Diritto al compenso: non basta la procura alle liti

In tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale cd. contratto di patrocinio con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem , essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell'attività processuale, né rileva il versamento di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, atteso che il mandato può essere anche gratuito e che, in ipotesi di mandato oneroso, il compenso ed il rimborso delle spese possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso.

Con l’ordinanza del 2 agosto 2019, n. 20865, il S.C. precisa che, ai fini del riconoscimento dei compensi in favore di un avvocato, non è sufficiente il rilascio della procura ma deve sussistere, tra le parti, un contratto di patrocinio che rappresenta il negozio bilaterale fonte dell’obbligazione di pagamento in favore dell’avvocato. Il caso. La vicenda decisa con l’ordinanza in esame ha origine dalla richiesta di pagamento degli onorari da parte di due avvocati nei confronti degli eredi della parte – anch’egli avvocato - che avevano asseritamente assistito nel corso di alcuni procedimenti. Accolta in primo grado, la domanda viene rigettata in appello sul rilievo – che ha trovato conferma anche in sede di legittimità – che non era stato provato il contratto di patrocinio stipulato tra le parti. Non era, infatti, in contestazione il rilascio della procura, ma l’attività processuale e difensiva era stata svolta direttamente dalla parte, unitamente ad una propria collaboratrice. La Cassazione conferma la decisione della corte territoriale ribadendo la distinzione tra procura e contratto di patrocinio o mandato difensivo, precisando che il pagamento degli onorari può essere richiesto solo in presenza dell’effettivo svolgimento di quest’ultimo, che nel caso di specie non sussisteva avendo la parte – avvocato – svolto in prima persona l’attività difensiva. Procura e mandato difensivo quali differenze. Secondo un orientamento consolidato e che viene espresso dalla pronuncia in commento, bisogna distinguere tra procura e mandato difensivo. La procura alle liti è un negozio unilaterale endoprocessuale con cui viene conferito il potere di rappresentare la parte in giudizio il mandato difensivo o contratto di patrocinio , invece, costituisce - fra le medesime persone - un sottostante rapporto di patrocinio, ovvero un negozio bilaterale, generatore del diritto al compenso, con il quale, secondo lo schema del mandato, il legale viene incaricato di svolgere l'attività professionale. In termini generali, quindi, si ha un rapporto esterno – costituito dalla procura – al quale si somma un rapporto interno, costituito dal contratto. Procura e contratto in genere convivono ma è possibile ipotizzare una procura senza contratto o, ancor più spesso, un contratto senza procura. Tipico, ad esempio, è il caso del mandato, che può essere con rappresentanza, cioè con il rilascio della procura, o senza rappresentanza, senza cioè spendita del nome artt. 1704 – 1705 c.c. Mandato difensivo e presunzione in forza della procura. Alla luce di quanto illustrato in precedenza, ne consegue che la procura alle liti è solo un indice presuntivo della sussistenza tra le parti dell'autonomo rapporto di patrocinio che, se contestato, deve essere provato. Nel caso di specie, all’esito dell’istruttoria svolta nei giudizi di merito, era emerso che, a fronte di una procura rilasciata al de cuius degli attori, l’attività difensionale era stata interamente svolta dal de cuius stesso, tramite una propria collaboratrice, salvo la partecipazione ad alcune udienze che, secondo i giudici di merito, costituivano attuazione del principio di collaborazione e solidarietà che intercorre tra legali. In altri termini, secondo quanto espresso dalla Cassazione con la pronuncia in esame, va ribadita l’autonomia concettuale e giuridica tra la procura ed il mandato difensivo, e che il compenso spetta solo in presenza del secondo, non essendo quindi sufficiente il rilascio della sola procura alle liti. Compenso professionale a carico di chi? La diversità – strutturale e giuridica – della procura e del mandato difensivo impone alcune riflessioni sull’obbligo di pagamento per l’attività svolta ed a carico di chi è posto. La distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporti di patrocinio non esclude, infatti, la necessità di provare il conferimento dell'incarico – eventualmente - da parte del terzo in caso di difetto di tale prova, si presume che il cliente, ovvero il soggetto obbligato al pagamento del compenso nei confronti dell'avvocato, è colui che ha rilasciato la procura. Al contrario, in presenza di una procura congiunta a due professionisti, è proprio questo distinto rapporto interno ed extraprocessuale, regolato dalle norme dell'ordinario mandato, a dover essere provato, dimostrando, eventualmente, anche per via indiziaria che la procura era solo lo strumento tecnico necessario all'espletamento della rappresentanza giudiziaria. Responsabilità professionale e prova del contratto di patrocinio. Il rapporto tra procura e mandato ha effetto anche relativamente al tema della responsabilità dell’avvocato. Nel caso in cui, infatti, il cliente abbia provato la conclusione del contratto di patrocinio, con il conferimento dell'incarico al legale per agire nei gradi di merito, non è necessario, secondo la giurisprudenza, il rilascio di un ulteriore mandato per agire in sede di legittimità, sicché la sola circostanza che non sia stata conferita la prevista procura speciale non esclude la responsabilità del professionista per mancata proposizione tempestiva del relativo ricorso, gravando sull'avvocato l'onere di provare di aver sollecitato il cliente a fornire indicazioni circa la propria intenzione di impugnare la sentenza sfavorevole di secondo grado, di averlo informato di questo esito e delle conseguenze dell'omessa impugnazione, nonché di non aver agito per fatto a sé non imputabile o per la sopravvenuta cessazione del rapporto contrattuale. In tale prospettiva, il contratto di patrocinio assume una valenza che va oltre l’incarico conferito, tanto da essere assimilato ad un obbligo di protezione rispetto, anche in assenza di ogni specifico incarico conferito. Procura e mandato difensivo per i contratti della P.A Le questioni affrontate in precedenza assumono una specifica peculiarità nei rapporti con la pubblica amministrazione dove sussiste il principio per il quale tutti i contratti debbono avere la forma scritta ad substantiam . In tale tipologia di rapporti, il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell'art. 83 c.p.c., atteso che l'esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l'identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell’autorità preposta.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 22 marzo – 2 agosto 2019, n. 20865 Presidente San Giorgio – Relatore Criscuolo Ragioni in fatto ed in diritto 1. Con ricorso del 28 dicembre 205 F.A. e M.E. ricorrevano al Tribunale di Treviso ai sensi della L. n. 794 del 1942, artt. 28 e 29 per la liquidazione dei compensi professionali dovuti dagli eredi dell’avv. B.R. , assumendo che avevano difeso il defunto collega in due distinte procedure giudiziali, e precisamente il F. nella controversia volta al recupero di crediti professionali nei confronti degli eredi Bo. , e la M. nel giudizio di impugnazione di una delibera assembleare proposto dal B. nei confronti del condominio . Si costituivano i convenuti che, pur non contestando l’esistenza di una valida procura rilasciata dal loro dante causa ai ricorrenti, assumevano che in realtà tutta l’attività defensionale relativa alle due procedure era stata svolta unicamente dall’avv. B. , con l’ausilio dell’avv. D.N. , sua collaboratrice di studio all’epoca dei fatti. Il Tribunale adito con ordinanza del 3 gennaio 2006 accoglieva la richiesta dei ricorrenti condannando i convenuti al pagamento della somma di Euro 13.862,47 oltre interessi legali, ritenendo che il conferimento della procura, la sottoscrizione degli atti di causa e la partecipazione alle udienze comprovavano l’esistenza e lo svolgimento del mandato difensivo, e quindi giustificavano la richiesta di pagamento. Avverso tale ordinanza proponevano appello gli eredi B. , cui resistevano le originarie parti istanti. La Corte d’Appello di Venezia, all’esito dell’istruttoria, con sentenza n. 2777 dell’11 dicembre 2014, accoglieva il gravame, condannando gli appellati al rimborso delle spese del doppio grado ed alla restituzione delle somme versate dagli appellanti in esecuzione dell’ordinanza gravata. Dopo avere ritenuto ammissibile l’appello, in quanto gli eredi del conferente la procura avevano in primo grado contestato la stessa esistenza del mandato difensivo, riteneva che fossero fondate le doglianze degli appellanti. Infatti, dopo avere richiamato la distinzione tra procura alle liti e contratto di patrocinio, rilevava che non vi erano limiti all’ammissibilità della prova, anche per testi, dell’inesistenza del secondo. Dalle prove raccolte era emerso, con sufficiente grado di certezza, che gli appellati avevano ricevuto la procura solo per ragioni di cortesia da parte del B. , che era parte dei giudizi per i quali era stata rilasciata, ma che tutta l’attività professionale era stata svolta dal solo B. redazione degli atti difensivi, istruzioni per le udienze, definizione transattiva e comunque ogni attività di opera professionale anche tramite la sua collaboratrice, avv. D.N. . Quest’ultima aveva confermato tali circostanze, come lo stesso avevano fatto anche altri testi P. , C. , Br. e R. , fornendo pieno riscontro a quanto riferito dalla teste D.N. , della cui attendibilità non vi era ragione di dubitare. Quanto ai testi addotti dagli appellati bo. e I. , i giudici di appello rilevavano che non avevano saputo riferire nulla di specifico quanto alla concreta predisposizione degli atti processuali, affermando semplicemente che erano firmati dai ricorrenti, essendo infine la deposizione della teste Cu. , dipendente degli appellati, contraddetta da tutte le altre dichiarazioni dei testi. A conferma del fatto che gli appellati non avevano effettivamente seguito le procedure oggetto di causa, la sentenza d’appello rilevava la presenza di numerosi errori ed imprecisioni nella stesura delle notule, che denotavano una non puntuale conoscenza dell’effettivo andamento delle cause. Quanto, infine alla partecipazione ad alcune udienze da parte degli istanti, si rilevava che rientrava nel rapporto di collaborazione all’epoca esistente e nella prassi delle reciproche sostituzioni in udienza, alla quale avevano fatto cenno i testi escussi. Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso F.A. e M.E. sulla base di quattro motivi. Gli intimati hanno resistito con controricorso. 2. Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione delle norme di diritto relative alla procura ad litem ex art. 83 c.p.c. e ss. ed al contratto di patrocinio ex art. 2230 c.c. e ss. e/o art. 1706 c.c. Si deduce che per tutte le controversie per le quali sono stati richiesti i compensi i ricorrenti avevano sempre prodotto le procure alle liti validamente rilasciate dal dante causa dei convenuti, le quali assumono valore dirimente ai fini della prova anche del contratto di patrocinio. Gli stessi precedenti di legittimità richiamati dal giudice di appello, in realtà confortano l’assunto secondo cui il formale conferimento della procura alla lite ed il concreto esercizio della rappresentanza processuale configurano il perfezionamento in forma scritta del sottostante rapporto di patrocinio, che non poteva essere quindi disconosciuto, come invece fatto dalla sentenza gravata. Il motivo è infondato. La sentenza impugnata ha fatto puntuale applicazione del costante principio di questa Corte secondo cui cfr. Cass. n. 26060/2013 va fatta distinzione tra rapporto endoprocessuale nascente dalla procura ad litem e rapporto di patrocinio. Nel caso esaminato in tale precedente si è ritenuto possibile, secondo la giurisprudenza di questa Corte, individuare come cliente, e cioè obbligato al pagamento del compenso nei confronti dell’avvocato, un soggetto diverso da colui che ha rilasciato la procura, ma purché sia provato il conferimento dell’incarico da parte del terzo, dovendosi, in difetto, presumere che il cliente è colui che ha rilasciato la procura conf. Cass. n. 405/2000 . La decisione impugnata ha appunto fatto riferimento all’autonomia che, sia logicamente che giuridicamente, viene riconosciuta alla procura rispetto al contratto di patrocinio, occorrendo a tal fine ricordare come anche di recente sia stato ribadito che Cass. n. 14276/2017 in tema di attività professionale svolta da avvocati, mentre la procura ad litem è un negozio unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, il mandato sostanziale costituisce un negozio bilaterale cd. contratto di patrocinio con il quale il legale viene incaricato, secondo lo schema negoziale che è proprio del mandato, di svolgere la sua opera professionale in favore della parte conseguentemente, ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem , essendo questa richiesta solo per lo svolgimento dell’attività processuale, nè rileva il versamento di un fondo spese o di un anticipo sul compenso, atteso che il mandato può essere anche gratuito e che, in ipotesi di mandato oneroso, il compenso ed il rimborso delle spese possono essere richiesti dal professionista durante lo svolgimento del rapporto o al termine dello stesso. Trattasi di affermazioni che si pongono in linea di continuità con i precedenti richiamati anche dal giudice di appello Cass. n. 13963/2006 e Cass. n. 18450/2014 che però attenevano a fattispecie nelle quali non era posto in discussione, o comunque era dimostrato, il concreto svolgimento di attività difensionale da parte del professionista, ponendosi, nella prima circostanza, il quesito circa la possibilità di poter rinvenire il requisito formale previsto per la validità dei contratti della P.A. nella specie di opera professionale nel rilascio in forma scritta della procura, e nella seconda, l’interrogativo se l’invalidità formale della procura potesse essere supplita dalla validità del sottostante contratto di patrocinio. Anche tali pronunce però ribadiscono l’autonomia concettuale e giuridica tra la procura ed il contratto di mandato difensivo, dovendosi però ribadire che il diritto al compenso scaturisce solo nel caso in cui quest’ultimo esista e sia stato effettivamente adempiuto. È pur vero che, come nel caso deciso da Cass. n. 13963/2006, si è ritenuto che in tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell’art. 83 c.p.c., atteso che l’esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell’atto difensivo perfeziona, mediante l’incontro di volontà fra le parti, l’accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l’identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell’Autorità tutoria conf. Cass. n. 2266/2012 Cass. n. 3721/2015 , ma trattasi di orientamento che concerne fattispecie nelle quali è pacifico che un mandato difensivo fosse stato effettivamente conferito, discutendosi solo della sua validità sotto il profilo formale. Nella vicenda qui in esame, è proprio l’esistenza del sottostante rapporto di patrocinio che è stata posta in discussione dai convenuti che hanno sin dall’inizio sostenuto che in realtà il rilascio della procura era avvenuto per ragioni di cortesia , e verosimilmente al fine di evitare che l’avv. B. comparisse come difensore di se stesso, in cause personali nelle quali era direttamente interessato. I giudici di merito, con accertamento in fatto, come tale non suscettibile di sindacato in questa sede, anche perché, come si avrà modo di ribadire anche in prosieguo, supportato da logica e coerente argomentazione, hanno ritenuto, sulla base dell’istruttoria svolta, che effettivamente tutte le attività difensive, come individuate a pag. 9, secondo capoverso, della sentenza impugnata, fossero state svolte dall’avv. B. , al più avvalendosi della collaborazione dell’avv. D.N. , escludendo quindi che i ricorrenti fossero stati officiati, pur a fronte del formale rilascio della procura, di un incarico professionale, dovendosi altresì ritenere che la partecipazione ad alcune udienze non potesse deporre in senso contrario, trattandosi di attività compiuta nell’ambito dei rapporti di collaborazione che all’epoca le parti intrattenevano, e secondo la prassi costante che prevedeva la reciprocità dei favori considerazione questa che evidentemente esclude che potesse sorgere da tale sola partecipazione un diritto ad un compenso . Deve quindi escludersi la ricorrenza della dedotta violazione di legge, essendo stata ribadita in sentenza la regola dell’autonomia tra la procura ed il contratto di mandato, non potendosi attribuire al rilascio della prima l’idoneità a comprovare l’esistenza del secondo laddove risulti, sulla base degli accertamenti compiuti dal giudice di merito, ed allo stesso riservati, che le parti non intendevano anche concludere un contratto di patrocinio. 3. Il secondo motivo di ricorso lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1417 e 2722 c.c. e l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti costituito dall’eccezione in merito all’ammissione delle prove testimoniali. Deducono i ricorrenti che non poteva essere ammessa la prova testimoniale da parte del giudice di appello, e ciò in quanto, all’esito del conferimento della procura, doveva ritenersi validamente concluso anche il contratto di patrocinio, sicché la prova circa l’effettivo svolgimento del mandato e la volontà delle parti contraria al conferimento dell’incarico era in contrasto con il divieto di prova per testi su patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento di cui si alleghi la stipulazione anteriore o contestuale. Inoltre, tale prova mirava a dimostrare l’esistenza di un accordo simulatorio che non poteva esser però provato dalle parti a mezzo testimoni. Il motivo è del pari destituito di fondamento. Lo stesso, infatti, si fonda essenzialmente sulla conclusione che è alla base del primo motivo di ricorso, e della quale si è già attestata l’infondatezza, secondo cui il rilascio della procura costituirebbe prova documentale anche del contratto di patrocinio. In tal senso giova rilevare che dovendosi confermare la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nei rapporti tra privati cfr. Cass. n. 10454/2002 ai fini della conclusione del contratto di patrocinio, non è indispensabile il rilascio di una procura ad litem , essendo questa necessaria solo per lo svolgimento dell’attività processuale, e che non è richiesta la forma scritta, vigendo per il mandato il principio di libertà di forma, il rilascio della procura al più genera una presunzione circa l’esistenza anche del contratto di patrocinio, presunzione che però risulta nella fattispecie essere stata vinta, alla luce degli esiti dell’istruttoria svolta, la quale ben poteva consistere anche in prove di carattere testimoniale. Va escluso quindi che la prova sia stata ammessa dal giudice di secondo grado in violazione della previsione di cui all’art. 2722 c.c., come del pari deve escludersi che possa invocarsi il disposto di cui all’art. 1417 c.c., atteso che, una volta ribadito che, secondo la valutazione dei giudici di merito, non esisteva un collegato contratto di patrocinio redatto in forma scritta, la prova richiesta dagli appellanti, lungi dall’essere finalizzata a dimostrare la simulazione di un coevo contratto, mirava più semplicemente a documentare l’inesistenza del fatto costitutivo addotto a sostegno della pretesa dei ricorrenti, fatto costitutivo mandato difensivo che infondatamente si riteneva di poter ricavare dal solo rilascio della procura che, per quanto sinora esposto, può al più fondare una presunzione che le attività svolte nell’interesse della parte che ha rilasciato la procura siano supportate anche da un contratto di mandato professionale, presunzione che nella fattispecie risulta essere stata superata da parte dei convenuti . Il motivo si palesa poi del tutto inammissibile nella parte in cui invoca il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 adducendo l’omesso esame non già di un fatto storico, quanto l’erronea valutazione di un’eccezione di inammissibilità della prova testimoniale, eccezione che peraltro risulta essere stata anche espressamente, seppur negativamente, delibata dai giudici di appello. 4. Il terzo motivo lamenta l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti e precisamente - il periodo temporale in cui gli avv. F. , M. e D.N. hanno prestato la propria attività a favore dell’avv. B. - la particolare posizione dell’avv. B. quale parte rappresentata. Anche tale motivo va disatteso. La censura mira nella realtà a sollecitare surrettiziamente un riesame del merito da parte del giudice di legittimità, aspirando, in maniera non consentita ad una diversa ricostruzione delle vicende fattuali in contrasto con quanto ritenuto dai giudici di appello, con valutazione accurata ed immune da vizi logici. La conclusione avversata dai ricorrenti, secondo cui non vi sarebbe stato alcun rapporto di patrocinio tra il B. ed i ricorrenti, è il frutto per l’appunto di una complessiva valutazione delle risultanze istruttorie e risulta essere stata raggiunta considerando, alla luce di quanto riferito dai vari testi escussi, quale fosse stata l’attività effettivamente svolta dalle originarie parti istanti nei processi in relazione ai quali viene richiesto il pagamento del compenso. In disparte il difetto di specificità della censura, nella parte in cui, in violazione del disposto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non riporta il tenore delle deposizioni di alcuni testi, ai quali ha fatto invece richiamo la sentenza appellata si pensi al teste C. , la critica dei ricorrenti si rivolge alla complessiva, e non sindacabile, valutazione del giudice di appello, la quale ha tenuto conto anche delle circostanze di cui invece si assume esservi stata l’omessa disamina, fornendo anche spiegazione circa le ragioni per le quali la partecipazione ad alcune udienze da parte dei ricorrenti non potesse assurgere a prova del contratto di patrocinio, trovando invece razionale giustificazione nei rapporti di reciproca e usuale collaborazione tra professionisti, usi a scambiarsi siffatti favori, e quindi senza diritto ad alcun compenso. 5. Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione dell’art. 246 c.p.c. con specifico riguardo alle norme sull’attendibilità dei testimoni e sull’incapacità a testimoniare. Si deduce che la Corte d’Appello avrebbe inopinatamente dato maggior credito alle deposizioni rese dai testi addotti dalla controparte, negando invece valenza alla deposizione resa dalla teste Cu. , sol perché ancora dipendente dello studio dei ricorrenti. Anche tale motivo va rigettato. Al riguardo deve essere richiamata la giurisprudenza di questa Corte secondo cui Cass. n. 7623/2016 , la verifica in ordine all’attendibilità del teste - che afferisce alla veridicità della deposizione resa dallo stesso - forma oggetto di una valutazione discrezionale che il giudice compie alla stregua di elementi di natura oggettiva la precisione e completezza della dichiarazione, le possibili contraddizioni, ecc. e di carattere soggettivo la credibilità della dichiarazione in relazione alle qualità personali, ai rapporti con le parti ed anche all’eventuale interesse ad un determinato esito della lite , con la precisazione che anche uno solo degli elementi di carattere soggettivo, se ritenuto di particolare rilevanza, può essere sufficiente a motivare una valutazione di inattendibilità. Infatti, si è precisato che Cass. n. 13054/2014 sono riservate al giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, nonché la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento, con la conseguenza che è insindacabile, in sede di legittimità, il peso probatorio di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il giudice di secondo grado sia pervenuto ad un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo giudice. Nel caso di specie i giudici di appello, in conformità di quanto suggerito da alcuni precedenti di questa Corte Cass. n. 1547/2015 secondo cui, nel caso sussista un contrasto fra le dichiarazioni rese dai testimoni escussi, il giudice di merito è tenuto a confrontare le deposizioni raccolte ed a valutare la credibilità dei testi in base ad elementi soggettivi ed oggettivi, quali la loro qualità e vicinanza alle parti, l’intrinseca congruenza di dette dichiarazioni e la convergenza di queste con gli eventuali elementi di prova acquisiti, per poi esporre le ragioni che lo hanno portato a ritenere più attendibile una testimonianza rispetto all’altra o ad escludere la credibilità di entrambe, hanno puntualmente compiuto tale valutazione dando atto di come le deposizioni di alcuni dei testi indicati dagli attori bo. e I. non avessero portata rivelatrice circa l’effettiva esistenza del contratto di patrocinio, e rilevando, quanto alla teste Cu. , come la sua complessiva inattendibilità trovasse conforto sia nella sua qualità soggettiva, di attuale dipendente delle parti appellate, sia nella contraddittorietà tra quanto dichiarato e quanto emergeva in maniera univoca dalle deposizioni degli altri testi, di cui non era invece in discussione l’attendibilità. Alla luce di tale compiuta motivazione risulta palese quale sia il reale intento delle parti ricorrenti che, a fronte della apparente prospettazione di una violazione di legge, svolgono una critica all’apprezzamento di fatto operato in sentenza, che però è preclusa in questa sede. 6. Al rigetto del ricorso consegue che le spese vanno regolate secondo il principio di soccombenza e si liquidano come da dispositivo. 7. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater del testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso Condanna i ricorrenti al rimborso delle spese che liquida in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali, pari al 15 % sui compensi, ed accessori di legge Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.