La distrazione delle spese processuali in caso di pluralità di difensori

Quando la parte è assistita da più difensori la distrazione delle spese di giudizio, ai sensi dell’art. 93 c.p.c., necessita l’attestazione che nessuno di essi abbia riscosso gli onorari oggetto della richiesta. La citata dichiarazione può essere resa anche da uno solo dei difensori, se munito di procura ad agire disgiuntamente, ma deve essere necessariamente riferita all’intero collegio difensivo .

Questo il principio affermato dalla Cassazione con l’ordinanza n. 21281/18 depositata il 29 agosto. Il caso. La vicenda oggetto di ricorso traeva origine dal rigetto dei Giudici di merito, in entrambi i gradi di giudizio, dell’opposizione ad un decreto ingiuntivo di pagamento emesso nei confronti dell’opponente/ricorrente. Giudicando inammissibile il ricorso per carenza dei requisiti di cui all’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., i Giudici di legittimità hanno ritenuto, inoltre, che le spese di giudizio dovevano essere poste a carico del ricorrente. Tuttavia, secondo il Supremo Collegio non ricorrono le condizioni per disporre la distrazione delle spese in favore dell’avvocato della controparte che ne aveva fatto espressa richiesta. In particolare nella fattispecie la controricorrente risulta assistita oltre che dal difensore che ha formulato la richiesta di distrazione anche da un altro avvocato che non si è dichiarato antistatario e non ha richiesto la distrazione in proprio favore. Pluralità di difensori e spese processali. Sul punto la Cassazione ricorda che l’art. 93 c.p.c. prevede che il difensore può chiedere che il giudice distragga in suo favore e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che ha anticipato. Tale norma deve interpretarsi nel senso che la richiesta di distrazione deve comunque concernere l’intero collegio difensivo. Precisa la Corte che la traslazione del diritto alle spese fa sorgere in capo al difensore un diritto autonomo e diverso rispetto alla posizione sostanziale della parte rappresentata ed è ammessa a condizione che, da un lato, la parte privata non abbia corrisposto gli onorari e, dall’altro, che le spese vive siano state anticipate dallo stesso difensore. In caso di più difensori se le spese sono anticipate da uno di essi è escluso che siano anticipate anche dall’altro. Inoltre la dichiarazione di non aver riscosso gli onorari non può essere resa da uno solo dei procuratori, giacché, se formulata in questi termini, non basterebbe ad escludere che tali compensi possano essere stati percepiti da un altro dei difensori . Tanto premesso il Supremo Collegio ha ritenuto doversi affermare un nuovo principio sul tema secondo cui se la parte è assistita da più difensori, la distrazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 93 c.p.c. richiede l’attestazione che nessuno di essi abbia riscosso gli onorari oggetto della richiesta. Tale dichiarazione può essere resa anche da uno solo dei difensori, se munito di procura ad agire disgiuntamente, ma deve essere necessariamente riferita all’intero collegio difensivo . Nella fattispecie in esame, facendo applicazione di tale principio, la Cassazione ha dichiarato inammissibile l’istanza di distrazione in quanto l’avvocato richiedente ha dichiarato solo di essere antistatario senza nulla precisare circa la posizione del codifensore.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, ordinanza 3 maggio – 29 agosto 2018, n. 21281 Presidente Frasca – Relatore D’Arrigo Ritenuto in fatto C.S.F. proponeva opposizione avverso un decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto nei suoi confronti da O.C. , per l’importo complessivo di Euro 126.574,76 risultante da due assegni. Il Tribunale di Genova respingeva l’opposizione. Tale decisione veniva appellata dal C. , che produceva solo 341k quel punto una quietanza di pagamento a firma apparente della O. . La Corte d’appello di Genova ammetteva la produzione documentale e, a seguito di disconoscimento da parte dell’appellata, disponeva procedersi alla verificazione della firma. Infine, avendo il c.t.u. concluso per la natura apocrifa della sottoscrizione, la corte territoriale rigettava l’appello. La sentenza è fatta oggetto, da parte del C. , di ricorso per cassazione fondato su cinque motivi. La O. ha resistito con controricorso. Il consigliere relatore, ritenuta la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 380 bis c.p.c., come modificato dal D.L. 31 agosto 2016, n. 168, art. 1 bis, comma 1, lett. e , conv. con modif. dalla L. 25 ottobre 2016, n. 197 , ha formulato proposta di trattazione del ricorso in camera di consiglio non partecipata. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Con i primi tre motivi - che, in quanto strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente - il ricorrente deduce la violazione dell’art. 1863 cod. proc. civ. e degli artt. 1998 e 2697 cod. civ., nonché, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. l’omesso esame di un fatto decisivo. Tale fatto , in realtà posto a fondamento di tutte e tre le censure, è costituito da una sentenza penale di proscioglimento pronunciata a seguito della denuncia per falso sporta dalla O. nei confronti del C. in relazione alla falsa sottoscrizione della quietanza di pagamento. Il ricorso è inammissibile per carenza dei requisiti di cui all’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ Va premesso, anzitutto, che la sentenza penale di che trattasi non è una sentenza di assoluzione nel merito. Il C. è stato prosciolto dall’accusa perché il fatto falso materiale in scrittura privata non è più previsto dalla legge come reato, a seguito della depenalizzazione di cui al d.lgs. 15 gennaio 2016, n. 7. Siamo quindi al di fuori delle ipotesi di cui all’art. 652 cod. proc. pen., che presuppone la pronuncia di un’assoluzione perché il fatto non sussiste, per non aver commesso il fatto o perché il fatto non costituisce rectius, il fatto è stato commesso nell’adempimento del dovere o nell’esercizio di una facoltà . Al di fuori di queste ipotesi, la sentenza penale costituisce elemento di prova liberamente apprezzabile dal giudice con sindacato di merito non censurabile in questa sede. In ogni caso, il fatto decisivo non è dedotto nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ Infatti, il ricorso non contiene la riproduzione diretta o indiretta della sentenza penale, con la specificazione, in questo secondo caso, della parte dell’atto in cui l’indiretta riproduzione troverebbe riscontro. Il ricorrente si è limitato ad indicare solo la sede in cui sarebbe esaminabile la sentenza penale. Invece, in applicazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, qualora sia dedotta la omessa o viziata valutazione di documenti, non è sufficiente la specifica indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, ma deve procedersi anche ad un sintetico ma completo resoconto del loro contenuto, al fine di consentire la verifica della fondatezza della doglianza sulla base del solo ricorso, senza necessità di fare rinvio od accesso a fonti esterne ad esso Sez. 1, Sentenza n. 5478 del 07/03/2018, Rv. 647747 - 01 Sez. 5, Sentenza n. 14784 del 15/07/2015, Rv. 636120 - 01 . L’omessa riproduzione diretta od indiretta rende, inoltre, i motivi generici o comunque meramente assertori. Tali circostanze determinano l’inammissibilità del primo motivo e quella consequenziale del secondo, del terzo e, in parte, anche del quarto motivo, poiché tutti presuppongono l’accertamento giudiziale del fatto decisivo . Con il quarto motivo, formalmente volto a denunciare la violazione degli artt. 112 e 115 cod. proc. civ., in realtà si deduce un vizio di motivazione della sentenza impugnata, anche in relazione alle risultanze del giudizio penale di cui si è detto. Tale vizio non è più previsto fra i motivi di ricorso per cassazione, a seguito della nuova formulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134. Pertanto, il sindacato di legittimità sulla motivazione è oggi ridotto al minimo costituzionale , nel senso che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629830 - 01 . Nessuna di tali anomalie è stata denunciata con il ricorso in esame, né ricorre nel caso di specie. Consegue l’inammissibilità anche del quarto motivo. Infine, con il quinto motivo si deduce la falsa applicazione dell’art. 89 cod. proc. civ., in relazione al rigetto della richiesta di cancellazione di una serie di espressioni ingiuriose utilizzate dalla controparte nei propri scritti difensivi. Il motivo è carente di specificità art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. , essendo stata omessa l’indicazione delle espressioni asseritamente offensive. In conclusione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e le spese del giudizio di legittimità vanno poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385, comma primo, cod. proc. civ., nella misura indicata nel dispositivo. Non ricorrono, tuttavia, le condizioni per disporre la distrazione delle stesse in favore dell’avvocato Stefano Betti, difensore della O. , che ne ha fatto espressa richiesta. Va rilevato, infatti, che la O. risulta assistita - congiuntamente e disgiuntamente - dall’avvocato Betti e dall’avvocato Paolo Panariti, che invece non si è dichiarato antistatario e non ha richiesto la distrazione in proprio favore delle spese processuali. L’art. 93 cod. proc. civ. prevede che il difensore con procura può chiedere che il giudice distragga in favore suo e degli altri difensori gli onorari non riscossi e le spese che dichiara di avere anticipate. La norma va interpretata nel senso che la richiesta di distrazione, anche quando proveniente da uno solo dei procuratori se munito di mandato ad operare disgiuntamente , deve comunque concernere l’intero collegio difensivo. La ragione è chiara. La distrazione delle spese processuali in favore del difensore che ne abbia fatto richiesta priva la parte vittoriosa della possibilità di agire nei confronti del soccombente per il recupero delle stesse, dal momento che il provvedimento di distrazione fa sorgere in capo al difensore un diritto proprio, diverso ed autonomo rispetto alla posizione sostanziale della parte rappresentata v., ex plurimis, Sez. 6 - 2, Ordinanza n. 7232 del 21/03/2013, Rv. 625396 - 01 . La traslazione del diritto alle spese di lite è ammessa a condizione, da un lato, che la parte privata non abbia corrisposto gli onorari e, dall’altro, che le spese vive siano state anticipate dallo stesso difensore. Orbene, in caso di pluralità di difensori, mentre quest’ultima circostanza, se affermata positivamente da uno di essi, vale ad escludere automaticamente che le stesse spese possano essere state anticipate anche da un altro legale, la dichiarazione di non aver riscosso gli onorari non può essere resa solamente da uno dei procuratori, giacché, se formulata in questi termini, non basterebbe ad escludere che tali compensi possano essere stati percepiti da un altro dei difensori. Con la conseguenza, in quest’ultima ipotesi, che la parte privata si troverebbe nella situazione di aver sostenuto degli esborsi a titolo di compensi professionali per la prestazione d’opera legale e di non poter chiedere il pagamento delle spese processuali al soccombente, per effetto del provvedimento di distrazione che ha attribuito tale diritto ad un difensore diverso da quello che ha riscosso gli onorari. Pertanto, qualora la parte abbia più difensori, costituisce condizione per l’adozione del provvedimento di distrazione l’attestazione dell’omessa riscossione dei compensi da parte di tutti i difensori in procura. Dichiarazione che, ben può essere resa anche solo da uno di essi, se munito di mandato ad agire disgiuntamente, ma che deve essere necessariamente riferita all’intero collegio difensivo. Va dunque affermato il seguente principio di diritto Se la parte è assistita da più difensori, la distrazione delle spese processuali ai sensi dell’art. 93 cod. proc. ci v. richiede l’attestazione che nessuno di essi abbia riscosso gli onorari oggetto della richiesta. Tale dichiarazione può essere resa anche da uno solo dei difensori, se munito di procura ad agire disgiuntamente, ma Elle deve essere necessariamente riferita all’intero collegio difensivo . Facendo applicazione di tale principio nel caso di specie, l’istanza di distrazione deve essere dichiarata inammissibile, in quanto l’avvocato Betti ha dichiarato semplicemente di essere antistatario, senza nulla precisare in relazione alla posizione del codifensore avvocato Paolo Panariti. Ricorrono i presupposti per l’applicazione dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, sicché il ricorrente deve essere condannato al pagamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione da lui proposta. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge. Dichiara inammissibile la richiesta di distrazione. Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.