L’applicazione ratione temporis delle norme che determinano i compensi professionali degli avvocati

Il d.m. n. 127/2004 deve essere applicato qualora le prestazioni professionali siano state erogate, e concluse, prima dell’entrata in vigore del nuovo decreto. Il Giudice ha sempre il potere discrezionale di parametrare i compensi al valore effettivo della prestazione erogata.

Così si è espressa la Cassazione con ordinanza n. 18507/18 depositata il 12 luglio, precisando inoltre che il vizio di cui all’art. 360, n. 5, codice di rito, non può essere invocato qualora vi sia una motivazione sufficiente, ma solamente qualora sussista la mancanza assoluta di motivi. La fattispecie. Nel caso il Giudice di merito aveva condannato i resistenti a corrispondere al proprio legale il compenso per lo prestazione professionale erogata così calcolata applicazione del d.m. n. 127/2004 in quanto, nonostante l’abrogazione, è applicabile ratione temporis alle prestazioni erogate, ed esaurite, prima del 2012 lo scaglione di valore deve essere determinato tenuto conto dell’importo effettivamente attribuito alle parti a titolo di risarcimento del danno trattandosi, inoltre, di più parti trova applicazione l’aumento, per ciascuna parte, del 20%. L’applicazione dei parametri per la determinazione delle tariffe. La Corte ha avuto modo di argomentare che i nuovi parametri per il calcolo della tariffa professionale sono da applicare qualora la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del nuovo decreto e si riferisca a un compenso dovuto al professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale. Per converso qualora le prestazioni siano eseguite, ed esaurite, prima dell’entrata in vigore del d.m. n. 140/2012 trovano applicazione i parametri individuati con d.m. n. 140/12. Adeguamento degli onorari. Inoltre il Supremo Collegio ha precisato che nei rapporti tra avvocato e cliente sussiste sempre la possibilità, in concreto, di adeguare gli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione della apposita norma. Il richiamo effettuato nel d.m. al valore presunto a norma del codice di procedura civile deve essere inteso come riferimento a tutte le regole dettate dal codice di rito correlate all’indicazione del quantum nella domanda per la determinazione del valore della controversia tuttavia il Giudice conserva la facoltà discrezionale, ove ravvisi una manifesta sproporzione tra quanto richiesto e quanto deciso, di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione. Il vizio di cui all’art. 360, n. 5, codice di rito. Tale norma consente di ricorrere in Cassazione solo in caso di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Tale vizio deve esaurirsi nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile non essendo in alcun modo rilevante il semplice difetto di sufficienza della motivazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 8 marzo – 12 luglio 2018, n. 18507 Presidente Manna – Relatore Dongiacomo Fatti di causa L’avv. M.P. , con ricorso ai sensi degli artt. 14 d.lgs. n. 150 del 2011 e 702 bis ss c.p.c., sulla premessa di aver difeso D.M.G. , T.E. , D.M.C. , D.M.V. , D.M.M. e Di.Ma.Ma. nel giudizio nei confronti di C.A. , la s.p.a. Assicurazioni Generali ed altri, definito con sentenza della corte d’appello di Napoli del 25/6/2012, ha chiesto alla medesima corte d’appello di liquidare le competenze dovute per l’incarico professionale espletato. I resistenti si sono costituiti in giudizio, svolgendo le proprie difese. La corte d’appello di Napoli, con ordinanza n. 5331 del 3/12/2013, ha accolto, per quanto di ragione, la domanda, condannando i resistenti, in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente della somma complessiva di Euro 38.690,13, oltre interessi legali dal 4/3/2013, IVA e CPA come per legge. La corte, in particolare, dopo aver evidenziato che il ricorrente ha dimostrato, con la documentazione prodotta in giudizio, l’espletamento della propria prestazione professionale in favore dei resistenti nell’indicato giudizio, ha rilevato che l’esaurimento della prestazione professionale, come si evince dalla data della sentenza, si è avuto nella vigenza delle tariffe professionali approvate con il d.m. n. 127 del 2004 le quali, sebbene siano state abrogate dal d.l. n. 1 del 2012, conv. dalla l. n. 27 del 2012, continuano ad applicarsi, a norma dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 1 cit., per le prestazioni professionali che, come quelle rese nel caso di specie, si sono esaurite prima dell’entrata in vigore del decreto per la determinazione dei parametri, emanato con d.m. n. 140 del 2012 ed entrato in vigore il 23/8/2012. La corte ha, poi, ritenuto che lo scaglione applicabile dovesse essere individuato, a norma dell’art. 6, comma 1, del d.m. 127 del 2004, con riguardo all’importo effettivamente attribuito a titolo di risarcimento dei danni e, precisamente, trattandosi di più parti istanti, del maggior importo liquidato, e, quindi, allo scaglione relativo alle controversie di valore da Euro 103.300,01 ed Euro 258.300,00. Inoltre, ha aggiunto la corte, trattandosi della difesa di più parti, può farsi luogo all’aumento, per i soli onorari, nella misura del 20%, per ciascuna delle posizioni ulteriori. La corte, sulla scorta di quanto osservato, ha, quindi, ritenuto che gli importi dovuti dai resistenti dovessero essere liquidati, per diritti, in Euro 9.506,55 e, per onorari, in Euro 32.885,00 Euro 16.442,50, con riferimento al valore medio del predetto scaglione tariffario, in relazione alle voci esposte nella notula, aumentato per cinque volte del 20%, oltre spese generali pari al 12,5% su diritti ed onorari , oltre alle spese vive per Euro 55,28, per un totale di Euro 47.745,77, oltre IVA e CPA come per legge. Da tale importo, tuttavia, ha aggiunto la corte, dev’essere detratta la somma di Euro 9.055,64, comprensivo di IVA e CPA, pacificamente già versata. In definitiva, ha concluso la corte, i resistenti devono essere condannati, in solido tra loro, al pagamento, in favore del ricorrente, della somma complessiva di Euro 38.690,13, oltre interessi legali dalla notifica del ricorso, in data 4/3/2013, IVA e CPA come per legge. D.M.G. , T.E. , D.M.C. , D.M.V. , D.M.M. e Di.Ma.Ma. , con ricorso notificato il 28/1/2014, hanno chiesto, ai sensi dell’art. 111 Cost., per due motivi, la cassazione dell’ordinanza della corte d’appello, dichiaratamente non notificata. Ha resistito l’avv. M.P. , con controricorso spedito per la notifica il 8/2/2014. I ricorrenti hanno depositato memoria. Ragioni della decisione 1. Con il primo motivo, i ricorrenti, lamentando la violazione dell’art. 6 del d.m. n. 127 del 2004 in relazione al valore della controversia, e, quindi, la illegittima applicazione dei diritti e degli onorari relativi allo scaglione da Euro 103.200,01 ed Euro 258.300,00, hanno censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha ritenuto applicabile il parametro tariffario corrispondente al quantum complessivamente liquidato a ciascun assistito all’esito del doppio grado di causa, effettivamente rientrante nella relativa forbice, laddove, in realtà, in caso di accoglimento della domanda e di impugnazione del convenuto limitatamente ad una parte della somma attribuita, il valore del successivo grado di giudizio dev’essere determinato in relazione alla somma ancora in contestazione e, quindi, alla ulteriore somma liquidata all’esito della fase dell’appello, pari, nella specie, ad Euro 25.000,00 in favore di D.M.G. e T.E. , ed Euro 20.000 in favore di ciascuno degli altri quattro ricorrenti, trovando, dunque, applicazione lo scaglione fino ad Euro 25.900,00. 2. Con il secondo motivo, i ricorrenti, lamentando, in via subordinata, la violazione delle disposizioni della Tabella A parte IV onorari giudiziali e della Tabella B - parte I diritti di avvocato per il processo di cognizione del d.m. n. 127 del 2004 nonché la carenza assoluta di motivazione, con conseguente vizio di violazione di legge, hanno censurato l’ordinanza impugnata nella parte in cui la corte d’appello ha determinato la somma complessivamente dovuta per diritti ed onorari, senza alcuna specificazione in ordine all’entità delle singole voci, ed, in ogni caso, per aver liquidato i diritti e gli onorari in misura superiore a quella derivante dall’applicazione, nella misura media, della Tabella A - parte IV onorari giudiziali e della Tabella B - parte I diritti di avvocato per il processo di cognizione del d.m. n. 127 del 2004. 3. Il controricorrente ha, dal suo canto, replicato osservando, tra l’altro, che, nel caso di specie, aveva difeso i ricorrenti dai due appelli incidentali con i quali si chiedeva alla corte d’appello la totale riforma della sentenza di primo grado in tutte le sue parti, sicché rettamente la corte d’appello, ai sensi dell’art. 6, comma 2 e 4, del d.m. n. 127 del 2004, ha tenuto conto dell’effettivo valore della controversia, con riguardo sia alla somma liquidata in primo grado, sia a quella liquidata in accoglimento dell’appello incidentale dei ricorrenti. 4. Il primo motivo è infondato. Premesso che, come insegnano le Sezioni Unite di questa Corte n. 17405 e 17406 del 2012 , in tema di spese processuali, agli effetti dell’art. 41 del d.m. n. 140 del 2012, il quale ha dato attuazione all’art. 9, comma 2, del d.l. n. 1 del 2012, convertito in l. n. 27 del 2012, i nuovi parametri, cui devono essere commisurati i compensi dei professionisti in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia, in parte svolta quando ancora erano in vigore le tariffe approvate con il d.m. n. 127 del 2004, le quali, pertanto, continuano a trovare applicazione alle prestazioni professionali che, come quelle di specie, in quanto rese in un procedimento definito con sentenza del 25/6/2012, sono state completamente eseguite prima che, in data 23/8/2012, i nuovi parametri, fissati con il d.m. n. 140 del 2012, entrassero in vigore, rileva la Corte che, nella sua più recente giurisprudenza, sulla base di una lettura dell’art. 6, comma 2, d.m. n. 127 cit., adeguatamente coordinata con quella del comma 4 per il quale, nella liquidazione degli onorari a carico del cliente, per la determinazione del valore effettivo della controversia deve aversi riguardo al valore dei diversi interessi sostanzialmente perseguiti dalle parti , si è affermato e consolidato il principio, di generale applicazione Cass. n. 14691 del 2015 Cass. n. 1805 del 2012 Cass. n. 13229 del 2010 , secondo il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente diversamente che ai fini della liquidazione delle spese a carico della parte soccombente, nei quali, ai sensi del comma 1, il valore della lite si determina secondo i criteri codicistici, salva l’adozione di quello del decisum, nelle cause di pagamento e risarcimento di danni , sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito. Tale interpretazione - aderente al criterio finalistico, secondo cui il dato letterale va opportunamente coordinato con la ricerca dell’intenzione del legislatore art. 12, comma 1 u.p. preleggi - deve ritenersi preferibile, siccome più aderente all’esigenza cui il combinato disposto delle due norme tariffarie risulta palesemente improntato, vale a dire all’osservanza di quel principio generale di proporzionalità ed adeguatezza degli onorari di avvocato nell’opera professionale effettivamente prestata , che le Sezioni Unite di questa corte, con la sentenza n. 19014 del 2007, hanno ritenuto, appunto, desumibile dall’interpretazione sistematica delle disposizioni in questione. È da ritenersi, pertanto, che nel richiamo al valore presunto a norma del codice di procedura civile , la disposizione tariffaria abbia semplicemente inteso riferirsi a tutte le regole dettate dal codice di rito, ivi compresa quella ex artt. 10 e 14, correlata all’indicazione del quantum nella domanda nelle cause relative a somme di danaro o beni mobili, per la determinazione del valore della controversia, attribuendo, tuttavia, al giudice una generale facoltà discrezionale, ove ravvisi la suesposta manifesta sproporzione tra il formale petitum e l’effettivo valore della controversia, desumibile dai sostanziali interessi in contrasto, di adeguare la misura dell’onorario all’effettiva importanza della prestazione, in relazione alla concreta valenza economica della controversia Cass. n. 14691 del 2015 Cass. n. 7807 del 2013 Cass. n. 23809 del 2012 Cass. n. 1805 del 2012 . Nel caso della liquidazione degli onorari a carico del cliente, quindi, l’indagine, che di volta in volta il giudice di merito deve compiere, è quella di verificare l’attività difensiva che il legale ha dovuto apprestare, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l’importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato rispetto all’effettivo valore della controversia, come nel caso in cui il legale abbia esagerato in modo assolutamente ingiustificato la misura della pretesa azionata, in evidente sproporzione rispetto a quanto poi attribuito alla parte assistita, perché in tali casi - a prescindere dai profili di responsabilità ascrivibili al professionista - il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere considerato corrispettivo della prestazione espletata, stante la sua obiettiva inadeguatezza rispetto alla attività svolta Cass. n. 1805 del 2012 Cass. n. 13229 del 2010 Cass. n. 15685 del 2006 . Nella specie, come detto, l’ordinanza impugnata ha considerato, ai fini della determinazione del valore della controversia - che ha avuto incontestatamente ad oggetto, tenuto conto degli appelli proposti dal danneggiante e dalla compagnia di assicurazione e dell’appello incidentale proposto dai danneggiati, sia l’an, che il quantum del diritto al risarcimento dei danni complessivamente conseguenti al fatto illecito che aveva determinato il decesso di D.M.S. , rispettivamente, figlio e fratello dei ricorrenti non la somma oggetto della domanda, ma la somma più alta, tra i diversi danneggiati effettivamente attribuita ai ricorrenti, all’esito dell’intero procedimento, a titolo di risarcimento dei danni aumentando il compenso così determinato del 20% per ciascuna delle parti difese sicché, in definitiva, sia pur invocando l’art. 6, comma 1, del d.m. n. 127 cit., che attiene alla liquidazione dei compensi a carico della parte soccombente e dovendo, quindi, in parte qua essere corretta , ha finito per fare corretta applicazione del principio in precedenza richiamato, per il quale, nei rapporti tra avvocato e cliente, sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, come, in effetti, determinato in ragione della somma più alta, tra i diversi danneggiati effettivamente attribuita, oltre all’aumento del 20%. 5. Il secondo motivo è infondato. Premesso che l’art. 360, comma 4, c.p.c., nel testo successivo alle modifiche apportate dal d.lgs. n. 40 del 2006, consente la proposizione del ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 111, comma 7, Cost. in relazione a tutti i vizi previsti dal comma 1, compreso quello di cui al n. 5, rileva la Corte che, nel caso di specie, l’ordinanza impugnata, nella determinazione del compenso ha fatto testualmente riferimento, una volta individuato lo scaglione di riferimento, alle voci esposte nella notula , in tal modo indicando, sia pur per relationem, le singole prestazioni liquidate. Ora, l’art. 360 n. 5 c.p.c., nel testo in vigore successivamente alle modifiche apportate dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, convertito con modificazioni con la l. n. 134 del 2012, consente il ricorso per cassazione solo in caso omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ed è noto come, secondo le Sezioni Unite n. 8053/2014 , la norma consente di denunciare in cassazione - oltre all’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, e cioè, in definitiva, quando tale anomalia si esaurisca nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione - solo il vizio dell’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo del provvedimento impugnato o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia Cass. n. 14014/2017, in motiv. Cass. n. 9253/2017, in motiv. Cass. n. 7472/2017 . Ne consegue che, nel rispetto delle previsioni degli artt. 366, comma 1, n. 6, e 369, comma 2, n. 4, c.p.c., il ricorrente deve indicare il fatto storico , principale e cioè il fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo ovvero secondario cioè dedotto in funzione di prova di un fatto principale , il cui esame sia stato omesso, il dato , testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il come e il quando tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua decisività Cass. n. 14014/2017, in motiv. Cass. n. 9253/2017, in motiv. Cass. n. 20188/2017, in motiv. ciò che, nella specie, non è accaduto. I ricorrenti, infatti, non hanno in alcun modo indicato quale fatto storico, principale o secondario, tra quelli dedotti in giudizio, la corte d’appello abbia del tutto omesso di esaminare. Né, del resto, sussiste la denunciata violazione delle disposizioni della Tabella A - parte IV onorari giudiziali del d.m. n. 127 del 2004 per avere la corte d’appello liquidato gli onorari in misura superiore a quella derivante dall’applicazione, nella misura media, della predetta tabella, posto che un vizio siffatto è ravvisabile solo per il caso in cui gli onorari siano stati liquidati in misura superiore rispetto ai limiti massimi che la stessa consente ciò che i ricorrenti non hanno neppure dedotto. Né, infine, è fondata la denunciata violazione della Tabella B - parte I diritti di avvocato per il processo di cognizione , per avere la corte d’appello liquidato i diritti in misura superiore a quella derivante dall’applicazione della relativa tabella, se non altro perché i ricorrenti non hanno riprodotto, in ricorso, le voci a tal fine indicate nella notula cui la corte d’appello ha fatto dichiaratamente riferimento, così impendendo alla corte di verificare la corretta determinazione della somma complessivamente liquidata a tale titolo. 6. Il ricorso dev’essere, quindi, rigettato. 7.Le spese di lite seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo. 8.La Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012. P.Q.M. la Corte così provvede rigetta il ricorso condanna i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese di lite che liquida in Euro 4.300,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e SG al 15% dà atto della sussistenza dei presupposti per l’applicabilità dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228/2012.