L’avvocato che immotivatamente suddivida un credito promuovendo iniziative giudiziali plurime commette un illecito disciplinare

anche se l’azione è la notifica di atti di precetto. Commette un illecito deontologico il legale che, senza alcuna valida ragione di diritto o scelta processuale a tutela degli assistiti, decida - invece di agire con una sola azione promossa da più legittimati attivi - di suddividere dette pretese in tante azioni quante sono le parti creditrici.

L’art. 66 del codice deontologico forense afferma infatti che l’avvocato non deve aggravare con onerose o plurime iniziative giudiziali la situazione debitoria della controparte, quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni di tutela della parte assistita . La norma è stata richiamata dalla sentenza n. 27897/17, depositata il 23 novembre. Il fatto alla base della sentenza. La vicenda in commento principia quando un’azienda in crisi economica concludeva un accordo transattivo con i suoi dipendenti e l’avvocato che li rappresentava tutti. Tale accordo prevedeva che, a tacitazione dei crediti vantati dai 52 impiegati, essi percepissero una somma in denaro e procedessero al pignoramento presso terzi di un credito vantato dalla società verso una sua debitrice. Il legale dei dipendenti, tuttavia, asseritamente in esecuzione degli accordi, procedeva a proporre 52 procedure esecutive avverso il terzo, ossia una per ciascun dipendente, invece che riunire le parti e promuovere una unica azione esecutiva. Tale condotta veniva sanzionata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati competente e, in grado di appello, anche dal Consiglio Nazionale Forense, che ravvedeva nelle condotte del legale una violazione del citato art. 66 del codice deontologico forense il cui principio era, nel vecchio codice, trasposto nell’art. 49 e condannava il legale alla sospensione della professione per un periodo di 4 mesi. La vicenda approda alle Sezioni Unite, che confermano quanto deciso dal consiglio nazionale forense e condannano il legale. Vista la soccombenza l’avvocato colpito dal provvedimento deontologico agiva in sede di Cassazione, depositando un ricorso con il quale, sostanzialmente, contestava in toto la decisione del precedente organo giudiziale. Il legale, difatti, affermava come la sua scelta di frazionamento del credito e di agire con azioni plurime fosse coerente con quanto deciso dalla società debitrice. Egli contestava la sussistenza di una violazione del codice deontologico affermando che, al massimo, doveva trattarsi di una questione attinente alla sfera civile e in particolare al corretto adempimento o meno di un contratto sottoscritto tra i dipendenti e la società. La Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza n. 27897/17, depositata il 23 novembre, rigettava integralmente il ricorso promosso dall’avvocato. Con la sentenza in oggetto l’organo nomofilattico affermava come nel caso in analisi la condotta dell’avvocato non fosse stata né in applicazione del contratto di transazione sottoscritto dalle parti né, tanto meno, mossa dalla volontà di agire con una modalità più vantaggiosa per i suoi assistiti. A conferma di quanto affermato la Cassazione riportava come l’avvocato avesse domandato una parcella per ogni esecuzione intentata, con un totale di onorari decisamente superiore al corrispettivo dovuto in caso di un'unica azione per l’intero credito tale pluralità di iniziative, quindi, andava a detrimento degli assistiti o del debitore finale e a vantaggio, così afferma la Cassazione, dell’avvocato. La predetta circostanza, inoltre, può essere dedotta altresì dal fatto che la società terza pignorata abbia risposto di non essere debitrice della società e che quindi tutte le 52 procedure esecutive sarebbero rimaste senza esito alcuno per le parti procedenti. Alla luce di quanto affermato la Cassazione ribadiva che commette un illecito il legale che, senza alcuna ragione corrispondente al vantaggio delle parti assistite, frazioni il credito e agisca con plurime azioni esecutive verso un unico comune debitore. Il divieto, difatti, non è tassativo, ma la proposizione di azioni giudiziali plurime deve essere motivata dalla volontà dell’avvocato di tutelare al meglio le legittime pretese dei suoi assistiti e non costituire, quindi, un abuso di diritto. In conclusione, quindi, il ricorso veniva rigettato e veniva applicata anche la condanna al raddoppio del versamento del contributo unificato corrisposto ai sensi dell’art. 13 comma 1- quater del d.P.R. n. 115/2002. E’ interessante notare che la sentenza in oggetto estende la portata dell’art. 66 del codice deontologico, ricomprendendo nelle iniziative giudiziali” anche la notifica di atti di precetto. Tale estensione lascia comprendere la preminenza del principio in oggetto, che al di là del dato formale normativo è posto a tutela delle controparti e, in senso lato, anche della onorabilità della professione forense.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 aprile – 23 novembre 2017, numero 27897 Presidente Canzio – Relatore D’Ascola Fatti di causa 1 Il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Milano il 23 settembre 2013 infliggeva all’avvocato odierno ricorrente la sanzione della sospensione dalla professione per 4 mesi. Gli addebitava di aver trattenuto assegni bancari a lui fiduciariamente consegnati dalla società avversaria dei suoi clienti, a garanzia del puntuale adempimento di accordi con le controparti. Lo riconosceva inoltre colpevole di aver promosso un elevatissimo numero di procedure di pignoramento presso un terzo debitore della società. 1.1 Il Consiglio Nazionale Forense con sentenza depositata il 29 luglio 2016 ha confermato soltanto la condanna di cui al capo 2 dell’incolpazione, relativo alle 52 procedure esecutive presso terzi promosse, con aggravio di spese legali, con violazione dell’art. 66 cod. deont. nuova formulazione . Ha inflitto al ricorrente la sanzione della censura, assolvendolo dagli altri addebiti. Il professionista ha proposto ricorso per cassazione, articolato in sette motivi illustrati da memoria. Il COA è rimasto intimato. Ragioni della decisione 2 Stando al ricorso, il professionista ricorrente assisteva oltre 60 dipendenti della RINA srl, che avevano agito in via monitoria contro la società e successivamente avevano raggiunto con essa un accordo che prevedeva il pagamento iniziale di 150mila Euro e l’avvio di procedura esecutiva di pignoramento presso il terzo ABP srl, debitore della convenuta RINA. Veniva offerta garanzia personale della amministratrice di quest’ultima, sig.ra P. , con 65 assegni bancari intestati ai dipendenti, consegnati all’avvocato per darli ai propri assistiti in caso di mancato esito dell’esecuzione e dei pagamenti RINA. 3 Con il primo motivo parte ricorrente denuncia eccesso di potere e/o incompetenza. Il ricorrente sostiene che la questione per cui è causa non atteneva affatto alla sfera deontologica , ma al corretto adempimento di un contratto sottoscritto tra le parti, contratto che prevedeva, su richiesta e nell’interesse della parte che aveva presentato l’esposto disciplinare, l’avvio di procedure esecutive a carico del terzo. Nella lunga disamina degli eventi, il ricorrente evidenzia in particolare che i pignoramenti erano stati avviati gradualmente e notificati a Rina srl, la quale nulla aveva opposto in ordine al modo di procedere. Ne deduce che la fattispecie non avrebbe valenza disciplinare , ma rilievo meramente civilistico . La censura è manifestamente infondata. La sentenza impugnata ha replicato puntualmente - lo si legge in ricorso a pag. 15 - che sussiste il potere disciplinare ordinistico sulla condotta dell’avvocato ed ha poi scrutinato i comportamenti addebitati all’incolpato appellante. La doglianza quindi non coglie un profilo di abuso o di difetto di competenza nell’esercizio del potere di giudizio disciplinare, che spettava indubbiamente al Consiglio dell’ordine e al CNF, ma si risolve nella contestazione della configurabilità o meno, nella condotta del professionista, degli illeciti disciplinari contestatigli. 4 Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1372 c.c. Invocando l’articolo sopracitato, parte ricorrente insiste nel sostenere che i comportamenti censurati dipendevano dal contratto stipulato nel luglio con Rina. A questo proposito il ricorrente deduce che con un fax del 6.11.2009 i difensori della società avevano esonerato i dipendenti da qualsiasi responsabilità e/o possibile eccezione di inadempimento derivante dalla richiesta di sospendere i pignoramenti che essi stessi avevano inoltrato. Da ciò parte ricorrente desume che si sarebbe dovuto evincere che la modalità operativa era stata chiesta da Rina. La censura non coglie nel segno. La circostanza che la pluralità di iniziative contro il terzo fosse stata concordata e condotta d’accordo con la controparte dei propri assistiti non esclude infatti la valutazione negativa che gli organismi disciplinari hanno attribuito alla condotta del professionista sulla base dell’art. 49 del codice deontologico, successivamente riprodotto nell’art. 66 del nuovo Codice. 5 Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 103 e 493 cpc. Sostiene che ai sensi di tali norme più parti possono agire cumulativamente o esecutivamente nello stesso processo, ma non sono obbligate a farlo, a meno che non si abroghino le disposizioni che prevedono la mera facoltà di più creditori di agire in unico processo o con unico pignoramento. Anche questa censura, nella sua radicalità, non riesce a cogliere e quindi a infirmare il senso della motivazione della condanna disciplinare. La norma deontologica che è stata posta a base dell’incolpazione non si pone certo come abrogatrice delle norme processuali o delle facoltà delle parti né i Collegi disciplinari forensi l’hanno intesa in tal senso. La norma infatti sanziona, come ricordato nella pronuncia del COA pag. 5 , pienamente confermata dal CNF, la pluralità di onerose iniziative giudiziali volte ad aggravare la controparte, pluralità che è censurata quando ciò non corrisponda ad effettive ragioni della parta assistita . Contrariamente a quanto il motivo di ricorso prospetta, la sentenza disciplinare ha quindi avuto ben presente la necessità di una valutazione della irragionevolezza della specifica attività del professionista e non si è spinta a ritenere automaticamente lesivo del disposto deontologico il suo agire con più atti giudiziali. 6 Il quarto motivo denuncia violazione dell’art. 66 cod. disc. Esso assume che sussisteva un effettivo interesse dei clienti lavoratori ad agire esecutivamente, potendo per tal via ottenere una tutela piena dei crediti vantati. Anche questa censura è infondata. La norma infatti presuppone che le iniziative giudiziali plurime siano astrattamente legittime, come nel caso di specie dedotto nel motivo, ma ricollega il loro disvalore deontologico alla irragionevolezza della scelta di non unificarle, pur quando il medesimo professionista agisca per conto di più parti contro una parte sola per le medesime o connesse ragioni di credito. Il fatto che i lavoratori avessero concordato con controparte di dar corso a più procedure esecutive non impediva comunque di valutare se la concreta modalità prescelta, volta a introdurre ben 52 procedure, fosse stata ragionevole e deontologicamente corretta. 7 Il quinto motivo denuncia violazione dell’art. 111 Cost. in relazione alla mancanza di motivazione in relazione alla ritenuta responsabilità disciplinare . Il ricorso riporta i passi della sentenza del CNF che contengono la valutazione negativa della condotta del professionista e deduce che si tratta di asserzioni tautologiche e meramente autoreferenziali . Lamenta che non si sia dato conto delle comunicazioni intercorse con i difensori di Rina srl, dalle quali sarebbe emerso che le azioni esecutive erano state proposte nell’interesse e senza alcuna contestazione di tale società. Si duole del fatto che nel fascicolo disciplinare non sarebbero stati presenti documenti, tra i quali i 52 atti di pignoramento che ciononostante il fatto posto a base dell’iniziativa sia stato ritenuto provato. Il sesto motivo denuncia violazione dello stesso articolo 111 Cost., dell’art. 112 c.p.c. e degli artt. 6 § 3 CEDU e 48 della Carta UE. Parte ricorrente sostiene che nel fascicolo disciplinare aveva riscontrato la mancanza di proprie deduzioni, di documenti allegati all’esposto, e di altra documentazione che avrebbero imposto un rinvio per esame, rinvio che era stato negato, in violazione dei diritti di difesa. Lamenta inoltre che non sarebbero stati ammessi i testi addotti a propria difesa, in violazione del principio di parità delle armi. 8 Le doglianze sono infondate. Sono esaminabili congiuntamente perché pongono questioni strettamente intrecciate relative a profili che rilevano come vizi di motivazione della sentenza e conseguenti ipotizzate violazioni di legge. Va in primo luogo negato che sussista un difetto assoluto di motivazione tale da rilevare nei termini denunciabili secondo l’insegnamento di Cass SU numero 8053/14. Ivi si è detto che è censurabile in sede di legittimità l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante l’art. 111 invocato non a caso da parte ricorrente , in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Si è aggiunto che tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. Nel caso di specie non è configurabile alcuno di questi sintomi dell’assenza di motivazione, atteso che la sentenza del CNF ha preso in esame la pronuncia del COA ed ha ritenuto che la condanna relativa al secondo capo di incolpazione fosse giustificata dall’avere il professionista promosso nei confronti della srl A.B.P., debitrice della Rina srl, numero 52 procedure esecutive presso terzi anziché un’unica procedura, con aggravio di spese legali per la Rina. Ha inoltre ritenuto correttamente motivata la sentenza milanese fondata sulle risultanze istruttorie . Ha giudicato inutilmente vessatorie le iniziative giudiziarie dell’incolpato. La sentenza impugnata ha quindi rinviato, quanto alla ricostruzione dei fatti, alla sentenza di primo grado, recependola totalmente, come è possibile in sede di appello cfr significativamente Cass. Sezioni Unite numero 642/2014 ed ha poi formulato una propria valutazione, la cui autonomia e puntualità è desumibile anche dal fatto che quanto al primo capo di incolpazione il CNF ha prosciolto l’avvocato milanese, proprio perché ha ritenuto carente la motivazione della pronuncia impugnata. Quest’ultima, cui occorre fare riferimento per stabilire se complessivamente il dovere costituzionale di motivazione sia stato assolto o se la valutazione del CNF sia stata solo apparente e declamatoria, conteneva una sintetica ma inequivocabile illustrazione della decisione. Vi si legge infatti che l’elevato numero di procedure instaurate nei confronti dell’unico terzo debitore ABP era stato promosso in assenza di effettive ragioni di tutela per le parti in considerazione anche del fatto che il terzo aveva fatto sapere di non essere debitore di Rina srl . Questa ultima argomentazione, rimasta priva di smentita, aveva ed ha portata decisiva, perché idonea a giustificare, con apprezzamento di merito non censurabile in sede di legittimità, l’abusività della moltiplicazione delle procedure anche alla luce di quanto insegnano le Sezioni Unite in ordine all’indebito frazionamento del credito SU 4090/2017 23726/07 . 8.1 Quanto alle risultanze istruttorie e alla mancata ammissione delle testimonianze censure che rilevano come vizio di motivazione, cfr Cass. numero 66/2015 e 13730/04, tra le tante , nella stessa decisione si trova la risposta alle doglianze, pur circostanziate e suggestive, circa quanto avrebbero potuto riferire i testimoni rappresentanti sindacali ed altri avvocati a conoscenza della pratica in ordine al fatto che le iniziative erano state concordate con la stessa Rina srl. Il COA di Milano ebbe infatti a negare ogni rilevanza, ipotizzando che fossero vere, alle affermazioni del professionista secondo cui erano state le parti a decidere di frazionare le iniziative giudiziali, quale precisa strategia scelta dalla Rina . Ed il COA ha anche spiegato, subito dopo, che della scelta onerosa per le parti l’avvocato si era giovato sotto il profilo del compenso, non conosciuto quando era stata sottoscritta tra lavoratori e datore di lavoro la scrittura privata, alla quale il ricorso ha fatto più volte cenno. Dunque vi è stata in prima fase una piena valutazione dei fatti e delle circostanze principali addotti da parte ricorrente a propria discolpa e la valutazione data è stata recepita e confermata con propri accenti dalla sentenza del CNF. Ciò precluderebbe alla Corte di legittimità, quand’anche essa avesse perplessità o rilevasse qualche insufficienza argomentativa, di ingerirsi nell’apprezzamento del giudice di merito, come vuole la riforma dell’art. 360 numero 5 c.p.c 8.2 Da queste considerazioni scaturisce anche l’infondatezza delle doglianze relative alle violazioni delle normative di rango costituzionale indicate in ricorso, non avendo avuto rilevanza decisiva alcuna delle omissioni o dei dinieghi lamentati. È infatti stato ribadito che la documentazione considerata rilevante era solo quella data dagli uffici in copia al ricorrente, la cui difesa non è stata quindi vulnerata così come non può esserlo stata per un rifiuto di un rinvio funzionale soltanto a svolgere difese che in sede di discussione e poi di appello hanno trovato ampio sfogo, fermo che i fatti rilevanti e decisivi erano quelli considerati pacifici. Tra questi, l’avvio delle 52 procedure contro unico debitore ABP , che invano il ricorso asserisce non documentate si tratta e si trattava di circostanza pacifica, data per presupposta in tutta l’impalcatura difensiva, relativa all’avvio asseritamente concordato con Rina di questa strategia processuale. 9 Il settimo motivo torna a denunciare la mancanza di specificità degli addebiti disciplinari, lamentando che il CNF avrebbe soltanto risposto che non era necessario indicare nei capi di incolpazione tutte le norme deontologiche violate. Il rilievo è privo di fondamento. In primo luogo perché la sentenza ha disatteso la doglianza rilevando anche che l’asserito difetto di specificità non aveva in alcun modo leso le difese dell’incolpato, il quale aveva potuto approntarle sulla base dei capi dí incolpazione . In secondo luogo perché lo stesso ricorso riporta pag. 2 il capo di incolpazione che, come si è visto anche sulla base delle difese articolate in ricorso cfr supra § 8 , era di inequivoca semplicità e concretezza. 9.1 Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso, senza tuttavia la pronuncia sulla refusione delle spese di lite, in mancanza di attività difensiva dell’intimato Consiglio. Va dato atto della sussistenza delle condizioni per il raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, rigetta il ricorso. Dà atto della sussistenza delle condizioni di cui all’art. 13 comma 1 quater del d.p.r. 30 maggio 2002, numero 115, introdotto dal comma 17 dell’art. 1 della legge numero 228/12, per il versamento di ulteriore importo a titolo di contributo unificato.