Utilizzo abusivo del titolo di avvocato: non basta l’acquisizione medio tempore per far venir meno la sanzione

Non è sufficiente l’acquisizione del titolo di avvocato nelle more del processo per far venir meno la funzione della sanzione irrogata dal COA ai due ricorrenti, essendosi pienamente consumato il grave illecito disciplinare attraverso la diffusione in internet del titolo non ancora conseguito.

Così si esprimono le Sezioni Unite Civili della Corte di Cassazione con la sentenza n. 17563/19, depositata il 28 giugno. Il caso. Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia infliggeva ai due attuali ricorrenti la sanzione disciplinare della sospensione dell’attività professionale per due mesi, per avere essi ricevuto il mandato professionale con l’intermediazione di una società, nonché per aver indebitamento utilizzato il titolo di avvocato al fine di acquisire clientela e procacciare pratiche legali in violazione dell’art. 37 cod. deont A seguito di ricorso, il Consiglio Nazionale Forense confermava la pena inflitta dal COA di Brescia. I ricorrenti, dunque, propongono ricorso per cassazione, contestando, tra i diversi motivi, l’utilizzo abusivo del titolo di avvocato, rilevando che la pronuncia addebitava loro solo un intento confusorio, avendo essi utilizzato negli atti giudiziari e nelle carte intestate il termine abogado”. L’indebito utilizzo del titolo di avvocato. In via preliminare, le Sezioni Unite dichiarano inammissibili i ricorsi proposti nei confronti del CNF, rilevando che esso è un organo privo di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti all’Ordine e, per questo motivo, non può essere in lite con questi ultimi, poiché in primo luogo perderebbe l’imparzialità che lo caratterizza e in secondo luogo non risulta essere portatore di alcun interesse di agire ovvero resistere in giudizio. Ciò affermato, le stesse dichiarano inammissibile il ricorso proposto da uno dei due ricorrenti, osservando l’intento abusivo insito nell’utilizzo del termine av.” nelle relazioni con i clienti e del termine abogado” nei rapporti con il COA e con gli altri colleghi, di cui la pronuncia impugnata aveva già ampiamente argomentato. Le SS. UU. rigettano, invece, il ricorso proposto dall’altro ricorrente, il quale deduceva di essere divenuto avvocato medio tempore , venendo dunque meno la funzione della sanzione a lui inflitta, da rinvenirsi nell’evitare la reiterazione dell’illecito in futuro. Nel fare ciò, la Corte giudica insindacabili le argomentazioni oggetto del provvedimento impugnato del CNF, le quali evidenziano la gravità della condotta posta in essere dai due ricorrenti non eliminabile ex post con una sopravvenuta regolarizzazione, in quanto realizzata tramite la diffusione in internet del titolo non ancora conseguito. Per questi motivi, gli Ermellini dichiarano inammissibili il ricorso proposto nei confronti del CNF e quello fatto proprio da uno dei due ricorrenti, e rigettano il ricorso dell’altro.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 26 febbraio – 28 giugno 2019, n. 17563 Presidente Mammone – Relatore Acierno Fatti di causa 1.Ai ricorrenti D.L.S. e N.P. è stata inflitta la sanzione disciplinare della sospensione dell’attività professionale per due mesi dal Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Brescia. 2.Il Consiglio Nazionale Forense, soltanto con riferimento a D.L.S. ha ridotto la sanzione alla censura, confermando per la N. la decisione del grado precedente. 3.Il Consiglio Nazionale Forense ha precisato in fatto V.C. era stato contattato da un referente della s.r.l. SDL Centrostudi, il cui amministratore era l’avvocato D.L.S. la società si qualificava come specializzata nel recupero di crediti di usura delle banche gli era stata prospettata la stipula di un contratto, concluso il quale gli sarebbe stato esibito un estratto peritale che metteva in luce le anomalie finanziarie e l’applicazione di interessi anatocistici ed usurari nei suoi confronti dopo tale accertamento gli era stato suggerito di procedere all’attività stragiudiziale di recupero del credito da anatocismo con versamento di Euro 4000 e con la previsione contrattuale dell’obbligo di corrispondere il 25% del maggior credito o minor debito una volta conclusa la vertenza. Gli era stato precisato che ove la fase stragiudiziale non si fosse conclusa positivamente si sarebbe potuto ritirare, con restituzione di documenti e perizie. Si era incontrato con l’abogado N. che non aveva precisato di essere professionista straniera e all’esito della fase di mediazione, effettuata presso lo studio dell’avv. D.L., alla quale era stato invitato a non partecipare, aveva ricevuto 21000 Euro con assegno circolare. Gli veniva allora proposta un’altra domanda di mediazione per diversi rapporti bancari, in relazione alla quale consegnava gli estratti conto all’avv. N. ma in questa occasione la fase stragiudiziale si concludeva negativamente. Veniva, di conseguenza, prospettata la necessità di introdurre un giudizio. Il V., tuttavia, si rifiutava e richiedeva la documentazione, comprensiva delle perizie tramite un suo diverso legale. L’avogado N. rispondeva di aver ricevuto la richiesta di restituzione della documentazione, e di aver provveduto alla consegna della stessa alla s.r.l. SDL unitamente ai contratti stipulati dal signor V., ove era contenuto l’obbligo di pagare parte del corrispettivo. 4. A sostegno della decisione il Consiglio Nazionale Forense ha preliminarmente rigettato il motivo relativo al tardivo deposito della motivazione della pronuncia, qualificando il termine stabilito dalla legge R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 37 e 50 come ordinatorio. Nel merito ha rilevato che lo schermo dei contratti, stipulati con una società di capitali, e la modulistica negoziale a prevalente natura commerciale che ha caratterizzato il mandato conferito all’abogado N., integra l’illecito consistente nell’aver ricevuto mandato professionale con l’intermediazione della s.r.l. SDL. Il contratto stipulato dal signor V. prevede, infatti, espressamente, l’affidamento di un mandato a professionisti indicati da SDL sia per la difesa legale gli onorari non sono da includersi e saranno versati direttamente ai professionisti . Risulta integrato anche l’illecito consistente nel rifiuto di restituire la documentazione, comprese le perizie econometriche che hanno composto il fascicolo processuale. Non era compito dell’abogado N. di tutelare gli eventuali diritti della SDL ma di osservare i propri obblighi deontologici verso il cliente. Ugualmente era integrato l’illecito relativo all’indebita utilizzazione del titolo di avvocato, realizzata mediante l’indicazione del titolo soltanto con le i due lettere iniziali av . Questa dizione risulta specificamente utilizzata nella corrispondenza con i clienti ma non con il C.O.A. od altri avvocati. Risulta pertanto evidente l’intento decettivo e confusorio. 5. Di tale illecito risponde anche il D.L., che ha utilizzato il titolo di avvocato anche nelle locandine di alcuni convegni. La voluta errata indicazione del titolo si colloca all’interno di un sistema organizzato anche attraverso l’uso di strumenti societari per acquisire clientela e procacciare pratiche legali in violazione dell’art. 37 Codice deontologico, per di più vincolando il cliente al procacciatore attraverso l’effetto dissuasivo degli ulteriori oneri imposti allo stesso. Non può, tuttavia, ritenersi che il D.L. debba rispondere della condotta della società o perché ha operato quale amministratore della stessa così svolgendo attività incompatibile L. n. 247 del 2012, ex art. 18 o perché dominus del sistema che utilizzava consapevolmente pattuizioni contrattuali vietate, dissimulando un’attività legale di consulenza, non essendovi la prova che egli ne fosse l’organizzatore. 6. Avverso tale pronuncia hanno proposto distinti ricorsi gli incolpati, i quali devono essere riuniti avendo ad oggetto la stessa sentenza. Ragioni della decisione 7. Preliminarmente deve essere dichiarata l’inammissibilità dei ricorsi proposti nei confronti del Consiglio Nazionale Forense, soggetto terzo ed autore della pronuncia impugnata e del Consiglio Distrettuale di Disciplina, quest’ultimo in quanto soggetto che riveste una funzione amministrativa di natura giustiziale caratterizzata da elementi di terzietà, ma priva di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti all’Ordine, sicché, da un lato, non può essere in lite con questi ultimi, pena la perdita della sua imparzialità, e dall’altro, non è portatore di alcun interesse ad agire/resistere in giudizio Cass. S.U. 16993 del 2017 . La medesima pronuncia esclude la legittimazione a resistere anche per il CNF, in quanto organo decidente e non parte. 8. Nel primo motivo del ricorso proposto da N.P. è stata dedotta la violazione degli art. 82 e 83 c.p.c. e dell’art. 19 codice deontologico per non aver rilevato che il mandato professionale è stato conferito in modo autonomo alla ricorrente dal V. senza che siano state versate provvigioni dalla legale alla S.D.L. n. Nessuna delle ipotesi d’intermediazione vietata descritte dall’art. 19 della legge professionale si era verificata in concreto. 9. Nel secondo motivo viene dedotto il travisamento dei fatti su un punto decisivo relativo alla richiesta di documentazione pervenuta alla ricorrente. Al riguardo è stato rilevato che l’avvocato non è tenuto a consegnare la documentazione a soggetti diversi dal cliente, essendo tenuto all’obbligo di riservatezza. Nella specie la richiesta era stata formulate dal legale senza che fosse stata documentata la revoca del mandato ad essa conferito ed il nuovo incarico al legale richiedente. 10. I primi due motivi possono essere esaminati congiuntamente e coerentemente con le conclusioni dell’Avvocato Generale devono essere ritenuti inammissibili in quanto sostanzialmente rivolti ad una diversa valutazione dei fatti insindacabilmente accertati nello pronuncia impugnata. Per costante orientamento S.U. 26250 e 20344 del 2018 è sottratto al controllo di legittimità l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni e la valutazione delle risultanze processuali. Rientra in tale ambito l’individuata intermediazione nel complesso sistema acquisito al processo, sia in relazione alla non decisività del conferimento del mandato per escludere l’illecito, sia in relazione al ruolo, anche contrattualmente determinante, svolto dalla società SDL, titolare della documentazione di diretta rilevanza processuale. 11. Nel terzo motivo viene dedotta la violazione del D.Lgs. n. 96 del 2001, art. 7, comma 1 in relazione alla condotta disciplinarmente rilevante riguardante l’indebita utilizzazione del titolo di avvocato. La ricorrente esclude un utilizzo abusivo e rileva che la pronuncia le addebita confusione, precisando che nella carta intestata e negli atti giudiziari risulta sempre usato il termine abogado . Peraltro medio tempore è divenuta effettivamente avvocato con delibera del 3/7/2015. Viene inoltre richiesta in via subordinata la derubricazione della sospensione in censura atteso il sopravvenuto acquisto del titolo. 12. La censura è inammissibile in quanto a pag. 8 della pronuncia impugnata, nel penultimo capoverso, viene svolto un esame comparativo ampiamente argomentato ed insindacabile in relazione all’uso del termine av. nei rapporti con i clienti ed invece all’uso del termine abogado di cui allora era titolare, nei rapporti con il C.O.A. o con gli altri colleghi. Del pari inammissibile la richiesta subordinata. La Corte di Cassazione non può sostituirsi al C.N. F. nel giudizio di adeguatezza della sanzione se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, nella specie pienamente riconoscibile nella esaustiva motivazione della pronuncia impugnata sia in relazione alla pluralità delle condotte illecite che in relazione alla loro gravità ed intenzionalità. La rilevanza disciplinare delle stesse, infine, non può essere scalfita da eventi successivi, del tutto ininfluenti rispetto alla effettiva verifica dei fatti accertati. 13. Con l’unico motivo di ricorso D.L.S. ha dedotto la violazione dell’art. 53 della legge professionale e dell’art. 22 del nuovo codice disciplinare in quanto essendo divenuto avvocato è venuta meno la funzione della sanzione da rinvenirsi nell’evitare la reiterazione dell’illecito per il futuro. Per il resto è stata esclusa la funzione di organizzatore dell’illecita intermediazione in capo al ricorrente ed allora non permangono ragioni a sostegno dell’addebito disciplinare. 14. Le disposizioni poste a base della censura non contengono una qualificazione dell’illecito coerente con la prospettazione del ricorrente nè alcuna altra norma della legge professionale, come sottolineato anche nella requisitoria dell’Avvocato Generale, stabilisce che la sanzione sia irrogabile soltanto quando l’illecito possa essere reiterato. Il CNF ha escluso l’ipotesi sanzionatoria più lieve, sulla base di una valutazione complessiva delle condotte dell’incolpato. Ha individuato nell’indebita utilizzazione del titolo di avvocato, pienamente consumata, e non eliminabile ex post con la sopravvenuta regolarizzazione, un illecito disciplinare connotato da un grado rilevante di gravità dell’infrazione e della responsabilità, in quanto realizzato anche attraverso la diffusione in internet - e dunque con ampie potenzialità di conoscenza di terzi - del titolo non ancora conseguito vedi sito A.N.P.A.R. pag. 9 pronuncia impugnata . Tale valutazione è fondata su una giustificazione argomentativa del tutto adeguata, e, non presentando alcun profilo d’incongruità ed irragionevolezza, è insindacabile. 15. In conclusione il ricorso proposto da N.P. è inammissibile, quello proposto da D.L.S. deve essere rigettato. In mancanza di parte intimata non vi è statuizione in relazione alle spese processuali del procedimento. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del Consiglio Nazionale Forense e del Consiglio Distrettuale di Disciplina. Dichiara inammissibile il ricorso proposto da N.P. e rigetta il ricorso proposto da D.L.S Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.