Incarico stragiudiziale conferito anche senza “contatto fisico”?

Il rapporto di prestazione d'opera professionale postula il conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti, sicché, quando sia contestata l’instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull'attore l'onere di dimostrarne l'avvenuto conferimento, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva.

La Sez. VI-2 Civile ordinanza n. 11283/18 depositata il 10 maggio ha precisato le modalità con cui è possibile e al tempo stesso necessario conferire mandato ad un avvocato per attività extragiudiziale. Il caso. Un avvocato agiva avanti al Giudice di Pace per ottenere il pagamento di quanto ritenuto dovuto da una cliente. In primo grado le pretese del legale venivano accolte almeno in parte , mentre in appello venivano rigettate. Mandato professionale conferito oralmente. Infatti, la decisione di primo grado era valutata come errata laddove aveva ritenuto la fondatezza della pretesa dell’avvocato con violazione, anzitutto, del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato, in quanto il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistente un mandato per la fase stragiudiziale sulla base di un incarico orale, pur non avendo l’avvocato in alcun modo dedotto tale circostanza. Le parti non si erano però mai incontrate. Inoltre, la decisione era contraddittoria laddove aveva ritenuto esistente l'incarico, sebbene le due parti in causa, per ammissione comune, non si fossero mai viste, avendo la cliente avuto rapporti soltanto con un collega di studio dell’avvocato attore. L’accordo stragiudiziale non poteva dirsi dimostrato. Quindi, secondo il Giudice d’Appello e a dispetto di quanto affermato dal giudice di primo grado, in realtà non poteva in alcun modo ritenersi esistente un accordo orale tra le due parti processuali avente ad oggetto l'assistenza stragiudiziale proprio perché cliente e difensore non si erano mai incontrati . Del resto, se, in linea di principio, è possibile il conferimento di un mandato professionale anche in assenza di un contatto fisico tra cliente e professionista, nella concreta fattispecie, tale eventualità veniva esclusa. Da qui la riforma della sentenza di prime cure. Contro tale decisione proponeva ricorso per cassazione l’avvocato. Gli Ermellini confermano la decisione di secondo grado l’onere della prova della sussistenza di un incarico professionale. In particolare, la decisione di rigetto del ricorso viene motivata richiamando un consolidato orientamento interpretativo, secondo il quale il rapporto di prestazione d'opera professionale postula il conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti, sicché, quando sia contestata la instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull'attore l'onere di dimostrarne l'avvenuto conferimento, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva. Inoltre, il risultato di tale accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, che è, invece, ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante. Ma nella fattispecie, secondo i Giudici di legittimità la decisione gravata era immune da vizio alcuno. Infatti, il Tribunale, in grado di appello, aveva ampiamente valutato i dati processuali acquisiti, escludendo che la cliente avesse conferito un incarico per attività stragiudiziale, ritenendo essenzialmente, oltre ad altre considerazioni, che non si comprenderebbe il motivo per cui la cliente di due professionisti, che peraltro condividevano lo stesso studio, avesse conferito, ad uno, incarico orale e senza nemmeno contatto fisico, e all'altro, invece, dopo un normale incontro addirittura incarico per iscritto. In effetti la circostanza appare curiosa. La richiesta di pagamento non era indice del conferimento di incarico? Risposta negativa della Cassazione, che considera infatti irrilevante l’argomentazione fatta valere dall’avvocato secondo cui il conferimento dell’incarico stragiudiziale sarebbe comprovato, quanto meno in via presuntiva, dalla richiesta di pagamento di un compenso, inizialmente oltretutto riconosciuto come dovuto dal Giudice di Pace. Ma secondo la Suprema Corte una simile richiesta di pagamento non dimostra assolutamente il conferimento di un incarico professionale. Anzi, una simile richiesta, in mancanza di un incarico professionale, è, al contrario e molto più banalmente, una richiesta semplicemente infondata. In conclusione, il ricorso è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 1 febbraio – 10 maggio 2018, n. 11283 Presidente D’Ascola – Relatore Scalisi Fatto e diritto Il Collegio preso atto che il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia in epigrafe fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata della Sesta Sezione Civile di questa Corte ritenendo Il ricorso infondato il primo motivo è infondato perché il Tribunale di Viterbo ha ampiamente valutato i dati processuali acquisiti ed ha escluso, con valutazione di merito che la sig.ra Ma. avesse conferito un incarico per attività stragiudiziale all’avv. M Inammissibile il secondo motivo perché non riconducibile ad un’ipotesi di cui all’art. 360 n. 5 cod. proc. civ. così come modificato con D.L. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134. La proposta del relatore è stata notificata alle parti. Letti gli atti del procedimento dai quali risulta che 1.- la sig.ra Ma.Ma., con atto di appello, ritualmente notificato alla controparte, impugnava la sentenza n. 808/2012 con la quale il Giudice di Pace di Civita Castellana aveva parzialmente accolto la domanda proposta dall’avv. M.F. e avente ad oggetto il compenso per l’attività professionale presuntivamente svolta in favore di essa appellante. Censurava il provvedimento nella parte in cui aveva ritenuto la fondatezza della avversa pretesa in violazione del principio della corrispondenza tra chiesto e pronunciato in quanto il giudice di prime cure aveva ritenuto sussistente un mandato per la fase stragiudiziale sulla base di un incarico orale, pur non avendo l’appellata in alcun modo dedotto tale – circostanza - e, dall’altro la contraddittorietà della motivazione, laddove aveva appunto ritenuto esistente l’incarico, sebbene da un lato le due parti per ammissione comune non si erano mai viste, avendo essa appellante avuto rapporti soltanto con l’avv. P.S. e, dall’altro in ragione di una errata valutazione delle dichiarazioni rese dai testi. Nella resistenza dell’avv. M. e acquisito il fascicolo di primo grado, il Tribunale di Viterbo con sentenza n. 970 del 2016 accoglieva l’appello e condannava l’avv. M.F. a restituire quanto ricevuto in esecuzione della sentenza di primo grado e al pagamento delle spese del doppio grado del giudizio. Secondo il Tribunale di Viterbo, a dispetto di quanto affermato dal giudice di primo grado, in realtà, non poteva in alcun modo ritenersi esistente un accordo orale tra le due parti processuali avente ad oggetto l’assistenza stragiudiziale, oggetto del giudizio. Le sig.re Ma. e - M., infatti, come - concordemente dichiarato in sede di interrogatorio formale nell’ambito del procedimento di primo grado, non si erano mai viste prime di allora. Se, allora, in linea di principio, è possibile il conferimento di un mandato professionale anche in assenza di un contatto fisico tra cliente e professionista, nella concreta fattispecie, tale eventualità era in contrasto con diversi elementi. Piuttosto, la sig.ra Ma. ha sempre sostenuto di aver conferito l’incarico al solo avv. P.S. ed incontrato fisicamente quest’ultimo, nello studio che i due professionisti condividevano e alla sola presenza dello stesso e del marito le consegnava la somma di Euro 1.700, così come emerso dalle dichiarazioni rese in sede testimoniale dallo stesso avv. S La cassazione di questa sentenza è stata chiesta dall’avv. M.F. con ricorso affidato a due motivi, illustrati con memoria. Ma.Ma., intimata in questa fase, non ha svolto attività giudiziale. 2.- Ritiene che il ricorso sia infondato per le seguenti ragioni L’avv. M.F. lamenta a Con il primo motivo di ricorso, la violazione del disposto di cui agli artt. 2229 e 2230 cod. civ. in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 cod. proc. civ. Secondo la ricorrente, il Tribunale di Viterbo avrebbe errato nell’applicazione dell’art. 2229 e 2230 cod. civ. in virtù delle risultanze processuali che dimostrano in maniera palese l’esistenza del rapporto sottostante e l’attività svolta dal professionista in unione con l’altro procuratore, in qualità di creditore solidale in forza di uno stesso mandato per il quale l’incarico è stato eseguito, congiuntamente, da entrambi i professionisti come provato e documentato. b Con il secondo motivo, l’omessa insufficiente e contraddittoria motivazione circa la posizione assunta dall’avv. P.S. in merito alla parcella con riferimento all’attività svolta, quale punto decisivo della controversia. Sostiene la ricorrente che il Tribunale non avrebbe tenuto conto che il Giudice di Pace aveva riconosciuto un compenso di Euro 3.150,00 e detratto l’anticipo di Euro 1.700,00 residuava l’importo di Euro 1.450,00 che doveva essere versato a saldo dell’attività svolta. Tale somma non sarebbe stata vantata dall’avv. P.S.V., essendo l’importo dovuto alla stessa quale creditore solidale per quell’attività che in entrambi i gradi del giudizio non si è mai disconosciuta essere stata eseguita a favore della comune cliente. Detta somma non richiesta dalla S. anzi dalla stessa veniva riconosciuta alla M. per l’attività effettivamente eseguita anche quale creditore solidale. 2.1.- Entrambi i motivi che per la loro connessione vanno esaminati congiuntamente sono infondati. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, il rapporto di prestazione d’opera professionale postula il conferimento del relativo incarico in qualsiasi forma idonea a manifestare il consenso delle parti, sicché, quando sia contestata la instaurazione di un siffatto rapporto, grava sull’attore l’onere di dimostrarne l’avvenuto conferimento, anche ricorrendo alla prova per presunzioni, mentre compete al giudice del merito valutare se gli elementi offerti, complessivamente considerati, siano in grado di fornire una valida prova presuntiva il risultato di tale accertamento, se adeguatamente e coerentemente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità, che è, invece, ammissibile quando nella motivazione siano stati pretermessi, senza darne ragione, uno o più fattori aventi, per condivisibili massime di esperienza, una oggettiva portata indiziante per ultimo Cass. n. 1792/2017 e per alcuni aspetti cfr. Cass. 1462 del 2013 . Ora, nel caso in esame, il Tribunale di Viterbo ha ampiamente valutato i dati processuali acquisiti ed ha escluso che la sig. Ma. avesse conferito un incarico per attività stragiudiziale all’avv. M., ritenendo essenzialmente, oltre altre considerazioni, che non si comprenderebbe il motivo in base al quale la cliente di due professionisti che per altro condividevano lo steso studio, avesse conferito ad uno, incarico orale, e senza nemmeno contatto fisico e all’altro, invece, dopo un normale incontro, e addirittura incarico per iscritto . 2.2.- Assolutamente generico è, poi, il rilievo della ricorrente pag. 7 del ricorso secondo cui la Ma. avrebbe rilasciato una procura ad litem ad entrambi gli avvocati M. e S. e questa sarebbe stata inserita come prova del rapporto nel fascicolo di parte attorea riconosciuta e non contestata dalla convenuta Ma. la cui esistenza e conferma del valore probatorio è indicata nella sentenza di primo grado, ma disattesa dal Giudice di appello posto che la ricorrente, pur facendo riferimento anzi fondando la propria censura sulla procura ad litem, non riporta in questa sede e lo avrebbe dovuto fare , il contenuto del documento cui si riferisce, non consentendo a questa Corte di prendere contezza dei profili essenziali della censura e dell’eventuale errore di valutazione della Corte di Appello cfr. Cass. 1462/13 3033/13 . 2.3.- Piuttosto, il Tribunale di Viterbo, non solo non ha omesso di valutare ogni singolo elemento probatorio acquisito al giudizio ma ha, con un argomentare, logico e condivisibile, escluso che vi fosse in giudizio la prova che al M. fosse stato conferito un incarico professionale. D’altra parte, il rilievo dedotto dalla ricorrente di aver richiesto la somma di Euro 1,450,00 come riconosciuta dal Giudice di Pace quale saldo del compenso dell’attività professionale non mai richiesta dall’avv. P.S., anzi da questo riconosciuta alla M. non integrerebbe un’ipotesi di presunzione di conferimento di incarico, neppure semplice, dato che quella richiesta non dimostra che un incarico professionale fosse stato conferito anche alla M. e, soprattutto, essendo stato dimostrato che l’incarico di che trattasi era stato conferito al solo collega di studio dello stesso, cioè all’avv. P.S La richiesta della somma di cui si dice in mancanza di un incarico professionale è, al contrario, una richiesta infondata, indipendentemente dal fatto che quella somma, sia pure dovuta dalla Ma., non sia stata richiesta dall’avv. P.S In definitiva, il ricorso va rigettato. Non sussistono i presupposti per la liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione. Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.