla controparte il pagamento di una somma di denaro a titolo di compenso professionale per l’attività svolta a favore della defunta madre da parte del ricorrente in qualità di avvocato, nell’ambito di una controversia vertente sullo scioglimento della comunione ereditaria previo disconoscimento di testamento olografo . A seguito di opposizione, il Tribunale revocata il suddetto decreto, condannando l’intimata al pagamento di una somma inferiore, considerato che lo scaglione tariffario applicabile al caso di specie doveva far riferimento non all’intero asse ereditario, bensì alla sola quota in contestazione. Avverso tale decisione, l’avvocato propone ricorso per cassazione, lamentando, tra i diversi motivi, l’erronea decisione del Giudice nell’individuazione del valore del giudizio ai fini della determinazione del suo compenso, e deducendo l’omessa liquidazione del corrispettivo riguardante la prima fase decisoria terminata con sentenza non definitiva, mediante la quale veniva disposto che la successione si era aperta ab intestato . Liquidazione del compenso professionale. La Corte di Cassazione dichiara fondato il primo motivo prospettato dal ricorrente, rilevando che il Tribunale aveva emesso la sua decisione non solo in relazione allo scioglimento della comunione ereditaria, ma anche a proposito dell’individuazione del titolo della devoluzione ereditaria. Da ciò consegue che l’oggetto della controversia coinvolgeva l’attività professionale svolta dal ricorrente in relazione all’intera massa ereditaria, anche a proposito della sua entità, coincidendo, dunque, tale entità con il valore della causa a cui deve farsi riferimento in sede di liquidazione del compenso dovuto, con l’applicazione del criterio tariffario corrispondente ex art. 5, D.M. n. 140/2012. Gli Ermellini dichiarano fondata anche la seconda doglianza oggetto di ricorso, osservando come effettivamente sia mancata la liquidazione del compenso per la fase decisoria terminata con la pronuncia di una sentenza non definitiva, fase durante la quale l’avvocato aveva svolto alcune attività oggetto dell’art. 11, comma 6 del decreto citato. A tal proposito, la Corte ribadisce che il giudice ha il dovere di verificare di volta in volta l’attività difensiva svolta dal professionista, considerando le specificità del caso concreto, in modo tale da stabilire se l’importo oggetto della domanda costituisca parametro di riferimento idoneo oppure si riveli inadeguato rispetto al valore effettivo della lite, poiché in tale ultimo caso il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata . Anche per questi motivi, la Suprema Corte accoglie il ricorso dell’avvocato, cassa la sentenza impugnata e rinvia gli atti al Tribunale di Avellino.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 4 giugno – 9 settembre 2019, n. 22455 Presidente Scalisi – Relatore Casadonte Fatti di causa 1. Su ricorso dell’avvocato S.P.E. , il Tribunale di Avellino ingiunse a C.M.F. il pagamento dell’importo di Euro 14.667,00 oltre accessori a titolo di compenso per l’assistenza professionale prestata dal ricorrente in favore della defunta madre di questa, A.C. , in una controversia per lo scioglimento di comunione ereditaria previo disconoscimento di testamento olografo. 2. Opposto il decreto da parte della ingiunta C. , il Tribunale di Avellino, previo mutamento del rito nella forma del giudizio sommario di cognizione, revocò il decreto e condannò l’intimata al pagamento della minor somma di Euro 8.532,54, compensando le spese per la metà. 3. A fondamento della decisione il tribunale rilevò che per determinare lo scaglione valoriale applicabile occorreva fare riferimento non già all’intero asse ereditario, bensì alla sola quota in contestazione. 4. La cassazione di detta ordinanza è chiesta dall’avvocato S.P.E. con ricorso tempestivamente notificato ed affidato ad un unico motivo, seppure articolato in due distinti profili. 5. L’intimata C.M.F. ha, a sua volta, depositato tempestivo controricorso con ricorso incidentale pure affidato ad un motivo. 6. Il processo è chiamato in pubblica udienza a seguito di ordinanza interlocutoria n. 22434/2017 della sesta sezione civile. 7. Parte ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c Ragioni della decisione 1. Con il primo profilo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, artt. 5 e 11 e degli artt. 12 e 15 c.p.c., per avere l’ordinanza impugnata erroneamente individuato il valore del giudizio ai fini della determinazione del compenso per il difensore, avendo cioè preso come riferimento la quota ereditaria di spettanza della signora A. Euro 65.750,66 così liquidando in Euro 7000,00 anziché fare riferimento all’intero asse ereditario Euro 421.744,00 e, conseguentemente, liquidarlo in Euro 18.000,00. 1.1. La doglianza è fondata avendo il tribunale deciso non solo sullo scioglimento della comunione ereditaria ma anche sull’individuazione del titolo della devoluzione ereditaria. 1.2. Infatti, i convenuti A.F. e D. si erano costituiti, seppure con separate comparse, deducendo in via riconvenzionale che la successione sarebbe regolata dal testamento olografo del de cuius A.S. , che sarebbe stato consegnato in busta chiusa al sig. C.C. che subito dopo la morte dell’A. lo avrebbe consegnato all’attrice P.G. , la quale alla loro presenza avrebbe aperto il plico, l’avrebbe letto e, tuttavia, non vi aveva provveduto alla successiva pubblicazione ed, anzi, ne avrebbe successivamente negato l’esistenza. 1.3. Inoltre la difesa del convenuto A.D. aveva allegato che le somme riportate dagli assegni bancari a lui intestati ed incassati non costituivano donazione, bensì la restituzione di somma asseritamente mutuata allo zio, che pertanto andava esclusa dall’asse ereditario, nel quale andava, invece, ricompreso il saldo del conto corrente mantenuto dal de cuius su presso la locale filiale del Banco S. Paolo di Napoli. 1.4. A.C. si era costituita, resistendo alle domande degli altri convenuti, disconoscendo la sottoscrizione del de cuius e chiedendo l’accoglimento della domanda di apertura della successione ab intestato nonché della domanda di scioglimento della comunione ereditaria con attribuzione delle varie quote spettanti ai condividenti, previa collazione. 1.5. Espletata prova per interpello e testimoni, il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi in composizione collegiale con la sentenza non definitiva n. 329/2001 accoglieva la domanda dell’attrice, rigettava quella riconvenzionale e dichiarava l’apertura della successione ab intestato del defunto A.S. , rimettendo la causa sul ruolo per le operazioni divisionali fra cui la ctu. 1.6. Ciò posto deve rilevarsi come oggetto della controversia nel cui ambito si è spiegata l’attività professionale del ricorrente era l’intera massa ereditaria anche con riguardo alla sua entità, con al conseguenza che secondo las pacifica giurisprudenza di questa Corte cfr. Cass. 2978/1981 id. 11222/1997 id. 9058/2012 id. 20126/2014 e da ultimo Cass. 13512/2019 era il valore della stessa a dover costituire parametro di riferimento per la esatta liquidazione dei compensi dovuti al ricorrente ai sensi dell’art. 12 c.p.c., u.c., con la relativa applicazione degli inerenti criteri tariffari di cui al D.M. n. 140 del 2012, art. 5, di cui è stata legittimante denunciata in questa sede la violazione. 1.7. A questo principio dovrà quindi uniformarsi il giudice di rinvio per rideterminare la misura effettivamente dovuta per i compensi legali invocati dal ricorrente. 2. Con il secondo profilo si deduce la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 140 del 2012, art. 11, nonché degli artt. 132 e 134 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per omessa liquidazione del compenso per la prima fase decisoria contrassegnata cioè dalla sentenza collegiale parziale n. 329 del 2012 con la quale era stato disposto che la successione si era aperta ab intestato. 2.1 Il profilo di doglianza è fondato essendo effettivamente mancata la liquidazione del compenso per la fase decisoria conclusasi con l’adozione della sentenza non definitiva, per la quale il professionista aveva svolto alcune attività di cui al D.M. n. 140 del 2012, art. 11, comma 6 e delle quali l’ordinanza impugnata non tiene conto. 2.2. Al riguardo, infatti, il giudice deve verificare, di volta in volta, l’attività difensiva che il legale ha svolto, considerare le peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all’effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata. cfr. Cass. Sez. 2, ordinanza n. 18507 del 12/07/2018 Sez. 2, sentenza n. 13229 del 31/05/2010 . 2.3. Il giudice di rinvio provvederà, pertanto, a considerare il compenso dovuto all’avvocato S. anche in relazione alla fase decisoria conclusasi con la sentenza non definitiva n. 329/2012. 3. Passando all’esame del ricorso incidentale, con l’unico motivo si deduce la violazione di legge per avere l’ordinanza impugnata liquidata a suo carico un debito ereditario per l’intero anziché nei limiti della sua quota. 3.1. La censura risulta inammissibile perché formulata per la prima volta in Cassazione non essendo stata sollevata la relativa eccezione nel giudizio di opposizione e benché tanto costituisca preciso onere della coerede, tenuto ad indicare al creditore la sua condizione di coobbligato passivo entro i limiti della propria quote ed integrando tale dichiarazione gli estremi dell’istituto processuale dell’eccezione in senso proprio, la cui mancata proposizione consente al creditore di chiedere legittimamente il pagamento per l’intero Cass. 6431/2015 . 4. In conclusione va quindi accolto il ricorso principale, cassata l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Avellino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. 5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale, cassa e rinvia al Tribunale di Avellino in diversa composizione anche per le spese del giudizio di legittimità. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.