Non è necessaria un’autorizzazione per acquisire i dati personali archiviati dal professionista in ragione della propria professione

La Corte di Cassazione ha chiarito che non è necessaria una specifica autorizzazione del Pubblico Ministero per acquisire dati personali archiviati nel computer del professionista se al momento della perquisizione della Guardia di Finanza, pur in assenza del professionista, il personale dello studio non si è opposto.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 6486/19, depositata il 6 marzo. Il caso. La Guardia di Finanza accedeva in uno studio odontoiatrico, adibito anche ad abitazione del professionista, ed acquisiva i dati personali dei clienti dello studio, al fine di dimostrare il fatturato non dichiarato dal professionista. Tale accertamento veniva impugnato adducendo, tra le altre motivazioni, l’omessa autorizzazione del Pubblico Ministero per l’accesso ai locali e l’acquisizione del back up dei dati del professionista. Acquisizione dell’hard disk dei dati personali sanitari e giudiziari da parte dell’Autorità Giudiziaria. La Corte ha affermato che in assenza dell’opposizione del segreto professionale da parte del professionista deve ritenersi legittima l’acquisizione della copia dell’hard disk del computer, pur in assenza della specifica autorizzazione del Pubblico Ministero prevista dall’art. 52 d.P.R. n. 633/1972. Tale disposizione, infatti, prevede che il procuratore, o l’autorità giudiziaria più vicina al luogo delle operazioni, deve autorizzare l’esecuzione di perquisizioni personali, apertura coattiva di pieghi sigillati, borse, casseforti, mobili, ripostigli e simili, nonché l’esame di documenti e notizie per i quali è eccepito il segreto professionale. La Corte ha ritenuto che, nel caso di specie, l’acquisizione non possa ritenersi coattiva in quanto il personale non ha opposto alcun impedimento alla stessa segreto professionale e/o rispetto della normativa in materia di protezione dei dati personali dei clienti . Pertanto, ha concluso la Corte, non sussiste illegittima acquisizione di dati e notizie non essendo stato violato alcun diritto costituzionale. La sentenza sembra pervenire a conclusioni semplicistiche, posto che nel verificare la legittimità delle operazioni svolte, viene considerata unicamente l’assenza di violazione di domicilio da parte degli accertatori, ma non viene minimamente considerato il diritto alla tutela dei dati sanitari dei pazienti, la cui disciplina di maggior tutela rispetto ai dati comuni è equiparabile a quella riservata ai dati giudiziari – entrambe le categorie di dati personali sono, infatti, definite particolarmente importanti” in provvedimenti e schede di sintesi del Garante-. Alla luce di questa pronuncia, per gli avvocati, così come per i professionisti in ambito sanitario, rileva la necessità di contestare in sede di accertamento eventuali violazioni relative al segreto professionale ed alla normativa privacy in materia di tutela dei dati giudiziari perché queste possano essere fatte valere in sede di verifica di legittimità delle operazioni compiute in sede di accertamento, oltre che per evitare eventuali sanzioni disciplinari e responsabilità di natura deontologica. In ultimo risulta altrettanto prioritario per il professionista che il personale dipendente riceva formazione specifica in caso di accertamenti fiscali e/o di altra natura.

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, ordinanza 21 dicembre 2018 – 6 marzo 2019, n. 6486 Presidente Locatelli - Relatore Napolitano Rilevato che Con sentenza n. 19/01/2011, depositata il 20 dicembre 2011, non notificata, la CTR della Valle d’Aosta accolse l’appello proposto dall’Agenzia delle Entrate nei confronti del Dott. C.P.M. avverso la sentenza della CTP di Aosta, che aveva invece accolto i ricorsi del contribuente, separatamente proposti e quindi riuniti, avverso quattro avvisi di accertamento per gli anni d’imposta 2002, 2003, 2004 e 2005 per IRPEF, addizionale regionale all’IRPEF, IVA ed IRAP, scaturenti da attività di verifica compiuta dalla Guardia di Finanza, trasfusa nel relativo processo verbale di constatazione, svolta a seguito di accesso presso il domicilio abitazione in Italia del Dott. C. , sede anche del suo studio professionale di odontoiatra. Avverso la sentenza della CTR il contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato a sette motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate. Considerato che 1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , nella parte in cui la decisione impugnata ha affermato che la questione relativa all’eccepita, dal contribuente, illegittima acquisizione di dati estratti dall’hard disk del computer ivi rinvenuto, riguardanti radiografie effettuate nei confronti dei clienti, costituiva ulteriore motivo d’impugnazione formulato con memoria aggiunta, senza che ciò potesse considerarsi reso necessario dal deposito di documenti che non fossero conosciuti dal contribuente. 2. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , nella parte in cui la decisione impugnata aveva ritenuto sufficiente a giustificare l’acquisizione e l’esame di documenti per i quali fosse eccepito il segreto professionale l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica di cui al citato decreto IVA, art. 52, comma 1, occorrendo invece la specifica ulteriore autorizzazione di cui all’art. 52, comma 3, in oggetto. 3. Con il terzo motivo il contribuente denuncia violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , lamentando l’erroneità della pronuncia impugnata, laddove non aveva considerato che il segreto professionale non era stato eccepito in quanto il professionista, assente al momento delle operazioni di verifica del 24 aprile 2007, aveva avuto notizia solo il 13 giugno 2007, cioè al momento della notifica del processo verbale di constatazione, che era stata acquisita dai verificatori copia dell’hard disk del suo computer. 4. Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 70 e dell’art. 191 c.p.p., con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , nella parte in cui la decisione impugnata ha ritenuto utilizzabili ai fini dell’accertamento documenti acquisiti in violazione di norme poste a garanzia del contribuente, come l’art. 52, in relazione alle distinte previsioni dei commi 2, 3 e 6. 5. Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata per difetto di motivazione e violazione degli artt. 115, 116 c.p.c. e art. 132 c.p.c., n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5 , nella parte in cui la CTR ha affermato che l’acquisizione, eventualmente illegittima, dei documenti dell’hard disk è del tutto marginale ai fini della ricostruzione dei ricavi attribuiti al contribuente, non potendo delegittimare l’intera attività ispettivafondata anche su prove diverse, tra le quali l’acquisizione delle schede clienti archiviate. 6. Con il sesto motivo il ricorrente denuncia violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7 c.d. Statuto del Contribuente , in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , nella parte in cui la sentenza impugnata ha ritenuto infondata l’eccezione del contribuente che lamentava il difetto di motivazione degli atti impositivi che non avevano distinto le risultanze di diverse tipologie di accertamento analitico e analitico - induttivo sfociate nell’emanazione dei quattro atti impositivi impugnati dal contribuente. 7. Con il settimo motivo, infine, il ricorrente lamenta ancora violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, dell’art. 2697 c.c., della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, e dell’art. 24 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 , per non avere la sentenza impugnata rilevato il difetto di chiarezza degli atti sul presupposto che il contribuente avrebbe partecipato alle operazioni senza muovere contestazioni, con ciò accettando i contenuti del processo verbale di constatazione, senza considerare che la parte era stata assente alla verifica del 24 aprile 2007 e non aveva potuto quindi contestare l’acquisizione illegittima della copia dell’hard disk. 8. Il primo motivo è infondato. Dal tenore degli atti di causa, quali riportati dal ricorrente in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, si evince che, negli originari ricorsi avverso gli atti impositivi, la doglianza di illegittima acquisizione di dati e notizie nel corso dell’accesso domiciliare era limitata all’insufficienza dell’autorizzazione rilasciata dal Procuratore della Repubblica ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 1, trattandosi di accesso in luogo costituente anche domicilio abitazione del contribuente in Italia, a giustificare anche l’estrazione di copia dell’hard disk contenente dati sensibili, in relazione alla quale i verbalizzanti avrebbero dovuto munirsi della diversa autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3. 8.1. Non è dato cogliere, negli originari ricorsi, invece, l’ulteriore questione relativa alla violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, relativa all’omissione di verbale di accesso nel giorno 24 aprile 2007 in cui, come da verbale di verifica, fu acquisita dalla Guardia di Finanza, in assenza del contribuente, la copia dell’hard disk contenente le radiografie dei clienti e la documentazione, avente natura di contabilità parallela a quella ufficiale, ad essi inerente. 8.2. Ciò comporta che è corretta in diritto la statuizione impugnata, laddove ha ritenuto inammissibile detto motivo aggiunto in relazione al disposto del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24, atteso che l’integrazione dei motivi addotti in ricorso è consentita con memoria aggiuntiva esclusivamente in caso di deposito di documenti non conosciuti ad opera delle altre parti o per ordine della commissione cfr. Cass. sez. 6-5, ord. 12 settembre 2018, n. 22223 Cass. sez. 65, ord. 13 aprile 2017, n. 9637 Cass. sez. 5, 2 luglio 2014, n. 15051 Cass. sez. 5, 15 ottobre 2013, n. 23326 , circostanza non ricorrente nella fattispecie in esame. 9. Ugualmente è infondato il secondo motivo. Non è contestata in fatto la statuizione della CTR secondo cui il segreto professionale non fu opposto dal contribuente e ciò, di per sè, induce a ritenere legittima l’estrazione della copia dell’hard disk del computer del contribuente pur in assenza della specifica autorizzazione di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3. Parte ricorrente assume di non essere stata posta in condizione di opporre il segreto perchè assente in occasione del nuovo accesso del 24 aprile 2007 in cui i verbalizzanti misero in atto detta operazione. In proposito giova osservare che le garanzie difensive, anche in relazione al disposto della L. n. 212 del 2000, art. 12, non richiedono la necessaria presenza della parte e che, in ogni caso, anche quando il contribuente, in occasione della notifica del processo verbale di constatazione assume di avere avuto conoscenza di detta acquisizione, alcuna contestazione fu in quella sede sollevata. Lo stesso ricorrente ha d’altronde implicitamente ammesso che, nel procedere a detta operazione di back up dei dati archiviati nell’hard disk del computer di studio, i militari della Guardia di Finanza si siano avvalsi della collaborazione del personale di studio presente, sicchè anche sotto questo profilo è da escludere che detta operazione sia equiparabile ad apertura coattiva dei contenitori indicati nel D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 3, che necessita dell’autorizzazione ivi prescritta si vedano Cass. sez. 5, ord. 4 ottobre 2018, n. 24306 Cass. sez. 5, 18 febbraio 2015, n. 3204 Cass. sez. 5, 23 aprile 2007, n. 9565 . 10. Il terzo motivo, col quale il ricorrente censura la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52, comma 6, è inammissibile, in conseguenza di quanto già osservato a fondamento del rigetto del primo motivo, non potendo dedursi come motivo di ricorso per cassazione questione già preclusa all’esame del giudice di merito, trattandosi di questione introdotta solo con memoria senza che si fosse in presenza delle condizioni legittimanti la proposizione di motivi aggiunti in relazione al disposto del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 24. 11. Il quarto motivo è infondato. Questa Corte ha in più occasioni affermato il principio secondo cui In materia tributaria, le irritualità nell’acquisizione di elementi rilevanti ai fini dell’accertamento non comportano, di per sè e in assenza di specifica previsione, la loro inutilizzabilità, salva solo l’ipotesi in cui venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale cfr., tra le altre, Cass. sez. 5, 27 febbraio 2015, n. 4066 Cass. sez. 5, 16 dicembre 2011, n. 27149 , essendosi in proposito già rilevato che l’accesso domiciliare era stato debitamente autorizzato. 11.1. Ed ancora l’esclusione, in ambito tributario del principio d’inutilizzabilità delle prove acquisite dai militari della Guardia di Finanza, ove anche fossero state acquisite senza il rispetto delle formalità di garanzia difensiva prescritte per il procedimento penale, trova conferma nella giurisprudenza di questa Corte in forza del principio di autonomia del procedimento penale rispetto a quello di accertamento tributario cfr. Cass. sez. 5, 24 novembre 2017, n. 28060 Cass. sez. 5, 12 novembre 2010, n. 22894 , al quale ha fatto, quindi, corretto riferimento la sentenza impugnata. 12. Il quinto motivo è inammissibile. Invero l’affermazione oggetto sul punto di censura da parte della sentenza impugnata in ordine alla ritenuta marginalità ai fini della prova delle circostanze oggetto di contestazione al contribuente, oltre ad esprimere una valutazione, congruamente motivata, riservata istituzionalmente al giudice di merito, integra peraltro una motivazione ulteriore per la sola ipotesi che l’acquisizione dei contenuti dell’hard disk fosse ritenuta derivante eventualmente da un irregolare verbale, ciò che in realtà non è stato accertato davanti al giudice di merito. 13. Il sesto ed il settimo motivo che, in relazione a profili diversi, assumono che la sentenza impugnata non abbia rilevato la carenza motivazionale degli atti impositivi, sono anch’essi infondati. 13.1. Invero, in ordine al primo profilo illustrato nel sesto motivo di ricorso, la sentenza impugnata risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui l’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo non esclude che l’Amministrazione possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36, comma 1, oppure, contemporaneamente, di entrambe le metodologie cfr. Cass. sez. 5, 27 giugno 2008, n. 17626 Cass. sez. 5, 18 dicembre 2006, n. 27608 Cass. sez. 5, 5 agosto 2002, n. 11686 . 13.2. Peraltro, atteso che l’utilizzazione delle diverse metodologie converge in maniera indiscussa verso un risultato unitario, è da escludere che debba darsi sotto il profilo espositivo separato rilievo ad entrambe. 14. In relazione alla doglianza di cui al settimo motivo, essa riprende e sviluppa, sotto il profilo del difetto di motivazione dell’atto impositivo, la questione relativa al preteso difetto di contraddittorio in ordine all’acquisizione, nel corso dell’accesso del 24 aprile 2007, dei contenuti dell’hard disk del computer rinvenuto presso lo studio abitazione del Dott. C. . 14.1. In proposito è sufficiente osservare che il lamentato omesso rilievo da parte del giudice tributario della carenza motivazionale degli atti impositivi risulta priva di fondamento, stante l’espresso riferimento al processo verbale di constatazione, conosciuto dal contribuente perchè da lui sottoscritto, in cui ugualmente alcuna contestazione venne formulata in ordine alla modalità di acquisizione dei dati anzidetti in ordine al valore presuntivo di documenti informatici estratti legittimamente da computer nella disponibilità del contribuente accertato aventi evidenza di contabilità non ufficiale cfr. Cass. sez. 5, 3 ottobre 2014, n. 20902 Cass. sez. 5, 12 febbraio 2010, n. 3388 . In conclusione il ricorso va quindi rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.