Ius superveniens: prescrizione e legge professionale forense

Le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense hanno natura amministrativa talché con riferimento al regime giuridico della prescrizione non è applicabile lo ius superveniens ove più favorevole all'incolpato quando la contestazione dell'addebito sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della l. n. 247/2012. Nella fase dinanzi al CNF opera il principio di cui al combinato disposto degli artt. 2945, comma 2, e 2943 c.c., ossia il principio dell’effetto interruttivo permanente che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell’impugnazione, con la conseguenza che durante il periodo di tempo decorso tra l’udienza ed il deposito della decisione del CNF non risulta necessario alcun atto interruttivo della prescrizione.

È quanto stabiliscono le Sezioni Unite Civili nella sentenza n. 15896/2019 depositata il 13 maggio. Il caso. Con decisione del 28.10.2010, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari irrogava all’avvocato M.I. la sanzione disciplinare della sospensione per un bimestre dall’esercizio dell’attività professionale. Il Consiglio Nazionale Forense, adito dall’avvocato, ritenuta corretta la decisione in punto di sussistenza degli addebiti, applicava la sanzione della censura di cui all’art. 21 del nuovo codice deontologico. Avverso tale decisione M.I. proponeva ricorso per cassazione per l’asserita prescrizione dell’azione disciplinare art. 56, comma 3, legge professionale forense in quanto tra la data dell’udienza dibattimentale 31.03.2012 e la data in cui si è avuto notizia del deposito della decisione 27.12.2018 notificata presso la Segreteria del Consiglio Nazionale Forense 21.12.2018 non risulta essere intervenuto alcun atto interruttivo. La Corte di Cassazione rigetta il ricorso. La nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense. Con la legge n. 247 del 31 dicembre 2012, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 15 del 18 gennaio 2013, si è provveduti a riformare l’ordinamento della professione forense. La ratio della riforma deve essere individuata nel sentito obiettivo di consentire l’accesso e la permanenza nella professione di avvocato ai più meritevoli e a chi esercita concretamente, assicurando così una migliore specializzazione e preparazione dei professionisti. In particolare le principali novità previste dalla riforma riguardano l’accesso alla professione tre prove scritte e una orale da svolgersi senza codici commentati l’obbligo per l’avvocato di provvedere al suo regolare e continuo aggiornamento professionale al fine di assicurare la qualità delle prestazioni la possibilità di costituire società tra avvocati anche di natura multidisciplinare l’obbligo, ancora, dell’avvocato di rendere edotto il cliente della complessità dell’incarico torna il divieto del patto di quota lite e la difesa d’ufficio assume un ruolo centrale. In particolare la Legge Professionale de qua all’art. 3 prevede i doveri e la deontologia dell’esercizio della professione forense allontanandosi dalla natura di mere norme etiche, infatti, il Consiglio Nazionale Forense ha predisposto ed approvato il Codice Deontologico Forense, in vigore dal 15 dicembre 2014. Illeciti professionali e regime prescrizionale. Il 5 comma dell'art. 65 della legge professionale del 2012 sancisce espressamente che l'entrata in vigore del codice deontologico determina la cessazione di efficacia delle norme previgenti anche se non specificamente abrogate, e che le norme contenute nel codice suddetto si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato. In altri termini, a ben vedere, la disposizione estenderebbe agli illeciti professionali-disciplinari il principio del favor rei. Sulla portata di tale norma sono emersi orientamenti contrastanti. Per una prima ed isolata posizione, la disposizione di cui all’art. 65, comma 5, legge professionale si riferirebbe anche alla prescrizione. Un diverso e prevalente orientamento, invece, esclude dall’ambito di applicazione della norma de qua l’istituto della prescrizione in forza della natura formale e sostanziale amministrativa delle sanzioni disciplinari previste per gli illeciti professionali. Da ciò deriverebbe che l’art. 65 è dedicato unicamente al nuovo codice deontologico, sicché lungi dall'investire l'intera materia dell'ordinamento professionale disciplinare, esso regola esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Alla stregua di questa tesi, avallata dalle Sezioni Unite del 2018, i profili dell'ordinamento disciplinare che non trovano la relativa fonte nel codice deontologico e, quindi, per la prescrizione restano regolati dal criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative. La sanzione disciplinare, cioè, è un provvedimento amministrativo in base al diritto nazionale, ed a conclusioni analoghe si perviene anche sulla base del diritto CEDU. Ad onor del vero, la sanzione non è inflitta dall'autorità giudiziaria, ma da un organo amministrativo e non risponde, almeno direttamente, ad una funzione deterrente e repressiva, quanto piuttosto ad una funzione di tutela tanto degli utenti del servizio reso dal professionista quanto del prestigio dell'ente di appartenenza. Natura amministrativa delle sanzioni disciplinari e atti interruttivi della prescrizione. Le sanzioni disciplinari contenute nel codice deontologico forense, in definitiva, hanno natura amministrativa con la conseguenza che, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, non è applicabile la normativa sopravvenuta ove più favorevole all'incolpato quando la contestazione dell'addebito sia avvenuta anteriormente all'entrata in vigore della nuova disciplina normativa ex multis Cass. SU n. 9558/2018 . Da ciò deriva che il regime prescrizionale applicabile agli illeciti professionali posti in essere durante la vigenza del regime antecedente all’entrata in vigore della nuova legge professionale forense e del codice deontologico è quello di cui all’art. 51 del r.d. n. 1578/1933 secondo cui l’azione disciplinare si prescrive in 5 anni. Nel caso di specie il ricorrente, l’avvocato M.I., invocava l'intervenuta prescrizione dell'azione disciplinare, in applicazione del ius superveniens costituito dall'art. 56 l. n. 247/2012, entrata in vigore nelle more del procedimento a suo carico. In particolare, l’art. 56 citato al comma 3 fissa in sette anni e mezzo il termine massimo di prescrizione dell'azione disciplinare che inizia a decorrere nuovamente per cinque anni da ogni atto interruttivo che, nella fattispecie, non sono intervenuti . In particolare, secondo il ricorrente la disciplina della prescrizione, più favorevole rispetto a quella vigente al tempo in cui la condotta ritenuta illecita è stata commessa, si applicherebbe al caso in esame in virtù dell'art. 65 della medesima legge, secondo il quale, giova ripeterlo, le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato. Sulla scorta delle motivazioni summenzionate in merito alla natura delle sanzioni disciplinari, l’argomentazione del ricorrente non può trovare accoglimento, a nulla rilevando l’eccezione dell’assenza di atti interruttivi in quanto nella fase dinanzi al Consiglio Nazionale Forense opera il principio di cui al combinato disposto degli artt. 2945, comma 2, e 2943 c.c., ossia il principio dell’effetto interruttivo permanente che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell’impugnazione dinanzi alle Sezioni Unite. Ne consegue che durante l’intero periodo di tempo decorso tra l’udienza ed il deposito della decisione del CNF non è necessario alcun atto interruttivo della prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 21 maggio – 13 giugno 2019, n. 15896 Presidente Tirelli – Relatore Sambito Fatti di causa Con decisione del 28.10.2010, Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Cagliari irrogava all’Avv. I.M. la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi. Il Consiglio Nazionale Forense, adito dall’Avvocato, ritenuta corretta la decisione impugnata in punto di sussistenza degli addebiti, gli ha applicato la sanzione della censura, considerando il comportamento complessivo dallo stesso tenuto. Avverso tale decisione, l’Avvocato I. propone ricorso per cassazione. L’intimato non ha svolto attività difensiva. Ragioni della decisione 1. Rilevato, preliminarmente, che ogni questione relativa alla supposta irregolarità della notificazione della decisione impugnata è superata dalla tempestività del ricorso, con l’unico motivo dedotto a suo sostegno, il ricorrente afferma che l’azione disciplinare è prescritta R.D.L. 27 novembre 1933, ex art. 56, comma 3, in quanto tra la data del 31.3.2012, in cui si è tenuta l’udienza dibattimentale, e la data del 27.12.2018 in cui esso ricorrente ha avuto notizia del deposito della decisione, a lui notificata presso la Segreteria del CNF il 21.12.2018, non è intervenuto alcun atto interruttivo. 2. L’eccezione, sollevata in questa sede, è ammissibile Cass. SU n. 28159 del 2008 e n. 5038 del 2004 , in quanto la prescrizione dell’azione disciplinare è rilevabile anche d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio e la sua soluzione non comporta indagini fattuali che sarebbero precluse in questa sede , essendo pacifici i dati assunti. L’eccezione non è però fondata. 3. Va premesso che nel cospicuo lasso di tempo intervenuto tra deliberazione marzo 2012 e deposito novembre 2018 della sentenza, è stata emessa la L. 31 dicembre 2012, n. 247, recante la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense. La nuova normativa è stata, peraltro, richiamata in seno alla decisione, ed è stata applicata, in base alla norma transitoria di cui all’art. 65, comma 5, di tale legge, che ha esteso agli illeciti disciplinari il canone del favor rei la sentenza ha, infatti, comparato gli apparati sanzionatori del codice deontologico forense approvato il 31.1.2014 con quello previgente ed è, in conseguenza, pervenuta alla conclusione secondo cui l’oggetto di valutazione è il comportamento complessivo dell’incolpato art. 21, comma 2 del nuovo CDF rilevando che la sanzione da comminare è unica in concreto, la censura , anche in caso di pluralità di addebiti. In relazione alla disciplina della prescrizione, queste Sezioni Unite, con orientamento al quale va data continuità cfr. di recente SU n. 9558 del 2018 con ampi richiami , hanno affermato che per i profili dell’ordinamento disciplinare che non trovano la relativa fonte nel codice deontologico id est le ipotesi d’illecito e le sanzioni da essi rispettivamente contemplate , resta operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, tali essendo, appunto, le sanzioni disciplinari contenute in detto codice. Con la conseguenza che, con riferimento al regime giuridico della prescrizione, che è regolata da disposizione legale, non è applicabile lo jus superveniens, ove più favorevole all’incolpato, quando, come nella specie, la contestazione dell’addebito sia avvenuta anteriormente all’entrata in vigore della nuova disciplina normativa. 4. La disposizione che regola la prescrizione nel regime antecedente, e che va dunque applicata, è costituita dal R.D. n. 1578 del 1933, art. 51, secondo cui L’azione disciplinare si prescrive in cinque anni . Premesso che l’erronea indicazione della disposizione da parte del ricorrente il successivo R.D. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, regola, infatti, i termini ed il contenuto del ricorso per cassazione non comporta alcuna inammissibilità, va rilevato che, secondo la condivisa giurisprudenza di queste Sezioni Unite Cass. SU n. 23364 del 2015 n. 24094 del 2006 n. 5072 del 2003 n. 187 del 2001, n. 9428 del 1997 mentre nella fase amministrativa del procedimento disciplinare, svolta dinanzi al COA, costituiscono valido atto di interruzione della prescrizione l’atto di apertura del procedimento e tutti gli atti procedimentali di natura propulsiva o probatoria consulenza tecnica d’ufficio, interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento , di modo che, ai sensi dell’art. 2945 c.c., comma 1, dal momento dell’interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense opera, invece, il principio dell’effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto dell’art. 2945 c.c., comma 2, e art. 2943 c.c., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell’impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza. 5. Ne consegue che durante l’intero periodo di tempo, decorso tra l’udienza ed il deposito della decisione del CNF il cui termine è ordinatorio , non era necessario alcun atto interruttivo della prescrizione, operando, appunto, l’effetto permanente dovuto alla pendenza del giudizio. 6. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Nulla per le spese, in mancanza di attività difensiva della parte intimata. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.