Sospeso l’avvocato anche se le sue condotte non sono configurabili come illeciti civili o penali

Le condotte poste in essere dal legale possono costituire un illecito disciplinare, sanzionabile secondo quanto previsto dal codice deontologico forense, anche se tali condotte non costituiscono né illecito civile né penale.

Così il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 199/17, depositata l’1 dicembre. Il caso. All’esito del dibattimento tenutosi innanzi al COA di Ravenna riguardante diversi procedimenti disciplinari a carico di un legale, questi veniva sospeso per 2 mesi per non aver impedito al proprio segretario-contabile di minacciare telefonicamente un'assistita. Il legale ricorre innanzi al Consiglio Nazionale Forense lamentando, tra i vari motivi di ricorso, che il COA di Ravenna non abbia tenuto conto di una precedente decisione del Giudice di Pace. Questi, difatti, aveva rigettato la domanda riconvenzionale proposta dall’assistita che resisteva alla domanda di pagamento rivoltale dal ricorrente stesso. Pertanto, il relativo procedimento disciplinare non poteva essere esperito a causa del contrasto con il giudicato civile. Giudicato civile e procedimento disciplinare. Il Consiglio Nazionale Forense nega la sussistenza di un rapporto di pregiudizialità tra il giudicato civile e il procedimento disciplinare, attesa l’autonomia tra i due giudizi e le diverse finalità perseguite la violazione di regole deontologiche nel primo e la sussistenza di obbligazioni tra le parti nel secondo . Infatti, il Consiglio sottolinea la diversa ontologia dei principi che presiedono il governo dei diritti civili rispetto quelli inerenti al procedimento disciplinare. Pertanto, l’illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità ed il decoro professionale, a nulla rilevando anche l’eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili . Il Consiglio Nazionale Forense quindi rigetta il ricorso e conferma la sanzione della sospensione per 2 mesi.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 19 gennaio – 1 dicembre 2017, n. 199 Presidente Mascherin – Segretario Secchieri In fatto L’avv. [ricorrente] veniva sottoposta a procedimento disciplinare dal Consiglio dell’Ordine di Ravenna a seguito della riunione di quattro esposti presentati nei suoi confronti rispettivamente dalla sig.ra [esponente1] 1/2012 , [esponente2] 2/12 , [esponente3] e [esponente4] 6/2013 e [esponente5] 7/2013 , sui seguenti capi di incolpazione Procedimento disciplinare n. 1/12. Violazione dell’art. 42 del vecchio CDF per avere omesso di restituire tutta la documentazione relativa all’incarico ricevuto da [esponente1] Procedimento Disciplinare n. 2/12 – [esponente2] 1. Violazione dell’art. 5 n. 1 e 11 CDF, perché, al fine di ottenere il pagamento dei propri onorari, induceva, ovvero consentiva, ovvero non impediva al proprio segretario addetto all’amministrazione e contabilità, così qualificato dall’iscritta, di minacciare ripetutamente in studio e telefonicamente una ex cliente, con ciò ledendo la reputazione e l’immagine della classe forense. In Ravenna nell’anno 2008. 2. Violazione dell’art. 34 CDF per aver violato il dovere di diligenza per culpa in eligendo ed in vigilando sull’operato del proprio collaboratore-segretario nelle circostanze di cui al precedente capo. In Ravenna, nell’anno 2008. 3. Violazione degli artt. 6 e 46 CDF, perché, al fine di ottenere il recupero delle sue competenze nei confronti della ex cliente, promuoveva molteplici procedimenti monitori che potevano concretizzarsi in un unico procedimento. In Ravenna, tra il 27.1.2009 e il 25.5.2009. 4. Violazione dell’art. 43 III CDF, perché, dopo aver richiesto in via bonaria alla cliente il pagamento della somma complessiva di € 1.500,00 e senza averne fatto espressa riserva, stante il mancato spontaneo pagamento della cliente, richiedeva a quest’ultima un compenso più che doppio. In Ravenna, tra il novembre 2008 e il marzo 2009. Procedimento disciplinare n. 6/13 – [esponente3] e [esponente4] 1. Violazione dell’art. 21, 2° co. Codice Deontologico Forense, per aver agevolato e reso possibile a [tizio], non abilitato, l’esercizio abusivo dell’attività di avvocato mantenendo rapporti diretti con i clienti, acquisendo mandati, fornendo pareri, presentandosi ad agendo come avvocato 2. Violazione dell’art. 34 CDF per aver violato il dovere di diligenza per colpa in eligendo e in vigilando sull’operato del proprio collaboratore [tizio] 3. Violazione dell’art. 5,2° e 3° co. CDF per aver indotto o consentito, ovvero non impedito a [tizio] di ingiuriare e minacciare le assistite [esponente3] e [esponente4] e di millantare il possesso di titoli inesistenti avvocato, magistrato, laurea . In Ravenna, tra il febbraio ed il 7 aprile 2009. Procedimento Disciplinare n. 7/13 Proc. Disc. [esponente5] Violazione degli artt. 5 2° e 3° co., 34 e 43 Codice Deontologico Forense, per aver omesso di fornire alla assistita [esponente5] Santa Rita le informazioni e i chiarimenti da questa richiesti ed, al fine di ottenere il pagamento dei propri onorari, per aver indotto ovvero consentito, ovvero non impedito, al proprio segretario-contabile così qualificato dall’esponente [tizio] di ingiuriare e minacciare telefonicamente l’assistita sopra detta, con ciò ledendo la reputazione e l’immagine della classe forense per aver violato, nelle circostanze di cui sopra, il dovere di diligenza per colpa in eligendo ed in vigilando del proprio collaboratore-segretario [tizio] per aver, in un primo tempo, omesso di fornire all’assistita [esponente5] Santa Rita la nota dettagliata delle spese, competenze ed onorari relativi all’attività espletata per conto della medesima e, successivamente, a fronte della richiesta scritta della stessa, per aver richiesto compensi manifestamente sproporzionata all’attività svolta. In Ravenna, tra il 5.11.2010 e il 7.02.2011. All’esito del dibattimento, il COA assolveva l’incolpata dalle violazioni disciplinari contestate con i procedimenti n. 1/12 e 2/12, e al capo 2 del procedimento n. 6/2013 nonché della violazione degli art. li 34 e 43 contestatele nell'ambito del proc. disc. n. 7/2013. Riconosceva invece la responsabilità dell’incolpata in relazione alle violazioni di cui agli art. 5 canoni I e III e 21, canone II C.D.F., contestatele nell'ambito dei procedimenti nn. 6/2013 capi 1 e 3 e 7/2013 R.G. per aver indotto ovvero consentito, ovvero non impedito, al proprio segretario-contabile così qualificato dall’esponente [tizio] di ingiuriare e minacciare telefonicamente l’assistita così riqualificato il capo di incolpazione e comminava la sanzione della sospensione per mesi due. Avverso la decisione l’avv. [ricorrente] -ripercorrendo fatti estranei al presente procedimento e dolendosi anche di circostanze per le quali il COA territoriale aveva ritenuto l’insussistenza dell’addebito contestato proponeva impugnazione, chiedendone l’annullamento, ovvero in estremo subordine la modifica con rideterminazione della sanzione, articolando quattro motivi di doglianza Per quanto attiene il procedimento 6/13 1. Erroneità della decisione in fatto e mancata valutazione delle prove esibite. Lamenta la ricorrente come il COA di Ravenna, in contrasto con il giudicato civile, non abbia tenuto conto della decisione con la quale il Giudice di Pace, nel rigettare la domanda riconvenzionale della sig.ra [esponente3], l’aveva dichiarata infondata e comunque non provata, dopo avere comunque assunto, in quel procedimento, le dichiarazioni della sig.ra [esponente3] e della Sig.ra [esponente4], che sono state, invece, ritenute credibili dal Consiglio procedente. Lamenta inoltre una verbalizzazione sintetica e resa in modo da sminuire i gravi fatti riportati dalla teste [esponente3]. 2. Mancanza dell’elemento oggettivo errore nell’accertamento del presunto fatto. L'Avv. [ricorrente] lamenta la mancata integrazione dell'elemento oggettivo degli illeciti disciplinari contestatile, non essendo stata dimostrata la perpetrazione da parte del sig. [tizio] di condotte tipiche dell'avvocato, che peraltro era sempre stato presentato come Segretario dello studio. Ribadisce poi come la versione dei fatti riferita dalle esponenti sarebbe del tutto illogica ed incoerente, oltre che sprovvista di riscontri oggettivi e dunque falsa, in quanto condizionata dall'interesse personale coltivato dalla sig.ra [esponente3] attraverso la presentazione dell'esposto disciplinare volto, cioè, a sottrarsi dal pagamento degli onorari richiesti dall'incolpata . Quanto al procedimento 7/2013 3. Erroneità della decisione in fatto e in diritto e mancata valutazione delle prove esibite. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta sostanzialmente la contraddittorietà della decisione del COA di Ravenna, che pur avendo disatteso parte della dichiarazioni dell’esponente sig.ra [esponente5], laddove smentite dalla documentazione prodotta in giudizio dall’avv. [ricorrente], nondimeno l’ha ritenuta credibile laddove ha riferito dei comportamenti del sig. [tizio]. 4. Violazione di legge nelle modalità di assunzione della testimonianza. Con l’ultimo motivo si lamenta la violazione dell’art. 499 c.p.p. per essersi la stessa avvalsa di appunti per rendere la sua testimonianza, senza essere stata autorizzata dal Presidente la testimonianza sarebbe stata pertanto eterodiretta preconfezionata e non spontanea. Chiede pertanto l’annullamento della decisione o la riforma con l’applicazione di una sanzione meno afflittiva e formale”. Con memoria depositata il giorno 18.1.2017 l’avv. Fogl, richiamando circostanze del tutto inconferenti rispetto al ricorso, chiedeva che il Consiglio Nazionale valutasse se il COA di Ravenna, nell’assumere la decisione, avesse agito con equità ed equidistanza, nel rispetto del principio di terzietà del procedimento disciplinare e se, nell’archiviazione degli esposti presentati nei confronti di altri avvocati, il Consiglio territoriale si fosse ispirato ai medesimi principi. Con la memoria venivano depositati ulteriori documenti, tra i quali due sentenze. In diritto Il ricorso non è fondato e non può trovare accoglimento. Deve innanzitutto essere rilevata l’inammissibilità dell’istanza ex art. 37 del regolamento n. 2/2014 di questo Consiglio di cui alla memoria depositata in data 18.1.2017, che non può essere esaminata in quanto tardiva ed inammissibile, con preclusione di ogni ulteriore decisione in merito. Va inoltre rilevato che solo con la menzionata memoria 18.1.2017 l’avv. [ricorrente] ha prodotto una sentenza del Tribunale di Ravenna, depositata in data 23.12.2016, e pertanto non passata in giudicato al momento della produzione, in forza della quale era stata riconosciuta la sua colpevolezza per gli stessi fatti oggetto dell’esposto depositato dalla sig.ra [esponente5], ed era stata condannata alla pena di due mesi di reclusione, senza peraltro che, nel procedimento avanti al COA, fosse mai stata data notizia della pendenza del processo penale e fosse stata chiesta conseguentemente la sospensione del procedimento disciplinare. Istanza non avanzata neppure in questa sede. Quanto al primo motivo di doglianza, di nessun pregio è la circostanza che il Giudice di Pace di Ravenna, in sede civile, abbia rigettato la riconvenzionale della sig.ra [esponente4] che resisteva ad una domanda di pagamento rivoltale dall’avv. [ricorrente] , non sussistendo alcun rapporto di pregiudizialità tra il giudicato civile e il procedimento disciplinare, attesa l'autonomia tra i due giudizi e le diverse finalità perseguite la violazione di regole deontologiche nel primo e la sussistenza di obbligazioni tra le parti nel secondo. E infatti le ragioni e i principi che presiedono al procedimento disciplinare hanno ontologia diversa rispetto a quelli che attengono al governo dei diritti soggettivi, riguardando la condotta del professionista quale delineata attraverso l'elaborazione del codice deontologico forense e quale risultante dal dovere di correttezza e lealtà che deve informare il comportamento dello stesso diversi sono i presupposti e le finalità che sottendono all'esercizio disciplinare e che con il provvedimento amministrativo si perseguono diversa è l'esigenza di moralità che è tutelata nell'ambito professionale. L'illiceità disciplinare del comportamento posto in essere dal professionista deve, infatti, essere valutata solo in relazione alla sua idoneità a ledere la dignità e il decoro professionale, a nulla rilevando anche l'eventualità che tali comportamenti non siano configurabili anche come illeciti civili. si vedano in proposito CNF 14.3.2015 n. 59 e CNF 26.2.2017 n. 13 . Con il secondo ed il terzo motivo la ricorrente lamenta sostanzialmente che il Consiglio dell’Ordine di Ravenna abbia fondato la decisione sulle sole dichiarazioni delle esponenti, la cui veridicità era, invece, da ritenersi dubbia. La doglianza è infondata, dal momento che il Consiglio da atto di avere compiuto una valutazione congiunta di tutte le testimonianze rese nella fase dibattimentale, affermando che la disamina unitaria dei diversi esposti, nei quali persone diverse, senza rapporti tra loro ed in tempi diversi riferiscono episodi molto simili, avvalora la attendibilità delle deposizioni testimoniali raccolte. Con ciò integrando quel criterio logico giuridico inequivocabile a favore della completezza e definitività dell’istruttoria, tenuto anche conto che le circostanze oggetto dei capi di incolpazione non sono specificamente state contestate. Parimenti infondato è il richiamo alla violazione dell’art. 499 c.p.p., dedotta quale quarto motivo di impugnazione, per avere la teste – a detta della ricorrente consultato appunti senza l’esplicita autorizzazione del Presidente. Orbene, a prescindere dalla circostanza che il processo disciplinare, secondo la regolamentazione in vigore prima della riforma, era regolato secondo i principi del codice di procedura civile, ove non vi fossero espliciti richiami al codice di procedura penale, inesistenti nel caso di specie , si rileva come debba comunque escludersi la nullità del procedimento ove, come nel caso di specie non vi sia stata opposizione dell’incolpato nel corso dell’esame del testimone Cass. Pen. 4721/2008 . Quanto alla sanzione irrogata, la stessa deve ritenersi congrua alla luce delle accertate violazioni, anche con riferimento all’art. 36 del Nuovo codice Deontologico Forense, così come esaustivamente motivato dal COA di Ravenna. P.Q.M. Visti gli artt. 50 e 54 RDL 27/11/1933 n. 1578 e 59 segg. RD 37/34 Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso e conferma la sanzione della sospensione per mesi due. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.