L’accertamento della responsabilità dell’avvocato negligente si fonda sulla regola del “più probabile che non”

In tema di responsabilità dell’avvocato per negligenza nello svolgimento del mandato, l’accertamento del nesso causale tra l’omissione ed il danno, nonché tra quest’ultimo e le conseguenze dannose risarcibili, si fonda inevitabilmente sulla regola della preponderanza dell’evidenza.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16803/18, depositata il 26 giugno. La vicenda. La Curatela di un fallimento conveniva in giudizio un avvocato al fine di sentirne dichiarare la responsabilità per negligenza nello svolgimento del mandato difensivo conferito per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare. Il Tribunale accoglieva la domanda, decisione riformata solo parzialmente in Appello in riferimento alla cifra liquidata a titolo di risarcimento. L’avvocato soccombente ricorre dunque in Cassazione. Negligenza. Dopo aver escluso una violazione delle norme sull’onere della prova, posto che la Curatela aveva correttamente prodotto in giudizio copia dei verbali di udienza avente ad oggetto la revocatoria fallimentare dai quali risultava l’assenza del difensore, la Corte analizza la censura relativa al giudizio prognostico che aveva condotto i Giudici di merito a riconoscere la responsabilità professionale dell’avvocato ricorrente. La giurisprudenza ha già avuto modo di affermare il principio secondo cui in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non”, si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili . Trattandosi infatti di un evento concretizzatosi proprio a causa dell’omissione, l’unica indagine possibile è quella basata su un giudizio prognostico relativo all’esito che avrebbe potuto dare l’attività professionale omessa. In conclusione, la Corte accoglie solo la censura relativa alla somma liquidata dal giudice, mentre dichiara inammissibili gli altri motivi.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 14 marzo – 26 giugno 2018, n. 16803 Presidente Travaglino – Relatore Di Florio Fatto e diritto Ritenuto che 1. La Curatela del Fallimento omissis S.a.S. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Lamezia Terme I.M.A. , avvocato, affinché venisse dichiarata la sua responsabilità professionale per la negligenza con cui aveva assolto il mandato difensivo che le era stato conferito per la proposizione dell’azione revocatoria fallimentare nei confronti della moglie del socio accomandatario della società alla quale egli aveva venduto, nel biennio antecedente al fallimento, la quota indivisa del 50% di un immobile di cui era comproprietario, ad un prezzo notevolmente inferiore al valore di mercato. Nella contumacia della convenuta, il Tribunale di Lamezia Terme accolse la domanda, condannando la I. al risarcimento, in favore della curatela, del danno subito, pari al valore della quota del bene alienato. 2. La Corte d’Appello di Catanzaro riformò parzialmente la sentenza e, confermata la sussistenza della negligenza denunciata, ridusse la misura del risarcimento oggetto di condanna. 3. I.M.A. ricorre per la cassazione della sentenza affidandosi a cinque motivi, illustrati anche con memoria. La parte intimata ha resistito con controricorso. Considerato che 1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce, ex articolo 360 n 3 cpc, la violazione e falsa applicazione delle norme sostanziali in materia di onere della prova, e segnatamente dell’articolo 2697 c.c. nonché l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, oggetto di discussione fra le parti lamenta che la Corte di Catanzaro aveva ritenuto che fosse suo onere dimostrare di aver ricevuto la comunicazione del rinvio ex articolo 309 cpc a seguito del quale la mancata comparizione aveva determinato la cancellazione della causa dal ruolo e l’estinzione del giudizio per mancata riassunzione entro l’anno. 1.1. Il motivo è infondato. La Corte territoriale ha infatti disatteso il motivo di gravame affermando che era onere dell’appellante provare di non aver ricevuto la comunicazione, da parte della cancelleria, del rinvio ex articolo 309 cpc, ma che esso non era stato assolto. La Corte ha aggiunto che la stessa appellante, infatti, ha specificato di non essere in grado di fornire la prova poiché il fascicolo d’ufficio non è stato rinvenuto, giusta attestazione della cancelleria. L’attestazione di smarrimento del fascicolo non consente, tuttavia, di surrogare ad un onere probatorio finalizzato a dimostrare l’incolpevole abbandono della causa da parte dell’avv.to I. . 1.2. Il principio affermato - che risponde ad una corretta applicazione di quanto disposto nell’articolo 2697 c.c. - necessita di una precisazione. La Curatela del fallimento, infatti, nel promuovere il giudizio di responsabilità professionale in cui la I. rimase contumace , ha prodotto la copia dei verbali di udienza della controversia avente per oggetto l’azione revocatoria fallimentare dai quali emerge che all’udienza del 23.3.1999 nessuno era comparso e che il giudice, verificata la regolarità delle comunicazioni , aveva disposto la cancellazione della causa dal ruolo cfr. verbale prodotto . Si osserva, al riguardo, che il verbale di udienza ha valore di atto pubblico ragione per cui fa piena prova dei fatti che attesta, per contraddire i quali sarebbe stato onere della I. proporre querela di falso l’omesso rinvenimento del fascicolo doveva essere valutato in quella sede, dovendosi viceversa ritenere che, nel presente giudizio, faccia fede la dichiarata verifica, da parte del giudice, della regolarità delle notificazioni riportata nel verbale. Circostanza alla quale consegue logicamente una valutazione di negligenza del difensore che nulla ha a che fare con lo smarrimento del fascicolo e che è stata correttamente individuata dalla Corte d’appello nella mancata comparizione all’udienza fissata. 1.3. In tal senso, ex articolo 384 cpc, la motivazione della sentenza deve, sul punto, essere integrata. 2. Con il secondo motivo, la ricorrente ex articolo 360 n 3 e 5 cpc, deduce la violazione degli artt. 67 e 69 Legge Fallimentare allora vigenti nonché l’omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione consistente nella circostanza che l’azione revocatoria era stata proposta sul presupposto del fallimento della società e non del socio che, in qualità di accomandatario, era stato destinatario soltanto dell’estensione della dichiarazione ex articolo 147 L.F., non essendo egli un imprenditore commerciale autonomo. Lamenta che la Corte, condividendo sul punto la decisione del tribunale, aveva erroneamente ritenuto di formulare un giudizio prognostico positivo rispetto alla lite intentata, laddove, invece, non potevano ritenersi sussistenti le condizioni per affermare la fondatezza dell’azione ex articolo 69 L.F non potendosi, neanche in via presuntiva, ritenere che la moglie del B. fosse a conoscenza dello stato di insolvenza della società. 2.1. Il motivo è inammissibile in quanto la censura non risulta specificamente proposta nel giudizio d’appello dove la critica devoluta aveva per oggetto proprio la dimostrazione contestata dalla stessa I. , della inscientia decotionis della società fallita che la Corte aveva deciso sulla base del mancato superamento della presunzione. Nulla era stato dedotto, in grado d’appello e in relazione al giudizio prognostico, circa gli effetti derivanti nei confronti del B. dal combinato disposto di cui agli artt. 147, 69 e 67 LF., tenuto conto che a. l’azione ex articolo 69 L.F. è stata proposta modificando alla prima udienza la domanda ex articolo 67 L.F. originariamente introdotta v. verbali prodotti dal controricorrente dalla stessa avv.to I. , con una scelta processuale ben precisa che, in questa sede e per la prima volta, viene ritrattata, prospettando, un argomento nuovo ed in quanto tale inammissibile b. il giudizio prognostico nelle controversie di responsabilità professionale rientra in una valutazione di merito che ove accompagnata da una motivazione non viziata e tale non è alla luce delle coerenti argomentazioni contenute nella sentenza impugnata , non può essere censurata in sede di legittimità questa Corte ha avuto modo di affermare che in tema di responsabilità professionale dell’avvocato per omesso svolgimento di un’attività da cui sarebbe potuto derivare un vantaggio personale o patrimoniale per il cliente, la regola della preponderanza dell’evidenza o del più probabile che non , si applica non solo all’accertamento del nesso di causalità fra l’omissione e l’evento di danno, ma anche all’accertamento del nesso tra quest’ultimo, quale elemento costitutivo della fattispecie, e le conseguenze dannose risarcibili, atteso che, trattandosi di evento non verificatosi proprio a causa dell’omissione, lo stesso può essere indagato solo mediante un giudizio prognostico sull’esito che avrebbe potuto avere l’attività professionale omessa cfr. Cass. 25112/2017 ed è stato pure ritenuto che nelle medesime controversie la valutazione prognostica compiuta dal giudice di merito circa il probabile esito dell’azione giudiziale malamente intrapresa o proseguita, sebbene abbia contenuto tecnico-giuridico, costituisce comunque valutazione di un fatto, censurabile in sede di legittimità solo sotto il profilo del vizio di motivazione cfr. Cass. 3355/2014 . 2.2. La censura, pertanto, risulta inammissibile sotto entrambi gli aspetti sopra indicati. 3. Con il terzo motivo, ancora, la ricorrente deduce, ex articolo 360 n 3 e 5 cpc, la violazione e falsa applicazione degli artt. 13 e 40 della L. 47/1985 e delle norme tecniche del Piano Regolatore Generale di Lametia Terme, in relazione alla positiva quanto ipotetica valutazione della Corte d’Appello sulla possibilità di vendere l’immobile nonostante che fosse, sia pur in parte, difforme dalle prescrizioni edilizie, considerando possibile una sanatoria. 3.1. Ancora, con il quinto motivo, proposto ex articolo 360 n 3 e 5 e da esaminarsi congiuntamente al terzo per la stretta connessione logica, viene dedotta la violazione degli artt. 1223 e 1226 c.c. in relazione al valore del risarcimento la ricorrente lamenta che la Corte non aveva tenuto conto delle correzioni percentuali necessarie ad adeguare il valore del bene alla concreta probabilità di venderlo in sede concorsuale nonché alla possibile devalutazione che esso avrebbe potuto subire. Assume che la Corte d’Appello aveva sottovalutato l’incidenza di tale fatto sulla alienabilità del bene. 3.2. Entrambi i motivi sono inammissibili perché chiedono una rivalutazione di merito della controversia, in presenza di una motivazione approfondita e congrua cfr. pagg. 6, 7 e 8 del ricorso sul valore e le caratteristiche dell’immobile, descritto in tutti i suoi aspetti dalla CTU, e valutato in relazione ad entrambe le criticità prospettate con la conseguenza che la censura, pur apparentemente ricondotta al vizio di violazione di legge, tenta di realizzare una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimità in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito cfr. Cass. 8758/2017 . 4. Con il quarto motivo, infine, la ricorrente deduce, ex articolo 360 n 3 e 5 cpc, la violazione e falsa applicazione dei principi generali in materia di valutazione delle prove e, segnatamente, dell’articolo 116 cpc in relazione al criterio di ragionevolezza del giudizio che era stato oggetto di discussione fra le parti. Lamenta che la Corte territoriale aveva determinato il valore del danno nella differenza fra quello della quota dell’immobile accertato dal CTU secondo i valori di mercato dell’anno 2000, già decurtato dei costi necessari per sanare le irregolarità edilizie ma nel procedere al calcolo lamenta la commissione di un errore che aveva determinato un importo ingiustamente più elevato. 4.1. Il motivo è fondato. Pacifico, infatti, che il valore della quota dell’immobile venduto, tenuto conto dei costi sostenuti per sanare le irregolarità edilizie, fosse pari ad Euro 57.775,72, quello dichiarato nell’atto di vendita, rivalutato e convertito con riferimento all’anno 2000, risulta pari ad Euro 33.737,00 con la conseguenza che il danno subito, corrispondente alla differenza fra i due valori è pari ad Euro 24.038,12, inferiore alla somma di Euro 38.121,93 erroneamente indicata nella sentenza impugnata. Trattasi di un evidente errore di calcolo, in relazione al quale non sono necessari altri accertamenti di fatto, ragione per cui questa Corte può decidere nel merito in relazione all’unico motivo accolto, correggendo la motivazione ed il dispositivo. 5. Le spese, tenuto conto dell’andamento del giudizio di legittimità, devono essere compensate nella misura di un quinto. I restanti quattro quinti sono posti a carico del ricorrente e liquidati come da dispositivo ex DM 55/2014. P.Q.M. La Corte, rigetta il primo motivo di ricorso dichiara inammissibile il secondo, il terzo ed il quinto accoglie il quarto e decidendo nel merito in relazione al motivo accolto, condanna la ricorrente ai pagamento della minor somma di Euro 24.038,12 oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali nella misura di legge. Compensa fra le parti le spese del giudizio di legittimità nella misura di un quinto e condanna la ricorrente a rifondere alla parte controricorrente i restanti quattro quinti che liquida in Euro 3000,00 per compensi oltre accessori e rimborso forfettario spese generali nella misura di legge.