Pregiudizialità penale e sospensione del procedimento disciplinare: il contrasto tra CNF e Cassazione

Non sussiste alcun obbligo di sospensione del procedimento disciplinare nel caso in cui il procedimento penale, avente lo stesso oggetto, sia ancora nella fase delle indagini preliminari. Questo è l’indirizzo del CNF che si pone in contrasto con l’interpretazione giurisprudenziale della Corte di legittimità.

Sul tema il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 147/17, depositata il 10 ottobre. Il caso. Il COA di Prato aveva inflitto ad un avvocato la sanzione disciplinare della sospensione dall’esercizio dell’attività professionale per la durata di due mesi. La sanzione veniva inflitta al legale per aver violato l’art. 5 del c.d.f. Doveri di probità, dignità e decoro con più condotte di raggiro e artifizio. Nella specie l’avvocato aveva asserito di aver ricevuto un mandato in rem propriam dal de cuius con intestazione fiduciaria di cespiti da destinare ad una possibile cliente. Il sanzionato in questo modo, ingannando la cliente, aveva ottenuto il conferimento di un incarico d’assistenza nella successione testamentaria di quest’ultima, la quale però non era né citata nei testamenti, né legittimaria. La notizia dell’illecito che ha originato il procedimento disciplinare, era contenuta nella copia della denuncia/querela presentata dalla cliente ingannata. Avverso il provvedimento disciplinare del COA l’avvocato ha proposto ricorso chiedendo che il CNF dichiari l’illegittimità della sanzione inflitta. I due orientamenti giurisprudenziali. Con il primo motivo di ricorso l’avvocato lamenta che il COA non abbia disposto la sospensione del procedimento pur risultando pendente un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti oggetto di accertamento disciplinare in applicazione dell’art. 295 c.p.c Il CNF ha osservato che vi è un contrasto giurisprudenziale sul tema tra le pronunce del Cassazione e le decisioni del Consiglio. Secondo la Cassazione perché sussista la pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare è sufficiente l’avvenuta contestazione, in sede penale, di un fatto reato sovrapponibile con l’oggetto dell’illecito disciplinare Cass. n. 11987/17 . Al contrario secondo il CNF perché sia sospeso il procedimento disciplinare per pregiudizialità penale, in caso di identità dei fatti, è necessario che sia stata esercitata dal PM l’azione penale con la formulazione dell’imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio. il CNF ha rilevato che, nel caso di specie, il COA aveva acquisito la notizia dell’illecito quando l’azione penale non era stata ancora esercitata. Onere probatorio. Il CNF ha poi osservato che, a prescindere dall’adesione ad uno dei due orientamenti giurisprudenziali, il ricorrente, nella formulazione del ricorso, non ha fornito nessuna prova circa l’esito delle indagini avviate dal PM nei suoi confronti. In ragione di ciò non è possibile provare neanche la contestazione del fatto reato sovrapponibile all’illecito disciplinare, in quanto è principio consolidato della giurisprudenza del Consiglio che l’organo disciplinare non può sostituirsi all’onere probatorio gravante sull’incolpato. In Conclusione il CNF ha osservato che in assenza della contestazione del fatto reato non è possibile verificare la sussistenza della piena sovrapponibilità tra i fatti del procedimento penale e quelli al vaglio del giudice disciplinare indipendentemente dall’adesione ad uno dei due indirizzi giurisprudenziali.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 27 maggio 10 ottobre 2017, n. 147 Presidente Picchioni Segretario Secchieri Fatto La notizia dell’illecito, che ha originato il procedimento disciplinare, era contenuta nella copia della denuncia/querela presentata da certa [ mevia ], nata a [ omissis ] il [ omissis ], res. in [ omissis ], nella Via [ omissis ], alla Procura della Repubblica di Prato, copia trasmessa dall’Avv. [ tizio ] del foro di Firenze in data 22/6/2012 al COA di Prato. Nei confronti dell’Avv. [ ricorrente ] venivano mossi i seguenti capi di incolpazione a violazione dell’art. 5 del previgente cdf per avere l’Avv. [ ricorrente ]- con più condotte costituenti artifizio e raggiro assumendo di avere ricevuto un mandato in rem propriam da [ caio ] con intestazione fiduciaria di cespiti da destinare a [ mevia ] dopo la sua dipartita, dichiarandosi beneficiario di un’eredità giacente che, invece, consisteva in una successione testamentaria, ove chiamati quali eredi erano un ente e il riservatario, la moglie nel sottacere che la stessa non aveva alcun titolo ad interloquire sulla predetta successione, facendole ritenere anche con condotte sia reiterate successivamente che successive al conferimento dell’incarico quali falsa documentazione di cui al capo 1 dell’incolpazione provvisoria, simulazione di rapporti con vari enti, rilascio di procure, indicazione dei funzionari bancari, facendosi accompagnare, senza farla essere presente alla sessioni in vari istituti la presenza di tali cespiti, e consapevole, quale sua assistita in altre pratica e per avergli essa stessa presentato [ caio ], del rincrescimento per non essere stata citata nei due testamenti] indotto [ mevia ] a conferirgli mandato per l’assistenza tutela di diritti insussistenti e, invece, artatamente nonché erroneamente profilati dal medesimo Avv. [ ricorrente ]. In Prato, in Calenzano, con accordo concluso in data tra il 10/7/2006 e fino all’11/2/2011. b violazione dell’art. 19 del previgente cdf per avere l’Avv. [ ricorrente ], dopo avere asserito di avere ricevuto mandato in rem propriam dal de cuius [ caio ], procacciato a proprio favore il conferimento di un incarico d’assistenza nella successione testamentaria di quest’ultimo da parte di [ mevia ] che non era né citata nei testamenti, né era legittimaria, né tanto meno si ponevano ipotesi di falsità del testamento nonché il conferimento della stessa di contestuale incarico per il compimento di attività volta a ritrasferire beni del de cuius asseritamente intestati fiduciariamente in vita all’Avv.to [ ricorrente ]- alla medesima [ mevia ].in Calenzano dal 17/6/2006 all’11/2/2011. Il procedimento veniva istruito con la prova documentale allegata dall’esponente e con l’audizione della medesima. Con il provvedimento impugnato veniva inflitta al [ ricorrente ] la sospensione dall’esercizio della professione per mesi due. Avverso il calendato provvedimento il legale ha proposto ricorso chiedendo che il CNF dichiari l’illegittimità della sanzione inflitta, disponendo la sua assoluzione da tutti i capi di 2 incolpazione. In via subordinata ha chiesto la rideterminazione in melius della sanzione con conseguente applicazione dell’avvertimento o della censura. Diritto 1 Con il primo motivo di impugnazione l’Avv. [ ricorrente ] si duole del fatto che il COA di Prato non abbia disposto la sospensione del procedimento amministrativo pur risultando pendente un procedimento penale avente ad oggetto i medesimi fatti oggetto di accertamento in sede disciplinare. Secondo il ricorrente la sospensione si rendeva necessaria sia nell’ipotesi di applicazione della nuova disciplina riguardante i rapporti tra procedimento disciplinare e penale, introdotta dagli artt. 54-55 della L. numero /2012, sia, nell’ipotesi di non applicazione delle nuove disposizioni, in virtù dell’art. 295 c.p.c. così come introdotto dalla giurisprudenza di legittimità. L’Avv. [ ricorrente ] rilevava altresì la precisa coincidenza tra i fatti oggetto del procedimento penale e quelli del procedimento disciplinare posto che la denuncia querela presentata dalla [MEVIA] alla Procura della Repubblica di Prato altro non era che una fotocopia dell’esposto presentato al consiglio dell’ordine di Prato. La doglianza è priva di fondamento. In primo luogo va rilevato che la normativa invocata dall’Avv. [ ricorrente ], e quindi gli artt. 54/55 della L. n. 247/2012, non può essere applicata al giudizio in esame in quanto dette norme attengono al nuovo sistema disciplinare, fondato sui consigli distrettuali di disciplina, e sono dunque destinati ad operare solo in procedimenti avviati da detti organi. In tal senso si è espresso il CNF con proprio parere del 10/4/2013, n. 29. In buona sostanza ha ritenuto il consiglio che gli artt. 54/55 della L. numero /2012, collegandosi l’uno all’altro, fanno parte di un sistema integrato che presuppone un nuovo quadro disciplinare e, non per ultimo, il nuovo organo depositario del relativo potere. Per quanto concerne invece l’applicazione del previgente art. 295 c.p.c. è noto il contrasto giurisprudenziale tra le pronunce della Corte di Cassazione e la giurisprudenza del CNF. Secondo la Corte di legittimità, ai fini della valutazione di pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare, è sufficiente l’avvenuta contestazione, in sede penale, di un fatto reato sovrapponibile a quello oggetto di accertamento in sede disciplinare, non essendo altresì necessario il concreto esercizio dell’azione penale. Tra le tante la sentenza 15/5/2017 SSUUn. 11987. Invece, secondo l’orientamento del Consiglio Nazionale Forense, la sospensione del procedimento disciplinare per pregiudizialità penale può essere disposta, ai sensi dell’art. 295 c.p.c. , in caso di identità dei fatti, nella sola ipotesi in cui sia stata esercitata dal PM l’azione penale nei modi di cui all’art. 405 c.p.p. con la formulazione dell’imputazione e la richiesta di rinvio a giudizio. Con la conseguenza che non sussiste 3 alcun obbligo di sospensione del procedimento disciplinare nel caso in cui quello penale sia ancora nella fase delle indagini preliminari CNF 7/3/2016, n. 36 . Fatta questa premessa, per quanto attiene alla fattispecie in esame, il COA di Prato ha acquisito la notizia dell’illecito dalla Procura della Repubblica di Pistoia, quando l’azione penale non era stata ancora esercitata, né era stato adottato nei confronti dell’Avv. [ ricorrente ] alcun provvedimento essendo il fascicolo ancora in fase di indagine. Tuttavia, a prescindere dalla adesione alla prima o alla seconda interpretazione, quel che va qui rilevato è che il ricorrente, nel formulare nel proprio ricorso l’eccezione di omessa sospensione del procedimento, non ha fornito a questo Consiglio alcuna indicazione né riscontro documentale circa l’esito delle indagini avviate dalla Procura della Repubblica a seguito della denuncia/querela della [ mevia ]. Con sentenza del 26/9/2014, n. 109, il CNF ha statuito che l’organo disciplinare non può infatti sostituirsi all’onere probatorio gravante sull’incolpato tanto più quando questi avrebbe avuto il modo, l’occasione e tutto il tempo per fornire ogni possibile prova documentale della assunta pendenza nei suoi confronti dell’invocato procedimento penale per gli stessi fatti contestatigli in sede disciplinare. In ultima analisi l’onere di provare la sussistenza delle condizioni che impongono la sospensione del procedimento disciplinare ex art. 295 c.p.c. incombe sull’incolpato. Ebbene, anche a volere seguire l’orientamento della Corte di Cassazione che ritiene sufficiente ai fini della valutazione di pregiudizialità del procedimento penale rispetto a quello disciplinare, l’avvenuta contestazione, in sede penale, di un fatto sovrapponibile a quello oggetto di accertamento in sede disciplinare, dalla disamina della decisione impugnata e del ricorso non è dato evincere se tale condizione si sia verificata e cioè non è dato evincere se, a seguito della denuncia della [ mevia ], sia stato contestato all’Avv. [RICORRENTE] un fatto reato avente ad oggetto le medesime condotte sottoposte al vaglio del Giudice disciplinare. Per cui, in assenza della contestazione del fatto reato, non è possibile verificare la sussistenza dell’ulteriore requisito, richiesto dalla giurisprudenza, della piena sovrapponibilità tra i fatti del procedimento penale e quelli al vaglio del giudice disciplinare. Non avendo il ricorrente assolto all’onere probatorio di comprovare lo stato in cui si trovava il procedimento penale in particolare, se sia stata esercitata l’azione penale o se, aderendo alla giurisprudenza della Corte di Cassazione, sia avvenuta la contestazione di un fatto reato in sede di indagini , l’eccezione non può che essere rigettata. 2 Sulla eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare. Con il secondo motivo di impugnazione il ricorrente eccepisce l’intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare. A sostegno di ciò l’Avv. [ ricorrente ] assume che i documenti acquisiti agli atti non meglio specificati dimostrerebbero che le condotte contestate e 4 sanzionate dal COA di Prato sarebbero risalenti ad un arco temporale circoscritto agli anni 2006/2007, mentre il primo atto interruttivo del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 51 del RDL n. 1578/1933, costituito dalla delibera di apertura del procedimento disciplinare, è stato adottato solo l’8/5/2013, data in cui il precitato termine quinquennale era già integralmente decorso. Il COA di Prato, nel provvedimento impugnato sostiene che le condotte poste in essere dall’Avv. [ ricorrente ], e successivamente sanzionate, si siano invece protratte quanto meno fino al febbraio del 2011, come documentato dalla due lettere datate 9 e 14/5/2011, in cui l’incolpato conferma di avere rinunciato all’incarico conferitogli dalla signora [ mevia ], con conseguente restituzione dei documenti inerenti la pratica relativa alla eredità del [ caio ]. Appare preliminare stabilire se le violazioni deontologiche contestate all’incolpato siano di carattere istantaneo, tali da esaurirsi nel momento in cui vengono realizzate, o se le stesse risultino protrarsi nel tempo cd illeciti permanenti . La decorrenza del termine prescrizionale ha inizio, infatti, dalla data della commissione del fatto nel primo caso e da quello della cessazione della condotta nel secondo. In tal senso la Corte di Cassazione, SSUU, con pronuncia del 30/6/2016, n. 13379, ha stabilito che il dies a quo per la prescrizione dell’azione disciplinare va individuato nel momento della commissione del fatto solo se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo che si consuma o si esaurisce al momento stesso in cui viene realizzata. Ove invece la violazione risulti integrata da una condotta protrattasi e mantenuta nel tempo, la decorrenza del termine ha inizio dalla data della cessazione della condotta. Conforme CNF 21/12/2006, n. 183 e Cass. 1/10/2003, n. 14620. Ancora lo stesso CNF con sentenza del 2/3/2012, n. 35, in una ipotesi simile alla fattispecie in esame ha statuito che nel caso di illecito deontologico permanente, ovverossia quando la condotta sia perdurante nel tempo, il momento iniziale di decorrenza della prescrizione deve essere riportato non già alla data di realizzazione del fatto illecito ma alla data di cessazione della condotta medesima. In questo caso, la condotta illecita era consistita nella produzione in giudizio di un documento falso. Successivamente il professionista rinunciava agli atti del giudizio stesso. In applicazione del principio di cui in massima il CNF ha individuato il dies a quo in tale successivo momento . 3 Sulla carenza di prova dell’illecito, sulla erronea valutazione dei fatti e delle prove da parte del COA di Prato, e sul difetto di motivazione. Il ricorrente si duole che il COA abbia fondato il proprio giudizio di colpevolezza sulla sola base delle dichiarazioni dell’esponente [ mevia ] pure querelante e teste. Evidenzia altresì la scarsa attendibilità della [ mevia ], definita, nella stessa decisione impugnata, come soggetto le cui aspirazioni e le cui mire non sono del tutto chiare e trasparenti nella vicenda. Lamenta che il COA non abbia tenuto in debito conto come le dichiarazioni della [ mevia ] non 5 abbiano trovato alcun riscontro nei documenti acquisiti agli atti e che quindi il COA abbia errato nel ritenere raggiunta la prova dei fatti addebitatigli, con palese violazione del principio della presunzione di non colpevolezza applicabile anche al giudizio disciplinare. Secondo il ricorrente, una esatta valutazione della documentazione avrebbe dovuto indurre il COA, quanto al primo capo di incolpazione, a valutare che l’incarico professionale era stato conferito al legale dal signor [ caio ], e non certo dalla [ mevia ] e che, proprio in quanto legale del primo, si era limitato a tutelare la libertà testamentaria di quest’ultimo contro ogni abuso di terzi. Quanto al secondo capo di incolpazione, inerente l’accaparramento di clientela, l’Avv. [ ricorrente ] sostiene che trattasi di addebito del tutto infondato in quanto il signor [ caio ] gli conferì l’incarico di assisterlo nella redazione di un testamento, successivamente dal medesimo volontariamente revocato, mentre i rapporti con la [ mevia ] afferivano ad una sfera non professionale. Va intanto premesso che, secondo consolidata giurisprudenza, al procedimento disciplinare deve applicarsi il principio del libero convincimento del Giudice il quale gode di ampio potere discrezionale nel valutare la rilevanza e la conferenza delle prove dedotte. Più specificatamente deve ritenersi legittimo il comportamento del consiglio locale che ha fondato la sua decisione sui riferimenti del redattore dell’esposto da cui scaturì il procedimento, specie laddove essi siano pienamente coerenti con le risultanze dibattimentali acquisite al procedimento. CNF 27/5/2013, n. 85, CNF 29/11/2012, n. 177 . Ancora più esplicitamente il Consiglio, con pronuncia n. 43 del 20/3/2014, ha statuito che l’attività istruttoria espletata dal consiglio territoriale deve ritenersi correttamente motivata allorquando la valutazione disciplinare sia avvenuta non già solo esclusivamente sulla base delle dichiarazioni dell’esponente o di altro soggetto portatore di un interesse personale nella vicenda, ma altresì dall’analisi delle risultanze documentali acquisite agli atti, che rappresentano certamente il criterio logico-giuridico inequivocabilmente a favore della completezza e definitività della istruttoria. Conforme CNF 18/3/2014, n. 25 e CNF 20/2/2013, n. 3. Fatti propri questi principi, ritiene il Consiglio che nel caso in esame sia stata raggiunta la certezza della prova necessaria ai fini della condanna dell’incolpato al di là di ogni ragionevole dubbio, tale da superare la presunzione di non colpevolezza. E difatti la decisione impugnata si fonda sulla prova documentale prodotta dalla esponente e acquisita agli atti più che sulle sue dichiarazioni. In particolare viene richiamata la dichiarazione redatta dall’avv. [ ricorrente ] in data 5/10/2007, la procura per più atti del 26/10/2007 con la quale il legale nomina e costituisce proprio procuratore speciale la signora [ mevia ] affinché in sua vece, nome e conto, abbia a compiere ogni suo atto che riterrà utile e necessario, ivi compresa la gestione e la disposizione di ogni diritto con 6 riferimento all’asse ereditario e a tutti i beni che ne facciano parte denominato eredità giacente [ caio ] Ottavio derivante appunto, dal decesso del signor [ caio ] avvenuto in Pistoia il 17/6/2006. Al nominato procuratore non potrà mai eccepirsi alcun difetto di poteri e la presente procura è convenuta come irrevocabile perché stipulata nell’interesse della parte mandataria. Con premessa di rato e valido operato. Firenze 26/10/2007. A ciò si aggiunga la procura speciale redatta in Firenze il 9/11/07 presso lo studio notarile del dott. Simone con la quale l’Avv. [ ricorrente ] dichiara di nominare e costituire sua procuratrice speciale la stessa [ mevia ] affinché in nome, conto e interesse di esso mandante compia qualsiasi atto di amministrazione straordinaria e ordinaria relativamente alla successione di [ caio ] Ottavio, nonché relativamente a tutti i singoli beni caduti nella successione medesima. A ciò si aggiunga il fitto scambio di mail fra la [ mevia ] e l’Avv. [ ricorrente ] pure allegate, in formato cartaceo, agli atti. Tutto ciò detto, appare pienamente condivisibile la conclusione a cui è pervenuto il COA di Prato anche per quanto attiene il secondo capo di incolpazione relativo alla violazione dell’art. 19 del previgente CDF, essendosi l’incolpato attivato attraverso i mezzi sopra descritti per convincere la [ mevia ] a conferirgli l’incarico per la assistenza e tutela di diritti successori inesistenti, posto che, come già detto, l’esponente non poteva vantare alcunché essendo beneficiaria dell’eredità del [ caio ] la fondazione [ fondazione ], con sede in [ omissis ] e la moglie del [ caio ] quale riservataria, non essendo ancora intervenuta la sentenza di divorzio. 4 sull’asserita eccessività della sanzione disciplinare irrogata. Con l’ultimo motivo di impugnazione il ricorrente si duole della eccessività della sanzione subita e, in particolare, che il COA non abbia tenuto in adeguato conto il lungo lasso di tempo trascorso tra i fatti e la decisione nonché tutte le circostanza soggettive ed oggettive che hanno concorso a determinare le ipotizzate violazioni. Il ricorrente è stato sanzionato per violazione dell’art. 5 doveri di probità dignità e decoro e art. 19 divieto di accaparramento di clientela del pregresso codice deontologico. Attualmente con l’introduzione del nuovo cdf il contenuto dell’art. 19 è confluito nell’art. 37, mentre i doveri di probità, dignità e decoro, di cui al previgente art. 5, risultano ora trasfusi nell’art. 9 del nuovo codice. Attualmente l’art. 37 prevede quale sanzione edittale quella della censura. Mentre non risulta tipizzata la sanzione per quanto concerne la violazione dell’art. 5, oggi art. 9, inerente i doveri di dignità, probità, decoro ed indipendenza. Alla luce di quanto previsto dall’art. 21 del nuovo cdf, il quale specifica i parametri generali da osservare nella individuazione della sanzione più adeguata da applicare alle infrazioni disciplinari, si ritiene che la sanzione inflitta della sospensione dall’esercizio della professione per mesi due debba ritenersi congrua. 7 Va al riguardo tenuto conto del comportamento complessivo dell’incolpato caratterizzato dalla reiterazione delle azioni. Così come occorre avere riguardo alla gravità del fatto e alla sussistenza, nel caso in esame, del dolo e della sua intensità. A tutto ciò si aggiunga il pregiudizio subito dalla [ mevia ] la quale ha conferito all’avv. [ ricorrente ] delle somme di denaro per la propria prestazione professionale e dei non pochi precedenti disciplinari in capo allo stesso. P.Q.M. visti gli artt. 50 e 54 del RDL 27/11/1933, n. 1578 e gli artt. 59 e segg. del RD 22/1/1934, n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso. Dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati nella sentenza.