L’avvocato d’ufficio non si presenta in udienza? E’ una violazione deontologica

L’avvocato d’ufficio, che deve prestare servizio in un’udienza comunicatagli per tempo, compie un illecito deontologico qualora si assenti senza che sussista un legittimo impedimento e senza averlo comunicato tempestivamente all’autorità o aver indicato un collega nella difesa.

Lo ha sancito il Consiglio Nazionale Forense con la sentenza del 25 maggio 2018, n. 61. Il fatto. Dopo una segnalazione da parte Tribunale per i Minorenni, il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano esaminava il caso di un avvocato d’ufficio che, senza addurre alcuna giustificazione, non aveva partecipato all’udienza assegnatagli in qualità di difensore. Ad esito dell’esame del caso, il Consiglio infliggeva all’avvocato in questione la sanzione disciplinare dell’ammonimento per violazione degli artt. 8 e 38 del codice deontologico forense. L’avvocato impugna il provvedimento e ne chiede l’annullamento, lamentando una mancanza di adeguata motivazione e adducendo, a giustificazione dell’assenza, un mero disguido organizzativo imputabile a uno stress psicologico. L’avvocato d’ufficio è deontologicamente responsabile per la sua assenza. Il Consiglio Nazionale Forense respinge il ricorso e conferma la sussistenza del comportamento deontologicamente scorretto. L’avvocato, infatti, non ha svolto la sua attività con la coscienza e diligenza richiesti dagli artt. 12 e 26 del nuovo codice deontologico forense. Il suo comportamento è censurabile poiché, impossibilitato nel prender parte all’udienza, non ha fornito tempestiva e motivata comunicazione all’autorità procedente né ha indicato nella difesa del suo assistito un altro collega.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 20 ottobre 2016 – 25 maggio 2018, n. 61 Presidente Logrieco – Segretario Secchieri Fatto Con ricorso depositato il 24/03/2014 l’avv. [ ricorrente ] proponeva impugnazione avverso la decisione del COA di Milano del 17/06/13-03/03/14, notificata il 05/03/14, con la quale gli era stata inflitta la sanzione dell’ammonimento Il procedimento era stato rubricato dal COA di Milano a seguito di ricezione di una comunicazione pervenuta in data 05/08/12 dal locale Tribunale per i Minorenni con la quale si esponeva che in qualità di difensore d’ufficio della sig.ra [MEVIA] non avrebbe presenziato all’udienza del 26/04/12 celebrata dinanzi il Tribunale per i Minorenni di Milano senza addurre alcuna giustificazione circa la propria assenza. Si contestava all’incolpato la violazione del dovere di diligenza di cui all’articolo 8 CDF e l’inadempimento del mandato di cui all’articolo 38 CDF. All’esito del giudizio disciplinare di primo grado il COA di Milano riconosceva l’integrazione degli illeciti disciplinari in contestazione sulla base delle risultanze intervenute nell’istruttoria dibattimentale. Avverso la decisione del COA di Milano insorgeva l’avv. [ ricorrente ] proponendo ricorso in data 24/03/14 chiedendo in via istruttoria l’acquisizione di tutta la documentazione concernente eventuali ulteriori procedimenti disciplinari iscritti nei propri confronti in relazione a vicende similari e, nel merito, dichiarare che il fatto contestatogli non costituiva illecito disciplinare con conseguente archiviazione del procedimento per la mancanza di elementi deontologicamente rilevanti . In particolare il ricorrente, nell’ammettere la propria assenza all’udienza richiamata nel capo di incolpazione, attribuiva tale condotta ad un mero disguido organizzativo che dipendeva da uno stato di forte stress psicologico che lo affliggeva all’epoca dei fatti e segnalava, altresì, la mancanza di qualsiasi pregiudizio subito dall’assistita in conseguenza della sua assenza all’udienza nonché la propria correttezza ultraventennale nelle presenze concernenti le difese di ufficio assegnategli e l’assenza di precedenti sanzioni disciplinari irrogategli. In definitiva l’avv. [ ricorrente ] lamentava la totale mancanza di motivazione del provvedimento impugnato. Dopo la rituale discussione il ricorso è stato assegnato a sentenza. Diritto Occorre preliminarmente rilevare, con riguardo alla successione delle fattispecie disciplinari, che gli illeciti di cui agli artt. 8 e 38 CDF sono stati riprodotti negli artt. 12 del nuovo Codice Deontologico, che non prevede un autonomo apparato sanzionatorio, e nell’articolo 26 che prevede la sanzione della censura. Ciò premesso si osserva che col ricorso de quo l’avv. [ ricorrente ] ripropone le argomentazioni difensive svolte nel procedimento di primo grado e già ritenute irrilevanti dal COA di Milano. Ma il motivo principale del ricorso consiste soprattutto nella lamentata carenza di motivazione in quanto il COA di Milano in maniera lapidaria deduce che le argomentazioni addotte dall’incolpato a propria giustificazione non possono trovare accoglimento” di talchè con tale enunciato non può ritenersi assolto l’obbligo di motivazione congrua e corretta, seppure sintetica, che deve connotare il provvedimento disciplinare. La mancanza di adeguata motivazione non costituisce motivo di nullità della decisione del Consiglio dell’Ordine territoriale in quanto, alla motivazione carente, il Consiglio Nazionale Forense, giudice di appello, può apportare le integrazioni che ritiene necessarie. Questo perché il CNF è competente quale giudice di legittimità e di merito ed ai sensi dell’articolo 51 co.3 del R.D. n. 37/1934, pertanto, può sopperire ad una motivazione inadeguata, incompleta ed addirittura assente CNF 22/12/14 n. 205 Pres. F.f. Perfetti, Rel . Sica . Nella fattispecie de qua nessuno dei precetti dettati dagli artt. 12 e 26 CDF è stata osservata dall’avv. [ ricorrente ]. Dispone l’articolo 12 CDF che l’avvocato deve svolgere la propria attività con coscienza e diligenza, assicurando la qualità della prestazione professionale e l’articolo 26 CDF ai commi 3 e 4 recita che costituisce violazione dei doveri professionali il mancato, ritardato o negligente compimento di atti inerenti al mandato o alla nomina, quando derivi da non scusabile e rilevante trascuratezza degli interessi della parte assistita e che il difensore nominato d’ufficio, ove sia impedito di partecipare a singole attività processuali, deve darne tempestiva e motivata comunicazione all’autorità procedente ovvero incaricare della difesa un collega che, ove accetti, è responsabile dello adempimento dell’incarico. L’avv. [ ricorrente ] ha tenuto un comportamento censurabile in quanto ha agito senza coscienza e diligenza, ha omesso di dare comunicazione della sua assenza al Tribunale per i Minorenni e non si è preoccupato di incaricare della difesa della sua assistita un altro collega. L’illiceità del comportamento e la responsabilità dell’avvocato devono considerarsi provati e non può farsi luogo ad una diversa valutazione del suo comportamento alla luce delle considerazioni sopra esposte che inibiscono di valutarlo come legittimo. La sanzione dell’avvertimento così come inflitta dal COA di Milano risulta, pertanto, equa e giusta. Il Nuovo Codice Deontologico Forense, sebbene informato al principio della tipizzazione per quanto possibile” della condotta disciplinarmente rilevante, rinvia ai principi generali ed al tipo di sanzione applicabile in ipotesi che presentino, seppure parzialmente, analogie con il caso specifico. Nella fattispecie qualora non si volesse considerare esemplificativo il comportamento della ricorrente per violazione degli artt. 8 e 38 del vecchio CDF, ma solo suscettibile di ledere i principi generali espressi dal Codice Deontologico - quali, probità, diligenza, lealtà e correttezza - potrebbe invocarsi la violazione dei principi di cui agli artt. 12 e 26 del nuovo CDF. La violazione dell’articolo 26 nuovo CDF comporterebbe la misura della censura ipso iure per le violazioni delle disposizioni dei commi 3 e 4 del detto articolo ma questo Consiglio ritiene equo e congruo confermare la decisione del COA di Milano. P.Q.M. Visti gli artt. 12 e 26 del CDF il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso e conferma la decisione impugnata Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.