Contenzioso sul compenso dell'avvocato per l'assistenza legale nel giudizio tributario

In materia di richieste di compensi professionali per attività di difesa svolte nell’ambito di processi tributari, il regime impugnatorio delle ordinanze emesse dal giudice di primo grado ai sensi degli articolo 702-bis e ss c.p.c. è quello dell’appello, e non quello del ricorso per cassazione.

Questa la decisione della Corte di Cassazione numero 19102/19, depositata il 16 luglio. Il caso. Il Tribunale di Palermo, in composizione monocratica, accoglieva il ricorso proposto da un avvocato vertente sulla condanna di una società di riscossione al pagamento di una somma a titolo di compenso per la difesa da lui svolta in giudizi dinanzi alle Commissioni tributarie. Avverso tale provvedimento, la società ricorre per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, il fatto che la decisione fosse stata pronunciata in composizione monocratica anziché collegiale. La questione di giurisdizione. La Corte di Cassazione dichiara, in via preliminare ed assorbente rispetto all’esame dei motivi di ricorso, inammissibile il ricorso, richiamando la giurisprudenza delle Sezioni Unite laddove, risolvendo una questione di giurisdizione riguardante il recupero di un credito professionale di un avvocato verso un cliente per prestazioni rese di fronte al giudice tributario, affermano la giurisdizione del giudice ordinario, trattandosi di contenzioso eterogeneo rispetto alla materia spettante al giudice tributario. Da tale principio, discende l’inapplicabilità dell’articolo 14 d.lgs. numero 150/2011, in tema di richieste di compenso per le attività professionali svolte nell’ambito di processi tributari. Dunque, nel caso di specie, «il regime impugnatorio dell’ordinanza emessa ai sensi degli articolo 702-bis e ss c.p.c. dal Tribunale di Palermo correttamente in composizione monocratica sulla controversia per compensi relativi a giudizi tributari era quello dell’appello, come testualmente prescrive l’articolo 702-quater e non quello del ricorso per cassazione». Per questo motivo, la Suprema Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 5 aprile – 16 luglio 2019, numero 19102 Presidente D’Ascola – Relatore Orilia Ritenuto in fatto 1 L’avvocato Z.D. con ricorso ai sensi dell’articolo 702 bis c.p.c. domandò al Tribunale di Palermo la condanna della Riscossione Sicilia spa al pagamento della somma di 406.401,66 a titolo di compenso per la difesa svolta in giudizi davanti alle Commissioni tributarie. La società contestò la pretesa e il Tribunale adito in composizione monocratica l’accolse nella misura di Euro 33.819,00 oltre accessori con compensazione delle spese. 2 Contro tale sentenza ricorre per cassazione Riscossione Sicilia spa denunziando quattro motivi contrastati dall’avvocato Z. con controricorso. Il relatore ha proposto l’accoglimento del primo motivo di ricorso con assorbimento dei restanti e il ricorrente ha depositato memoria. Considerato in diritto 1.1 Con il primo motivo la società ricorrente denunzia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, violazione o falsa applicazione degli articolo 50 bis e 50 quater c.p.c. in relazione al D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 14, dolendosi della pronuncia in composizione monocratica anziché collegiale. 1.2 Col secondo motivo denunzia nullità della sentenza e/o del procedimento per error in procedendo per violazione o falsa applicazione degli articolo 115 e 116 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 4, per non avere il Tribunale correttamente considerato e valutato il contenuto della documentazione versata in atti e, segnatamente, la convenzione sottoscritta in data 15.12.2010, successivamente modificata e integrata nell’anno 2011 e la nota 30.1.2012 inviata dal medesimo avv. Z. a Riscossione Sicilia spa. 1.3 Col terzo motivo si denunzia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 per non avere il tribunale considerato la suddetta convenzione. 1.4 Col quarto ed ultimo motivo, infine, la ricorrente deduce ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3, la violazione del D.M. numero 55 del 2014, articolo 28, per avere il Tribunale applicato le tariffe di legge introdotte col detto D.M 2 In via preliminare ed assorbente rispetto all’esame dei motivi, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione. Le Sezioni unite, risolvendo la questione di giurisdizione sulla controversia instaurata dall’avvocato per recuperare il credito professionale vantato nei confronti del cliente per prestazioni rese innanzi al giudice tributario, hanno affermato che la giurisdizione spetti al giudice ordinario, precisando che trattasi di un contenzioso eterogeneo rispetto alla materia attribuita al giudice tributario D.Lgs. numero 546 del 2002 ex articolo 2 e che non può trovare applicazione né il D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 14, norma sulla competenza e non sulla giurisdizione, relativa alle sole attività professionali svolte nel processo civile, con esclusione di quello penale, amministrativo o davanti ai giudici speciali, né il D.Lgs. numero 546 del 1992, articolo 2, nel quale rientra la diversa ipotesi in cui siano reclamate somme liquidate dalle commissioni tributarie a titolo di spese processuali cfr. Sez. U -, Ordinanza numero 25938 del 16/10/2018 Rv. 650871 . Da tale principio discende l’inapplicabilità del D.Lgs. numero 150 del 2011, articolo 14, alle richieste di compenso per attività professionali svolte nel processo tributario e quindi, nel caso in esame, il regime impugnatorio dell’ordinanza emessa ai sensi degli articolo 702 bis c.p.c. e ss. dal Tribunale di Palermo correttamente in composizione monocratica sulla controversia per compensi relativi a giudizi tributari era quello dell’appello, come testualmente prescrive l’articolo 702 quater c.p.c. e non quello del ricorso per cassazione. Le spese seguono la soccombenza. Sussiste l’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 4.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15%. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. numero 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.