Sanzionato l’avvocato che giustifica le offese nei confronti della controparte con il dovere di difesa

Benché l’avvocato possa e debba utilizzare fermezza e toni accesi nel sostenere la difesa della parte assistita o nel criticare e contrastare le decisioni impugnate, tale potere/dovere trova un limite negli oneri di probità e lealtà, i quali non gli consentono di trascendere in comportamenti non improntati a correttezza e prudenza, se non anche offensivi, che ledono la dignità della professione.

Così il Consiglio Nazionale Forense con sentenza n. 136/17, depositata il 4 ottobre. Il fatto. Il COA di Venezia irrogava la sanzione della censura ad un avvocato dopo aver accertato la responsabilità dello stesso per aver utilizzato nell’atto di citazione di un ricorso, in qualità di difensore dell’imputato, frasi offensive nei confronti della controparte ed inconferenti per il merito della causa. Nella specie l’avvocato portava a conoscenza il Giudice della causa delle precedenti condanne e raccontava con espressioni sconvenienti la personalità della controparte convenuta. Avverso detta decisione ha proposto ricorso al CNF l’avvocato, sostenendo l’insussistenza di qualsiasi responsabilità a suo carico in quanto le frasi riportate nell’atto di citazione sono espressione del diritto di critica e di difesa ed inoltre, in ogni caso, il Giudice di merito non ne ha disposto la cancellazione. Il dovere di difesa non giustifica le espressioni offensive. Il CNF ha osservato che, da quanto emerge dalla valutazione delle affermazioni oggetto di contestazione, non vi è alcun dubbio che le frasi non abbiano nulla a che fare con l’oggetto del contendere e siano finalizzate esclusivamente a creare un ingiusto discredito personale della controparte e non ad esprimere un giudizio né un’opinione personale con l’esimente del diritto di critica. Secondo il CNF il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell'atto difensivo dal difensore , oltre il quale si configura responsabilità disciplinare, va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l'esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti . In ragione di ciò la libertà che viene riconosciuta alla difesa della parte non può mai tradursi in una licenza ad utilizzare forme espressive sconvenienti e offensive nella dialettica processuale, con le altre parti e il giudice, ma deve invece rispettare i vincoli imposti dai doveri di correttezza e decoro . Irrilevante il mancato ordine del giudice di cancellare gli scritti offensivi . Inoltre, secondo il CNF, non ha nessuna rilevanza il fatto che il Giudice di merito non abbia cancellato le espressioni contestate. In ragione del fatto che in tema di frasi sconvenienti o offensive, è ininfluente il fatto che il Giudice civile abbia omesso di provvedere in ordine alla richiesta di cancellazione delle espressioni offensive, giacché il Giudice della disciplina ha completa libertà di effettuare pieno riesame delle espressioni utilizzate sotto il profilo deontologico , indipendentemente dalla valutazione compiuta dal Giudice di merito circa il carattere offensivo o meno delle frasi stesse espresse in ambito della responsabilità civile. In conclusione il CNF ha ritenuto che la sentenza contestata non merita nessuna censura avendo il COA valutato le risultanze probatorie con correttezza e chiarezza sia sul piano logico che giuridicodeontologico.

Consiglio Nazionale Forense, sentenza 23 febbraio 4 ottobre 2017, n. 136 Presidente Picchioni Segretario Sorbi Fatto Con segnalazione depositata presso il COA di Venezia in data 16-12-2011, il Sig. [esponente], dopo aver premesso 1 che nel mese di ottobre 2011 aveva avuto notificato Decreto Penale di Condanna n. 588/11 emesso dal GIP del Tribunale di Venezia 2 che al momento dell’emissione del Decreto il GIP gli aveva nominato, quale difensore di Ufficio, l’Avv. [ricorrente] 3 che l’avvocato [ricorrente], con propria missiva del 14-09-11, gli comunicava 3.1 che era stato nominato suo difensore di ufficio 3.2 gli precisava quelle che erano le sue facoltà in ordine al Decreto Penale Ricevuto 3.3 lo invitava a presentarsi al suo studio per concordare le strategie processuali ovvero a comunicargli se intendeva nominare un suo difensore di fiducia 4 che non proponeva opposizione a detto decreto 5 che con lettera del 17-10-11 l’Avv. [ricorrente] gli inviava propria parcella n. 25/11 di 1.500,00, relativa all’attività professionale svolta a suo favore, e lo invitava al saldo 6 che in data 02-11-11, l’attuale ricorrente gli aveva notificato atto di citazione, avanti al Giudice di Pace Portogruaro, con il quale lo stesso chiedeva la sua condanna al pagamento in suo favore della somma di 1.500,00 7 che la richiesta di pagamento dell’Avv. [ricorrente] era eccessivamente onerosa e comunque sproporzionata rispetto all’effettiva attività svolta chiedeva al COA di Venezia di adottare tutti i provvedimenti che riterrà di giustizia. 8 che in data 20-12-11 il Sig. [esponente], per il tramite del suo difensore, depositava nota integrativa con la quale faceva presente che l’Avv. [ricorrente], nel procedimento civile pendente avanti al Giudice di Pace di Portogruaro, aveva verbalizzato la propria disponibilità a transigere la vertenza in essere accettando la minor somma di 3/400,00 Il Consiglio territoriale notiziava il professionista della segnalazione pervenuta in suo 2 danno e lo invitava a fornire chiarimenti. L’Avv. [ricorrente] forniva tempestive deduzioni contestando le doglianze dell’esponente. Nella seduta del 20-05-2013, il COA di Venezia, deliberava di aprire procedimento disciplinare nei confronti dell’Avv. [ricorrente] con il seguente capo di incolpazione Violazione degli Artt. 5, 20, 43 secondo canone, 48 e 60 del Codice deontologico Forense, approvato dal Consiglio Nazionale Forense in data 17.4.1997 e dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Venezia in data 2.6.1997, e successive modificazioni ed integrazioni, in relazione all'art. 38 R.D.L. 27- 11-1933, convertito con modificazioni nella L. 22.10.1934, perché A in violazione dell'art. 5 cd si rapportava al proprio assistito Signor [esponente] inosservante dei principi dì probità, dignità e decoro, in particolare inviando allo stesso una missiva con la quale lo invitava a versare una somma congrua per rinunziare alla causa ed evitare ulteriori azioni giudiziarie, qualificando la propria lettera riservata personale non producibile , B in violazione dell 'art. 20 c.d utilizzava nell'atto di citazione frasi offensive nei confronti dell’esponente ed inconferenti per il merito della causa, scrivendo si ritiene inoltre doveroso mettere a conoscenza l'illustrissimo giudicante della personalità dell'odierno convenuto, il quale, già all'epoca dei fatti, era stato sanzionato con decreto penale di condanna dal Tribunale Ordinario di Venezia, sezione GIP sottoposto a procedimento penale, per le ipotesi di reato di cui all'art 187 comma P del Codice della Strada C in violazione dell'art. 43 secondo canone c.d. esponeva e richiedeva compensi manifestamente sproporzionati rispetto all'attività svolta, del tutto esagerati con riferimento alla natura del procedimento ed all'attività effettivamente prestata, che alla voce esame e studio veniva quadruplicata per un importo complessivo di oltre e 1.000,00 D in violazione dell'art. 48 c. d. minacciava all'esponente azioni sproporzionate e vessatorie con la missiva 8.1.2011 di cui al precedente capo a E in violazione dell'art. 60 c.d. comunque poneva in essere comportamenti deontologicamente rilevanti nei confronti dell'esponente . 3 In provincia di Venezia dal 13.9.2011 All’esito del procedimento, nel quale sono stati acquisiti documenti ed escussi testimoni, il COA di Venezia, con decisione in data 20-10/24-11-14, ritenendo accertata le responsabilità del professionista in ordine ai punti B e C del capo di incolpazione a lui contestato, irrogava all’Avv. A. [ricorrente] la sanzione disciplinare della censura. Avverso detta decisione l’Avv. [ricorrente] ha proposto tempestivo ricorso, depositato, il giorno 30-12-14 presso la segreteria del COA di Venezia con il quale chiede che il Consiglio Nazionale Forense, in riforma della decisione adottata dal COA territoriale Voglia 1 prosciogliere il ricorrente in riferimento ai punti b e c del capo di incolpazione, per insussistenza di qualsivoglia responsabilità disciplinare a suo carico, o comunque compiere altra affermazione idonea a produrre l'effetto di prosciogliere l'odierno ricorrente Avv. [ricorrente] dai punti b e c dell'incolpazione ingiustamente formulata contro di lui dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Venezia 2 in via subordinata e per mero scrupolo difensivo, in sostituzione della sanzione irrogata in primo grado, rivolgere al professionista incolpato il semplice richiamo verbale, come previsto dall'attuale normativa professionale art. 22, comma 4, C.D. ora vigente , applicabile anche in quanto disciplina più favorevole, ovvero, in via ulteriormente gradata, ridurre la sanzione della censura a quella dello avvertimento art. 22, comma 3, C.D. ora vigente . L’Avv. [ricorrente] nel proprio ricorso sostanzialmente deduce e eccepisce I relativamente al punto b del capo di incolpazione, che il COA territoriale ha errato nel ritenere esservi un illecito disciplinare nelle frasi ed espressioni riportate nell’atto di citazione sia perché le stesse sono pienamente legittime in quanto espressione di un diritto di critica e di difesa, come evidenziato nella giurisprudenza della Suprema Corte Citata nelle proprie difese, sia perché il Giudice non ne ha disposto la cancellazione ai sensi degli Artt. 88 e 89 cpc ritenendole di fatto legittime sia infine perché le dette frasi sono state estrapolate dal contesto generale dell’atto di citazione II relativamente al punto c del capo di incolpazione, che il COA territoriale ha omesso di 4 valutare con la giusta considerazione la lettera a lui inviata dall’esponente con la quale lo esortava a studiare approfonditamente la sua pratica in previsione di una impugnativa del Decreto Penale e dalla quale consegue l’impegno da lui profuso nello studio della posizione del [esponente] tale da giustificare, ampiamente, la somma di 1.500,00 richiesta con la propria parcella per l’attività professionale espletata. Motivi della decisione Preliminarmente va evidenziato a che la funzione precipua del Codice Deontologico Forense, sin dal suo primo testo licenziato nel 1997, è sempre stato quello di stigmatizzare e sanzionare i comportamenti illeciti posti in essere dagli iscritti e ciò a prescindere dalla specifica individuazione di tutte le ipotizzabili azioni ed omissioni lesive del decoro e della dignità professionale, poiché anche in tema di illeciti disciplinari, stante la stretta affinità delle situazioni, deve valere il principio - più volte affermato in tema di norme penali incriminatrici a forma libera - per il quale la predeterminazione e la certezza della incolpazione sono validamente affidate a concetti diffusi e generalmente compresi dalla collettività in cui il giudice, nella specie, quello disciplinare, opera. Cass. SS. UU. n. 9097/05 b che con l’entrata in vigore del nuovo Codice Deontologico Forense a far tempo dal 15- 12-14, è previsto il c. d. principio della tipicizzazione delle condotte ovvero si è introdotto il principio, prima non esistente, che le norme deontologiche devono prevedere da un lato il tipo di condotta illecita e dallo altro la sanzione applicabile c che l’Art. 3, comma 3, della Legge n. 247/12 pur prevedendo una tipizzazione delle condotte sanzionabili, prevede espressamente che ciò avvenga per quanto possibile d che tale inciso, in uno al contenuto del comma 2 dello stesso Art. 3 della L. 247/12, non può che esser interpretato da un lato, come impossibilità di prevedere ed individuare specificamente ed analiticamente tutti i possibili illeciti disciplinari, e dall’altro che le contestazioni disciplinari di comportamenti oltremodo lesivi della funzione ed immagine dell’avvocatura così come ricompresi tra i doveri nella parte generale del nuovo CDF, e legittimamente formulate in periodo antecedente all’introduzione dell’obbligatorietà della 5 c.d. tipizzazione del capo di incolpazione, non possono venir meno per assenza di specifica contestazione riportata nel nuovo codice deontologico. e che, stante l’impossibilità di ricomprendere nel vigente CDF tutta la casistica degli illeciti disciplinari potenzialmente riscontrabili nei comportamenti scorretti posti in essere dall’avvocato, ovvero nel caso in cui prima dell’entrata in vigore del nuovo CDF sia stato legittimamente contestato un comportamento illecito che non è ricompreso nelle norme contenute nei titoli II, III, IV, V, VI, del vigente CDF, ma che viola i principi generali e non derogabili del I Titolo, vanno considerate cogenti, quanto meno nel periodo di applicazione della nuova normativa ai procedimenti disciplinari in essere alla data del 14-12-15, le norme e le sanzioni previste nel I^ Titolo del vigente CDF f che è potere del Consiglio Nazionale Forense, quale giudice di legittimità e di merito, in sede di appello, apportare alla decisione le integrazioni che ritiene necessarie, sopperendo così ad una motivazione inadeguata ed incompleta, anche riesaminando le circostanze che hanno condotto il COA a ritenere l’incolpato responsabile della violazione per la quale è stato sanzionato cfr CNF n. 162/14 e n. 116/14 g che il capo di incolpazione predisposto dal Consiglio dell’Ordine di Venezia, ed oggetto della impugnazione che ne occupa, ricomprende la violazione dei precetti contenuti negli Artt. 20 e 43, 2 comma, del Vecchio CDF h che, il detto capo di incolpazione, pertanto, va formalmente adeguato alla norme specifiche contenute nel nuovo Codice Deontologico Forense, entrato in vigore a far tempo 15-12-14, e relative alla condotta contestata avanti al Giudice di primo grado o similare a questa i che pertanto le contestazioni contenute nell’originario capo di incolpazione, saranno nel prosieguo, normativamente, così considerate I Art. 20 del Vecchio CDF Divieto di uso di espressioni sconvenienti ed offensive ora da intendersi quale violazione del precetto di cui all’ art. 52, del nuovo CDF II Art. 43, 2 comma, del Vecchio CDF Richiesta di pagamento ora da intendersi quale violazione del precetto di cui all’art. 29, 4 comma, del nuovo CDF. Con il primo motivo di ricorso, quello relativo alla violazione del precetto di cui all’Art. 52 del l’attuale CDF già art. 20 del vecchio Cdf capo di incolpazione sub b l’Avv. 6 [RICORRENTE] lamenta che il COA territoriale ha errato nel ritenere esservi un illecito disciplinare nelle frasi ed espressioni riportate nell’atto di citazione sia perché le stesse sono pienamente legittime in quanto espressione di un di ritto di critica e di difesa, come evidenziato nella giurisprudenza della Suprema Corte Citata nelle proprie difese, sia perché il Giudice non ne ha disposto la cancellazione ai sensi degli Artt. 88 e 89 cpc ritenendole di fatto legittime sia infine perché le dette frasi sono state estrapolate dal contesto generale dell’atto di citazione La doglianza non coglie nel segno. Il limite di compatibilità delle esternazioni verbali o verbalizzate e/o dedotte nell'atto difensivo dal difensore con le esigenze della dialettica processuale e dell'adempimento del mandato professionale, oltre il quale si prefigura la violazione dell'art. 20 del c.d., va individuato nella intangibilità della persona del contraddittore, nel senso che quando la disputa abbia un contenuto oggettivo e riguardi le questioni processuali dedotte e le opposte tesi dibattute, può anche ammettersi crudezza di linguaggio e asperità dei toni, ma quando la diatriba trascende sul piano personale e soggettivo l'esigenza di tutela del decoro e della dignità professionale forense impone di sanzionare i relativi comportamenti. CNF n. 159/12 . Benché l’avvocato possa e debba utilizzare fermezza e toni accesi nel sostenere la difesa della parte assistita o nel criticare e contrastare le decisioni impugnate, tale potere/dovere trova un limite nei doveri di probità e lealtà, i quali non gli consentono di trascendere in comportamenti non improntati a correttezza e prudenza, se non anche offensivi, che ledono la dignità della professione, giacché la libertà che viene riconosciuta alla difesa della parte non può mai tradursi in una licenza ad utilizzare forme espressive sconvenienti e offensive nella dialettica processuale, con le altre parti e il giudice, ma deve invece rispettare i vincoli imposti dai doveri di correttezza e decoro CNF n. 127/14 Dalle risultanze istruttorie emerge 1 che l’Avv. [ricorrente], agendo in proprio ex Art. 86 cpc, dopo aver premesso che aveva prestato attività professionale in suo favore, citava avanti al Giudice di Pace di Portogruaro il Sig. [esponente] per sentir accogliere le seguenti conclusioni 7 1.1 condannare il [esponente] al pagamento della parcella n. 25/11 emessa a suo carico 1.2 accertare la grave inadempienza dell’odierno convenuto, con tutte le conseguenze di legge, ivi compreso l’obbligo di corrispondere gli interessi 1.3 dichiarare il Sig. [esponente] tenuto a risarcire tutti i danni arrecati all’attore 2 che pertanto oggetto del giudizio era la richiesta di pagamento di una prestazione professionale e quindi ambito del contendere rectius del procedimento giudiziario era ricompreso nel solo accertamento dell’avvenuto, o meno, espletamento dell’attività professionale 3 che nella narrativa dell’atto di citazione l’attuale ricorrente riportava la seguente frase si ritiene inoltre doveroso mettere a conoscenza l’illustrissimo giudicante della personalità dell’odierno convenuto, il quale, già all’epoca dei fatti, era stato sanzionato con decreto penale di condanna dal tribunale Ordinario di Venezia, sezione GIP sottoposto a procedimento penale, per le ipotesi di reato di cui all’art. 187, comma 1, del Codice della Strada 4 che con ogni evidenza tale frase nulla ha a che fare con l’oggetto del contendere pagamento somma per prestazione professionale ed appare finalizzata esclusivamente a portare, un ingiustificato ed ingiusto, discredito personale alla controparte in quanto non rientra nel novero 4.1 del c.d. Diritto di Difesa atteso che trattasi di circostanza assolutamente estranea ed ininfluente ai fini del decidere cui era stato chiamato a decidere il Giudice 4.2 del c.d. Diritto di critica atteso che la frase incriminata non è un giudizio né un’opinione personale ma è l’affermazione di una circostanza che, come detto, nulla ha a che vedere con l’oggetto del giudizio. 5 che peraltro non può invocarsi l’esimente che il Giudice abbia implicitamente ritenuta legittima la frase in quanto non ne ha disposto la cancellazione ai sensi degli Artt. 88 e 89 cpc, considerato che la controversia si è definita in via transattiva ed il termine ultimo per il Giudicante di pronunziarsi in ordine alla richiesta ex Art. 88 e 89 cpc, è dato dall’emissione della sentenza 8 Con il primo secondo di ricorso, quello relativo alla violazione del precetto di cui all’art. 29 Art. dell’attuale CDF già art. 43 del vecchio Cdf capo di incolpazione sub c l’Avv. [ricorrente] lamenta che il COA territoriale ha omesso di valutare con la giusta considerazione la lettera a lui inviata dall’esponente con la quale veniva esortato a studiare approfonditamente la sua pratica in previsione di una impugnativa del Decreto Penale e dalla quale consegue l’impegno da lui profuso nello studio della posizione del [esponente] tale da giustificare, ampiamente, la somma di 1.500,00 richiesta con la propria parcella per l’attività professionale espletata. Tale motivo di impugnazione è infondato e va respinto. A tal proposito si rileva 6 che l’art. 37 della Legge n. 247/12 prevede espressamente che il CNF si pronunzi secondo le previsioni di cui agli artt. da 59 a 65 del Regio Decreto n. 37/34, applicando, se necessario le norme ed i principi del codice di procedura civile 7 che il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense, per quanto primo grado della giurisdizione disciplinare domestica, non può che essere qualificato come giudizio di secondo grado o di appello alla decisione emessa dall’Organo territoriale sia il vecchio COA che l’odierno CDD 8 che nel vigente ordinamento processuale civile e quindi nel procedimento disciplinare che a questo fa pieno riferimento per legge il giudizio d'appello non può più dirsi, come un tempo, un riesame pieno nel merito della decisione impugnata novum judicium , ma ha assunto le caratteristiche di una impugnazione a critica vincolata revisio prioris instantiae cfr Cass. n. 699/16 Cass. 3033/13 e Cass. SSUU n. 16/00 9 che pertanto compito del Giudice di appello non è più quello di riesaminare tout court la concreta situazione sostanziale oggetto del contendere ma è quello di esaminare la sentenza impugnata e verificare, esclusivamente in base alle contestazioni a questa effettate dall’appellante, se la stessa sia viziata di error in procedendo ovvero di error in judicando 10 che i confini dell’esame della controversia, ovvero l’ambito di indagine, cui è chiamato il Giudice di Appello, sono necessariamente delineati dall’appellante il quale, nel proprio 9 atto introduttivo, è tenuto ad enucleare ed evidenziare i motivi specifici dell’impugnazione infatti l’art. 342 cpc prevede espressamente che l’impugnazione debba contenere 10.1 le parti del provvedimento impugnato e di cui si chiede venga effettuata la modifica 10.2 le circostanze da cui deriverebbe la violazione di legge e la loro rilevanza ai fini della decisione impugnata 11 che per indirizzo costante ed uniforme della giurisprudenza di legittimità, pienamente condiviso dal presente collegio, i motivi dell’impugnazione possono intendersi specifici quando, a prescindere da formule sacramentali, dall’impugnazione proposta emergano in maniera chiara, in equivoca e congiunta 11.1 l’individuazione delle statuizioni concretamente impugnate 11.2 l’esposizione delle ragioni volte a confutare le argomentazioni, logico giuridiche, che sono poste a base della decisione impugnata da parte del Giudice di prime cure ovvero prospetti un nuovo aspetto della sentenza impugnata che sia idoneo ad invertire la conclusione decisoria adottata dal primo Giudice 12 che la carenza o l’insufficienza di tali requisiti motivi specifici, ndr rende l’impugnazione inidonea al raggiungimento del suo scopo ed integra di fatto una nullità dello stesso che ne determina l’inammissibilità Cass. SSUU n. 16/00 . Dall’esame delle risultanze processuali e dell’atto di gravame proposto dal ricorrente, emerge 13 che il secondo motivo violazione del precetto di cui all’art. 29 Art. dell’attuale CDF non ha i requisiti voluti dalle norme citate atteso che il ricorrente si è limitato a riproporre pedissequamente, sic et simpliciter, gli argomenti svolti in primo grado cfr Memorie difensive depositata il 15-07-13 ed il 20-10-14 e già sottoposti al vaglio critico del Giudice di prime cure e non ha assolutamente indicato 13.1 le parti della decisione che si intende impugnare se non il contenuto del dispositivo 13.2 quali siano le modifiche che vengono richieste alla ricostruzione del fatto compiuta dal giudice di primo Grado 13.3 quali siano le circostanze da cui deriva la violazione della legge e della loro rilevanza ai fini della decisione impugnata 13.4 le ragioni volte a confutare le argomentazioni, logico giuridiche, che sono poste a base della decisione impugnata da parte del Giudice di prime cure 10 13.5 un nuovo aspetto della sentenza impugnata che sia idoneo ad invertire la conclusione decisoria adottata dal primo Giudice 14 che leggendo il motivo di gravame, che altro non è che la riproposizione di quanto ampiamente dedotto in primo grado, non è dato capire, quali siano i profili di impugnazione non esaminati dal giudice di primo grado né tantomeno è dato sapere quali siano le considerazioni in correlazione e contrapposizione a quelle riportate dal primo giudice di prime cure nella sentenza oggi appellata 15 che il motivo deve comunque ritenersi infondato atteso che dall’esame dell’espletata istruttoria emerge 15.1 che il ricorrente è stato nominato difensore d’ufficio del Sig. [esponente] 15.2 che non ha mai incontrato il [esponente], né presso il studio né in altro luogo 15.3 che la sua attività professionale si è limitata, come peraltro indicato nella fattura emessa, solo nell’esame degli atti a lui notificati quale difensore di ufficio decreto penale, ndr 16 che in base alle tariffe forensi all’epoca vigenti Tabella C, Punto n. 2 Voce Esame e Studio l’attività svolta dal professionista, così come accertata nel procedimento tenutosi avanti al COA, poteva essere quantificata tra un minimo di 60,00 ad un massimo di 375,00 17 che con ogni evidenza la richiesta di 1.500,00 avanzata dal ricorrente è assolutamente sproporzionata rispetto all’attività professionale effettivamente svolta e quindi integra la violazione prevista dall’Art. 43 n. 2 del vecchio CDF ora ricompresa nell’Art. 29 n. 4 del nuovo CDF ed a lui contestata dal COA territoriale 18 che peraltro tale sproporzione appare ancor più evidente laddove si consideri che il ricorrente ha transatto la vertenza giudiziaria con il [esponente] accettando la somma di 200,00 a tacitazione di ogni sua pretesa cfr. Deposizione Avv. [ omissis] 19 che alla luce di quanto sopra, i rilievi mossi dal ricorrente alla decisione del COA di Venezia sono assolutamente privi di pregio atteso 19.1. che è documentato sia per tabulas che a mezzo testimoni l’illecito commesso dal ricorrente ed a lui contestato 11 19.2 che la situazione contestata non presenta alcuna particolarità rispetto ad altre fattispecie a queste simili 20. che non vi sono elementi nuovi tali da giustificare una ulteriore valutazione sulle argomentazioni difensive rispetto a quella, correttamente, effettuata dal COA Territoriale 21 che pertanto la sentenza emessa dal COA di Venezia non merita censura alcuna essendo, peraltro, conseguente alle risultanze probatorie acquisite in atti, valutate oculatamente, con chiarezza e coerenza di argomentazioni, sia sul piano logico e su quello giuridico deontologico. P.Q.M. visti gli Artt. 50 e 54 del R.D.L. 27-11-1933 n. 1578 e segg. ed il R.D. 22-01-1934 n. 37 Il Consiglio Nazionale Forense rigetta il ricorso presentato dall’Avv. [ricorrente] dispone che in caso di riproduzione della presente sentenza in qualsiasi forma per finalità di informazione su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.