Sanzionabile l’avvocato che richiede compensi al cliente ammesso al gratuito patrocinio

Costituisce illecito disciplinare la richiesta del legale volta ad ottenere il pagamento dei compensi professionali fondata sul timore di un'eventuale revoca, del proprio cliente, dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Così il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 240/17, depositata il 28 dicembre. Il caso. Il COA di Milano irrogava ad un legale la sanzione della censura per mancato rispetto dei doveri di lealtà e correttezza, riconoscendo che questi avesse richiesto alla propria assistita – difesa nell’ambito di un rapporto di patrocinio a spese dello Stato per un procedimento di separazione – il compenso per l’attività professionale svolta essendo venuto a conoscenza della percezione, da parte dell’assistita stessa, di un’ingente somma derivante da un accordo di separazione con il coniuge. Avverso la sanzione irrogata dal COA il legale propone ricorso innanzi al CNF evidenziando come avesse in realtà fatto presente alla propria assistita che la percezione di tale importo avrebbe potuto far venire meno il beneficio del patrocinio a spese dello Stato e che, pertanto, aveva proceduto ad inviare la notula, non avendo comunque ricevuto né somme dall’assistita né l’importo delle spese a carico dello Stato. La richiesta di compensi. Il Consiglio Nazionale Forense rileva come il legale ricorrente avesse avanzato richiesta di compenso nelle more della emananda decisione del Magistrato che avrebbe dovuto procedere alla liquidazione dell’importo delle competenze legali e che tale condotta ha rilevanza deontologica. Infatti, posto che il professionista non poteva ignorare che la eventuale revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato era atto di competenza del Magistrato e che, parallelamente, non era intervenuta alcuna revoca del provvedimento di ammissione, la richiesta del ricorrente avanzata nei confronti della cliente, si è posta certamente in contrasto con la disposizione dell’art. 85 d.P.R. n. 115/2005 che qualifica come illecito disciplinare non solo percepire compensi o rimborsi non dovuti, ma anche chiedere compensi non dovuti . Tuttavia, nonostante la richiesta del compenso fondata sul presupposto di revoca, da parte del Magistrato, dell’ammissione al patrocinio abbia indubbiamente natura di illecito disciplinare , il Consiglio stabilisce che, ai sensi dell’art. 28, comma 8, c.d.f., la sanzione da irrogare debba essere l’avvertimento, in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari a carico dell’incolpato , nonché del fatto che è stato dato per scontato, contrariamente a quanto risulta dagli atti, che il ricorrente abbia chiesto il pagamento alla cliente sul solo presupposto che costei avrebbe beneficiato della somma .

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 23 settembre – 28 dicembre 2017, n. 240 Presidente Mascherin – Relatore Vannucci Fatto L’Avv. [Ricorrente] ha impugnato la decisione del COA di Milano con la quale è stata inflitta la sanzione della censura per essere venuta meno ai doveri di probità e correttezza per aver richiesto alla Sig.ra [Tizia], difesa nell’ambito di un rapporto di patrocinio a spese dello stato, un compenso per l’attività professionale svolta”. La notizia di illecito, che ha originato il procedimento disciplinare, era originariamente contenuta nell’esposto trasmesso dalla esponente, tale Sig.ra [Tizia], in data 3 ottobre 2011 al COA di Monza. Nell’esposto la [Tizia] riferiva di aver fatto richiesta nel febbraio 2011, di patrocinio a spese dello stato per un procedimento di separazione tra coniugi di aver avuto contezza di essere stata ammessa al patrocinio in data 9 marzo 2011, ma che ciò nonostante l’Avv. [Ricorrente] le ha aveva chiesto una parcella di euro 3.800. La Commissione disciplinare dell’Ordine di Monza convocava le parti e in quella sede la [Tizia] riferiva di aver formulato richiesta di patrocinio a spese dello stato su indicazione dell’Avv. [Ricorrente] di aver versato al legale, prima del deposito della istanza di ammissione al patrocinio, un acconto di euro 800,00 che l’importo di euro 3.800 le era stato richiesto dopo il compimento delle attività di causa, in quanto secondo l’avvocato la pratica di G.P. era ferma”. Nella stessa sede l’Avv. [Ricorrente] riferiva di essere stata essa stessa ad indirizzare la cliente ad avvalersi del patrocinio a spese dello stato aggiungeva che il procedimento di separazione si era definito con un accordo, in forza del quale veniva riconosciuta alla sig.ra [Tizia] la somma di euro 160.000, integralmente percepita dalla cliente Che a seguito di ciò si era limitata a rappresentare alla cliente che potevano essere venuti meno i presupposti per beneficiare del patrocinio a spese dello stato e che non avendo avuto notizie sulla definizione della pratica, si era limitata a presentare alla cliente la notula precisando che questa doveva essere pagata dalla cliente, in mancanza di liquidazione del corrispettivo da parte dello Stato. L’ordine di Monza si spogliava della competenza, investendo l’ordine di Milano, presso il quale l’Avv. [Ricorrente] era iscritta. Il COA di Milano invitava l’Avv. [Ricorrente] ad effettuare deduzioni ed osservazioni scritte. In queste l’Avv. [Ricorrente] ripercorreva la vicenda dei rapporti con la sig.ra [Tizia] Evidenziava di essere stata contatta dalla [Tizia] che le rappresentava una situazione molto conflittuale con il marito, contro il quale ,per incarico della cliente, aveva provveduto a predisporre e presentare una denuncia per atti persecutori, ricevendo per tale attività un fondo spese da parte della cliente Che una volta ricevuta la documentazione relativa ai redditi della cliente aveva indirizzato la stessa presso il relativo Ufficio del COA di Monza al fine di farle proporre l’istante per l’ammissione al patrocinio a spese dello stato in vista del giudizio di separazione Che a seguito di molteplici contatti con il legale del marito della [Tizia] si perveniva alla stesura di un accordo di separazione consensuale che prevedeva la corresponsione in favore della [Tizia] di una somma di euro 160.000 da imputarsi in parte a corrispettivo per la cessione della nuda proprietà della casa coniugale in favore del marito e per la restante parte a titolo di mantenimento una tantum Che aveva fatto presente alla [Tizia] che la percezione della somma di euro 160.000 avrebbe fatto venir meno le condizioni per fruire del patrocinio a spese dello stato che pur avendo presentato l’istanza di liquidazione aveva rappresentato alla cliente che se non fosse stata confermata l’ammissione iniziale al patrocinio a spese delle stato, il corrispettivo per la prestazione avrebbe fatto carico alla cliente, tant’è che metteva a disposizione di questa la notula delle proprie competenze. Che in ogni caso non aveva percepito, né l’importo delle spese a carico dello stato, tantomeno l’importo di cui alla notula, nonostante avesse svolto in favore della cliente ulteriori attività rispetto a quelle per le quali era stata formulata l’istanza di ammissione al patrocinio. Il COA di Milano disattendeva la giustificazioni rese dall’Avv. [Ricorrente] e dava corso al procedimento disciplinare, contestando l’addebito di cui già si è detto. Alla contestazione l’Avv. [Ricorrente] rispondeva con un memoria difensiva ribadendo a grandi linee quello che già aveva evidenziato Precisava che ancora alla data del luglio 2012, dopo un anno dalla conclusione del procedimento di separazione, il Presidente del Tribunale non ancora si era pronunciato sulla istanza di liquidazione. Negava di aver chiesto soldi alla cliente, ma di essersi limitata a consegnare alla [Tizia] una notula, per il caso in cui l’ammissione al patrocinio fosse stata revocata. Precisava di essere entrata in conflitto con la cliente in quanto quest’ultima aveva formulato svariate richieste di assistenza legale che erano state soddisfatte e che una volta messa sull’avviso che queste esorbitavano dalla prestazione già resa, per cui andavano pagate, aveva visto interrompere i rapporti. Il Consiglio di Milano disattendeva le giustificazioni rese dall’Avv. [Ricorrente] che veniva citata a giudizio. Nel corso di questo veniva audita la sig.ra [Tizia], così come veniva sentita l’Avv. [Ricorrente] Veniva invece respinta la richiesta di ammettere un teste proposto dall’Avv. [Ricorrente] IL COA di Milano, all’esito della istruttoria ha ritenuto provato che l’Avv. [Ricorrente] avesse richiesto il pagamento del corrispettivo ritenendo la richiesta illegittima” in quanto ove anche nel corso del procedimento fossero mutate le condizioni economiche della [Tizia], l’evenienza non avrebbe comportato automaticamente la decadenza dal beneficio e comunque l’avvocato non era autorizzato a sostituirsi all’organo competente per la valutazione della meritevolezza beneficio Rilevava che dalla lettura degli atti si evidenziava che l’Avv. [Ricorrente] non si era limitata a prospettare la richiesta di pagamento come eventuale, eventualità legata ad una pronuncia di revoca dell’ammissione, bensì come dovuta in ragione del conseguimento da parte della cliente dell’importo di euro 160.000. Infliggeva alla incolpata la sanzione della censura Avverso la decisione ha proposto tempestivo ricorso l’Avv. [Ricorrente]. La ricorrente imputa, al COA di Milano di aver redatto una motivazione lacunosa nonché palesemente viziata nella parte in cui ha omesso di considerare elementi a favore dell’incolpata emersi dall’istruttoria fondandosi invece la decisione, pedissequamente e acriticamente, sulla versione dei fatti fornita dall’esponente, senza considerare che nel corso della istruttoria in udienza la [Tizia] avrebbe detto di essere stata edotta che la percezione della somma di 160.000 euro avrebbe prodotto quasi certamente la revoca del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio, per cui di fronte a tale evenienza sarebbe stata obbligata a pagare il corrispettivo per la prestazione fornita dall’avvocato. A conclusione del coacervo di doglianze la [Ricorrente] chiede il proscioglimento o, in subordine, l’applicazione di una sanzione meno afflittiva. Motivi della decisione Il ricorso della [Ricorrente] è infondato e come tale va rigettato, sia pure con unariduzione degli effetti sanzionatori. Dagli atti risulta in maniera inequivoca, che fu l’Avv. [Ricorrente], ad indirizzare la cliente presso il COA competente a chiedere ed ottenere l’ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato. Risulta ancora che l’istanza ebbe ad essere coltivata, cosi come risulta che venne chiesta, all’esito della definizione del giudizio, la liquidazione dell’importo delle competenze legali. A fronte di tanto risulta ancora che l’Avv. [Ricorrente], nelle more della emananda decisione del Magistrato che avrebbe dovuto procedere alla liquidazione dell’importo delle competenze legali, ebbe a richiedere alla cliente il pagamento delle competenze. Ciò da solo appare essere bastevole, per ritenere come il comportamento dell’Avv. [Ricorrente], abbia rilevanza deontologica. In effetti il professionista, non poteva ignorare che la eventuale revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello stato era atto di competenza del Magistrato, a mente dell’articolo 112 comma 1 lett. b del DPR 115/2005, norma per la quale il Magistrato revoca il provvedimento di ammissione, se, a seguito della comunicazione prevista dall'articolo 79, comma 1, lettera d , le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l'ammissione” Dagli atti non si rileva, né è stato da alcuno dedotto che il Magistrato abbia revocato il provvedimento di ammissione, per cui la richiesta della [Ricorrente] avanzata nei confronti della cliente, si è posta certamente in contrasto con la disposizione dell’articolo 85 del DPR citato che qualifica come illecito disciplinare non solo percepire compensi o rimborsi non dovuti, ma anche chiedere compensi non dovuti. Ed infatti la richiesta di compensi da parte della [Ricorrente] sul presupposto che il Magistrato avrebbe revocato l’ammissione al patrocinio ha indubbiamente natura di illecitodisciplinare. Quanto alla sanzione da irrogare, questa può essere limitata alla sanzione dell’avvertimento, in considerazione dell’assenza di precedenti disciplinari a carico dell’incolpata, tanto più che la sanzione della censura comminata dal COA di Milano risulta legata al fatto che è stato dato dato per scontato, contrariamente a quanto risulta dagli atti, che la [Ricorrente] abbia chiesto il pagamento alla cliente sul solo presupposto checostei avrebbe beneficiato della somma di euro 160.000, trattasi della violazione di cui all’articolo 28 c 8 del nuovo codice deontologico che prevede come sanzione attenuata fino alla censura e quindi anche l’avvertimento P.Q.M. Visti gli artt. articolo 8 e 54 del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578 e 59 e segg. del r.d. 22 gennaio 1934, n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense in parziale accoglimento del ricorso, ridetermina la sanzione inflitta dal COA di Milano, in quella dell’avvertimento. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza, in qualsiasi forma, per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità del ricorrente e degli altri dati identificativi degli interessati, riportati nella sentenza.