La liquidazione dell’onorario dell’avvocato scaturente dall’attività prestata dinanzi al giudice amministrativo

Ai fini della determinazione degli onorari dell’avvocato, la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto deve essere considerata di valore indeterminabile, in quanto la causa petendi della domanda è l’illegittimità dell’atto stesso, mentre il petitum la sua eliminazione senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda.

Lo chiarisce la Suprema Corte con ordinanza n. 31255/18 depositata il 4 dicembre. Il caso. Il Tribunale accoglieva la domanda di ammissione al passivo della società proposta dal ricorrente e relativa a crediti professionali scaturenti dall’attività prestata in favore della società in cinque separati giudizi. Adita la Corte d’Appello, il gravame del professionista veniva rigettato in virtù del fatto che non poteva ritenersi condivisibile la tesi secondo cui il valore della controversia sarebbe dovuto essere parametrato al presumibile utile che la società avrebbe potuto trarre nel caso di accoglimento del ricorso avverso il bando di gara per l’aggiudicazione dell’appalto ma, al contrario, la causa doveva reputarsi di valore indeterminabile. Per tali motivi, l’avvocato ricorre adisce la Suprema Corte lamentando la violazione e la falsa applicazione delle norme dettate in tema di determinazione del valore della controversia giudiziale con riferimento ai giudizi dinanzi al giudice amministrativo. Determinazione dell’onorario. Sulla questione gli Ermellini hanno già avuto modo di affermare che ai fini della determinazione degli onorari dell’avvocato, in base all’art. 6 della tariffa forense approvata con d.m. n. 585/1994, va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto, poiché la causa petendi della domanda è l’illegittimità dell’atto stesso, mentre il petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda. Nella fattispecie, il fatto che l’oggetto dei processi amministrativi nei quali il ricorrente ha prestato la sua attività sia stato limitato alla sola impugnativa dei bandi di gara e non anche all’esecuzione degli appalti, impone di considerare corretta la decisione del giudice di merito e, dunque, di ritenere la controversia di valore indeterminabile ai fini della liquidazione degli onorari spettanti all’avvocato della parte. Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente e al versamento del contributo unificato dovuto per il ricorso principale.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 luglio – 4 dicembre 2018, n. 31255 Presidente D’Ascola – Relatore Criscuolo Motivi in fatto ed in diritto della decisione Il ricorrente proponeva domanda di ammissione al passivo della F. Stirling S.p.A. per la complessiva somma di Euro 357.973,99 al lordo della ritenuta d’acconto per crediti professionali scaturenti dall’attività prestata in favore della società in cinque separati giudizi. Il Tribunale accoglieva la domanda limitatamente all’importo di Euro 120.194,03, ed a seguito di appello del professionista, la Corte d’Appello di Roma con la sentenza n. 173 del 13 gennaio 2016 rigettava il gravame, compensando le spese del giudizio di appello. Ad avviso dei giudici di secondo grado, l’unico motivo di appello con il quale si contestava il criterio seguito dal Tribunale per liquidare i compensi relativi ai due giudizi amministrativi patrocinati dal I. per conto della società, era infondato, essendo corretto il ricorso all’art. 6 co. 5 del DM n. 585/1994, applicabile ratione temporis, in luogo di quanto invece previsto dal secondo comma del medesimo articolo. Infatti, non poteva accedersi alla tesi dell’appellante secondo cui il valore della controversia andava parametrato al presumibile utile pari al 20% dell’importo del contratto che la società avrebbe potuto trarre in caso di accoglimento del ricorso avverso il bando di gara per l’aggiudicazione di contratti di appalto, essendo viceversa corretta la soluzione del giudice di appello, secondo cui la causa doveva reputarsi di valore indeterminabile. L’oggetto del giudizio concerneva unicamente la legittimità degli atti impugnati, sicché il ragionevole utile ritraibile in caso di esecuzione dell’appalto era del tutto estraneo sia al petitum che alla causa petendi, e non poteva quindi incidere sul valore della controversia, ancorché ai fini della determinazione del compenso per il legale. Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso I.G. sulla base di un motivo. La F. Stirling S.p.A. resiste con controricorso. Preliminarmente deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dalla resistente la quale ha dedotto che l’impugnazione è stata proposta tardivamente, oltre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c Il presupposto erroneo da cui però parte la deduzione de qua, è costituito dall’applicabilità alla fattispecie del ridotto termine semestrale così come stabilito con la riforma di cui alla legge n. 69/2009, termine che però appare suscettibile di applicazione, alla luce delle specifiche norme di diritto intertemporale, solo in caso di giudizi introdotti in data successiva al 4 luglio 2009, occorrendo a tal fine avere riguardo alla data di inizio in primo grado, e non anche, come invece opinato dalla controricorrente, alla diversa data di introduzione del giudizio di appello cfr. in tal senso Cass. 19969/2015 Cass. n. 20102/2016 . Orbene, poiché la domanda di ammissione al passivo che ha dato origine alla controversia risale al 27 ottobre 2006, risulta ancora applicabile il termine annuale di cui alla originaria formulazione dell’art. 327 c.p.c., termine in relazione al quale, atteso il deposito della sentenza impugnata, avvenuto in data 13 gennaio 2016, il ricorso notificato in data 12/1/2017 si palesa evidentemente come tempestivo. Il motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 10 c.p.c., nonché dell’art. 6 del DM n. 585/1994 e dei principi e delle norme dettate in tema di determinazione del valore della controversia giudiziale, con specifico riferimento ai giudizi dinanzi al giudice amministrativo. Rileva il ricorrente che il criterio dell’indeterminabilità del valore delle controversie dinanzi al giudice amministrativo si palesa incongruo nel caso in cui la controversia concerna appalti, in quanto in tal caso il valore sarebbe determinabile sulla base dell’utile che la parte avrebbe conseguito in seguito all’aggiudicazione dell’appalto. Nella fattispecie doveva quindi correttamente farsi applicazione dell’art. 6 co. 2 del citato DM, anche alla luce del fatto che il valore della controversia si palesava come manifestamente diverso da quello presunto a norma del c.p.c., essendo altresì necessario tenere conto del valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti. Il motivo è evidentemente destituito di fondamento, atteso che la pronuncia gravata risulta avere deciso la controversia in conformità della giurisprudenza di questa Corte secondo cui, in una vicenda assolutamente speculare a quella in esame, ai fini della determinazione degli onorari di avvocato, in base all’art. 6 della tariffa forense approvata con d.m. 5 ottobre 1994, n. 585 applicabile ratione temporis , va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto nella specie, di aggiudicazione di un appalto di opere pubbliche , qualora la causa petendi della domanda sia l’illegittimità dell’atto stesso e il petitum la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda Cass. n. 20727/2017 Cass. n. 21304/2016 Cass. n. 1754/2013 conf. Cass. n. 12178/2003 . Tale principio è stato poi di recente ribadito da Cass. n. 15061/2018, secondo cui in tema di determinazione degli onorari di avvocato, ai sensi dell’art. 6 della tariffa forense approvata con d.m. n. 585 del 1994 applicabile ratione temporis , va considerata di valore indeterminabile la controversia introdotta innanzi al giudice amministrativo per l’annullamento di un atto, poiché la causa petendi della domanda è l’illegittimità dell’atto stesso, mentre il petitum è la sua eliminazione, senza che rilevino eventuali risvolti patrimoniali della vicenda. La limitazione dell’oggetto dei processi amministrativi nei quali il ricorrente ha prestato la sua attività, alla sola impugnativa dei bandi di gara, non venendo quindi in discussione anche l’esecuzione degli appalti, impone quindi di reputare corretta la decisione del giudice di merito di ritenere la controversia di valore indeterminabile ai fini della liquidazione degli onorari spettanti al difensore della parte, sicché una volta ribadita la natura indeterminabile del valore del giudizio, la rilevanza e l’interesse delle parti in vista della successiva ed eventuale aggiudicazione degli appalti, si pone esclusivamente come criterio per orientare la liquidazione del giudice tra il minimo ed il massimo tariffario, ma non anche per consentire di far riferimento ad un diverso scaglione di calcolo. Né appare rilevante il richiamo alla modifica di cui al DPR n. 115/2002 in tema di contributo unificato, posto che la disciplina dettata in materia per i giudizi amministrativi, attiene ad un profilo, quale quello del peso fiscale del processo, ben diverso da quello che invece è oggetto del presente giudizio. Il ricorso deve pertanto essere rigettato. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese in favore della controricorrente che liquida in complessivi Euro 5.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali pari al 15 % sui compensi, ed accessori come per legge Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, l. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso principale a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.