Il termine iniziale per il decorso della prescrizione dell’azione disciplinare: le differenti ipotesi

Agli effetti della prescrizione dell'azione disciplinare occorre distinguere il caso in cui il procedimento disciplinare trae origine da fatti punibili solo in tale sede, dal diverso caso in cui lo stesso abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale.

L’avvocato come naturale destinatario di maggiori obblighi di carattere etico e comportamentale. Un avvocato veniva condannato in primo grado dal Tribunale competente alla pena della reclusione di 3 anni e 3 mesi, essendo stato, quale assessore ai lavori pubblici della provincia, ritenuto responsabile di turbativa d'asta e rivelazione di segreti d'ufficio, induzione in falso ideologico e falso in atto pubblico in relazione ad una gara per l'affidamento del servizio di rimozione dei cartelloni pubblicitari abusivi e gestione della pubblicità stradale nonché del reato di abuso di ufficio in relazione all'assunzione di un soggetto da parte del comune. A fronte di ciò, il consiglio distrettuale di disciplina, in considerazione dell'intervenuta condanna tra l'altro riportata anche in un articolo di giornale deliberava la sospensione cautelare dell'avvocato dall'esercizio della professione per sei mesi, rilevando che lo stesso aveva commesso reati oggettivamente gravi e soggettivamente connessi alla qualità pubblica oltre che di iscritto all'ordine forense. Infatti, in quanto tale secondo il consiglio distrettuale di disciplina il legale era evidentemente destinatario di ancor maggiori obblighi di carattere etico e comportamentale. Il legale, però, proponeva ricorso al Consiglio Nazionale Forense riferendo di aver appellato la sentenza penale del tribunale e sostenendo il venir meno dei presupposti per l'adozione della misura in quanto, per i medesimi fatti, erano stati imputati anche altri 5 soggetti, alcuni dei quali – però erano stati assolti, dopo essere stati condannati in primo grado ed anche in appello, dalla Corte di Cassazione perché il fatto non sussisteva. Tuttavia, il Consiglio Nazionale Forense respingeva con sentenza il ricorso. Motivava tale decisione esponendo che la sospensione cautelare non costituisce sanzione disciplinare ed il legislatore del nuovo ordinamento professionale -che ne ha tipizzato i presupposti applicativi esclude l'esistenza di un potere discrezionale di applicazione da parte degli organi competenti al di fuori dei casi espressamente previsti. Tra questi casi rilevava il consiglio rientra la condanna anche con sentenza in primo grado, non essendo necessaria una sentenza definitiva, a pena detentiva non inferiore a 3 anni. L'avvocato ricorreva, così, per la cassazione della sentenza del Consiglio Nazionale Forense. La qualità di ‘parte processuale’ del consiglio distrettuale di disciplina e del CNF. Preliminarmente gli Ermellini dichiarano la inammissibilità del ricorso proposto contro i due Enti suindicati. Rammentano – infatti come il consiglio distrettuale di disciplina ed il Consiglio Nazionale Forense non assumano la qualità di parte nel giudizio. Con riferimento al primo Ente, la Suprema Corte rammenta che, trattandosi di soggetto che riveste una funzione amministrativa di natura giustiziale è caratterizzata da elementi di terzietà nonché priva di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti dell'ordine. Sicché, da un lato, il consiglio distrettuale di disciplina non può essere in lite con questi ultimi pena la perdita della sua imparzialità e dall'altro non è neppure portatore di alcun interesse ad agire oppure a resistere in giudizio. Del pari, il Consiglio Nazionale Forense, che è un giudice speciale, non può essere evocato dinanzi alle Sezioni Unite sui ricorsi avverso le proprie sentenze. La sospensione cautelare ex art. 60 della L. n. 247/2012 ed il termine iniziale della prescrizione quinquennale dell’azione disciplinare. Inoltre continuando l'analisi dei motivi del ricorso presentato dal legale la Cassazione chiarisce che la sospensione cautelare in esame non è una sanzione disciplinare e la sua applicazione, nei casi previsti, prescinde dalla formale apertura del procedimento disciplinare. Infatti, ai sensi del citato art. 60, la durata della disposta misura cautelare risente, peraltro, del confronto con l'accertamento della responsabilità disciplinare, posto che la sospensione che non può essere irrogata per un periodo superiore ad un anno perde di efficacia qualora nel termine di sei mesi dalla sua applicazione il consiglio distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio oppure deliberi ‘non esservi luogo a provvedimento disciplinare’ o, ancora, disponga la irrogazione dell'avvertimento o della censura. Inoltre, gli Ermellini contestano la eccezione relativa alla avvenuta prescrizione sollevata dall'avvocato. Infatti, rammenta la Suprema Corte che la premessa da cui muove il ricorrente è errata avendo fatto decorrere il termine quinquennale ex art. 51 del regio decreto-legge n. 1578/1933 dalla commissione dei fatti penalmente rilevanti, con la conseguenza che risalendo essa ad un periodo anteriore al momento della delibera di apertura del procedimento disciplinare, la prescrizione sarebbe maturata. La censura, però, non tiene conto del rilievo che nel caso di specie il procedimento penale a carico dell'avvocato riguarda fatti costituenti reato per i quali è stata esercitata l'azione penale. Ora, agli effetti della prescrizione dell'azione disciplinare occorre distinguere il caso in cui il procedimento disciplinare trae origine da fatti punibili solo in tale sede, perché violano esclusivamente i doveri di correttezza proibita e dirittura professionale, dal diverso caso in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l'azione penale. Nello specifico, nell'ipotesi in cui il procedimento disciplinare dipana da ipotesi generiche e fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto. Ma nella diversa ipotesi in cui l'azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste oppure perché l'imputato non lo ha commesso, avendo come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, la detta azione ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto. Tanto si verifica con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato e tale momento coincide con il passato in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta. Dunque, quando il procedimento disciplinare a carico dell'avvocato riguarda un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata l'azione penale la prescrizione dell'azione disciplinare decorre solo dal passato in giudicato della sentenza penale, anche se il giudizio disciplinare non sia stato nel frattempo sospeso, ciò potendo incidere sulla validità dei suoi atti ma non sul termine iniziale della prescrizione.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civile, sentenza 24 ottobre – 3 novembre 2017, n. 26148 Presidente Canzio – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - L’Avv. F.F. , iscritto presso il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Lecce, veniva condannato in primo grado dal Tribunale di Lecce, con sentenza in data 21 maggio 2016, alla pena della reclusione di tre anni e tre mesi, essendo stato, quale assessore ai lavori pubblici della Provincia di Lecce, ritenuto responsabile di turbativa d’asta e rivelazione di segreti d’ufficio, induzione in falso ideologico e falso in atto pubblico in relazione ad una gara per l’affidamento del servizio di rimozione dei cartelloni pubblicitari abusivi e gestione della pubblicità stradale, nonché del reato di abuso d’ufficio in relazione all’assunzione di un soggetto da parte del Comune di Parabita. Il Consiglio distrettuale di disciplina, in considerazione dell’intervenuta condanna, riportata in un articolo di giornale, deliberava in data 7 giugno 2016 la sospensione cautelare dell’Avv. F. dall’esercizio della professione per mesi sei, rilevando che lo stesso aveva commesso reati oggettivamente gravi e soggettivamente connessi alla qualità pubblica assessore provinciale oltre che di iscritto all’ordine forense, ed in quanto tale destinatario di ancor maggiori obblighi di carattere etico e comportamentale . 2. - L’Avv. F. proponeva ricorso al Consiglio nazionale forense, riferendo di avere appellato la sentenza penale del Tribunale di Lecce e sostenendo il venir meno dei presupposti per l’adozione della misura ciò in quanto per i medesimi fatti erano stati imputati anche altri cinque soggetti che avevano optato per il giudizio abbreviato a differenza di quanto egli aveva fatto , alcuni dei quali, dopo essere stati condannati in primo grado ed in appello, erano stati assolti dalla Corte di cassazione con sentenza 1 giugno 2016 - 1 agosto 2016, n. 33698 perché il fatto non sussiste così L. , M. , P. , V. , mentre la condanna di un quinto coimputato Z. era stata cassata con rinvio alla Corte di Lecce per una nuova valutazione, essendo stati riconosciuti un travisamento della prova ed un vizio di motivazione. 3. - Il CNF, con sentenza depositata il 25 marzo 2017, ha respinto il ricorso. Secondo il Consiglio nazionale forense, la sospensione cautelare non costituisce sanzione disciplinare e il legislatore del nuovo ordinamento professionale art. 60 della legge n. 247 del 2012 ne ha tipizzato i presupposti applicativi, escludendo l’esistenza di un potere discrezionale di applicazione da parte degli organi competenti al di fuori dei casi espressamente previsti. Tra questi casi rientra la condanna anche con sentenza di primo grado, non essendo necessaria una sentenza definitiva - a pena detentiva non inferiore a tre anni. Il CNF ha escluso che l’applicazione della misura cautelare debba conseguire con automatismo al verificarsi del presupposto richiesto sentenza di condanna , e ciò non essendo venuto meno l’ulteriore requisito lo strepitus fori che la precedente configurazione dell’istituto art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 imponeva come necessariamente concorrente con l’astratta gravità dei fatti. Lo dimostra - ha affermato il CNF - il verbo può , che compare nell’art. 60 della legge n. 247 del 2012. Ne deriva che l’organo disciplinare ha il potere-dovere di valutare nel concreto la sussistenza di quella dimensione oggettiva di rilevante esteriorizzazione che costituisce presupposto necessariamente concorrente ai fini dell’adozione della misura cautelare. Tale aspetto - ha proseguito la sentenza impugnata - deve essere valutato esclusivamente dal Consiglio distrettuale di disciplina che, in quanto composto dai membri provenienti dalla medesima categoria professionale dell’incolpato, è in grado di valutare la concretezza, la rilevanza e l’attualità della lesione laddove il sindacato del CNF può riguardare il solo scrutinio di legittimità formale del provvedimento dell’ente territoriale, rimanendo precluso ogni giudizio in ordine all’opportunità ed ai presupposti fattuali della comminata sospensione. Le considerazioni in punto di fatto del Consiglio distrettuale - osserva il CNF - adempiono all’obbligo motivazionale sul punto, essendosi valorizzato il fatto che la carica di assessore ricoperta dall’avvocato incidesse negativamente, essendo l’interessato notoriamente insignito di incarichi pubblici che non facevano venir meno la visibilità e la riferibilità alla professione forense . 4. - Per la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale forense l’Avv. F. ha proposto ricorso, con atto notificato il 24, il 25 e il 26 maggio 2017, sulla base di cinque motivi. Nessuno degli intimati ha svolto attività difensiva in questa sede. In prossimità dell’udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. - In via preliminare, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso proposto nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense. Infatti, nel giudizio di legittimità avverso le decisioni disciplinari del Consiglio nazionale forense, come regolato dalla legge n. 247 del 2012, non assume la qualità di parte il Consiglio distrettuale di disciplina, trattandosi di soggetto che riveste una funzione amministrativa di natura giustiziale, caratterizzata da elementi di terzietà, ma priva di potere autonomo di sorveglianza sugli iscritti all’Ordine, sicché, da un lato, non può essere in lite con questi ultimi, pena la perdita della sua imparzialità, e dall’altro, non è portatore di alcun interesse ad agire o a resistere in giudizio parimenti, il Consiglio nazionale forense, che è un giudice speciale, non può essere evocato dinanzi alle Sezioni Unite sui ricorsi avverso le sue sentenze Cass., Sez. U., 10 luglio 2017, n. 16993 Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984 . 2. - Con il primo motivo violazione dell’art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 ci si duole che la sentenza impugnata non abbia statuito in merito all’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare formulata dall’Avv. F. in sede di ricorso al CNF. Si osserva che i fatti contestati in sede penale all’Avv. F. che hanno dato luogo anche all’apertura del procedimento disciplinare risalgono agli anni 2008-2009, fino al 12 marzo 2009, laddove la delibera di apertura del procedimento disciplinare è stata adottata il 26 marzo 2014 e notificata in data 13 maggio 2014. 2.1. - Il motivo è infondato. Occorre premettere che la sospensione cautelare ai sensi dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012 non è una sanzione disciplinare e la sua applicazione nei casi previsti e cioè quando vi sia l’applicazione di misure cautelari detentive o interdittive non impugnate o confermate in sede di riesame o di appello la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione di cui all’art. 35 cod. pen., anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena l’applicazione di misure di sicurezza detentive la condanna in primo grado per particolari reati la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni prescinde dalla formale apertura del procedimento disciplinare Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984, cit. . Ai sensi della citata disposizione, la durata della disposta misura cautelare risente peraltro del confronto con l’accertamento della responsabilità disciplinare, posto che la sospensione - che non può essere irrogata per un periodo superiore a un anno - perde efficacia qualora, nel termine di sei mesi dalla sua applicazione, il Consiglio distrettuale di disciplina non deliberi il provvedimento sanzionatorio, ovvero deliberi non esservi luogo a provvedimento disciplinare, ovvero disponga l’irrogazione dell’avvertimento o della censura. D’altra parte, è errata la premessa da cui muove il ricorrente, il quale fa decorrere il termine quinquennale previsto dall’art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 dalla commissione dei fatti penalmente rilevanti, con la conseguenza che, risalendo essi ad un periodo di tempo anteriore al 12 marzo 2009, al momento della delibera di apertura del procedimento disciplinare, adottata soltanto in data 26 marzo 2014 e notificata il successivo 13 maggio, la prescrizione sarebbe maturata. La censura non tiene conto, infatti, del rilievo che nella specie il procedimento disciplinare a carico dell’Avv. F. riguarda fatti costituenti reato per i quali è stata esercitata azione penale. Ora, agli effetti della prescrizione dell’azione disciplinare di cui all’art. 51 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, occorre distinguere il caso, previsto dall’art. 38, in cui il procedimento disciplinare tragga origine da fatti punibili solo in tale sede, in quanto violino esclusivamente i doveri di probità, correttezza e dirittura professionale, dal caso, previsto dall’art. 44, in cui il procedimento disciplinare abbia luogo per fatti costituenti anche reato e per i quali sia stata iniziata l’azione penale. Nel primo caso, in cui l’azione disciplinare è collegata ad ipotesi generiche ed a fatti anche atipici, il termine prescrizionale comincia a decorrere dalla commissione del fatto nel secondo, invece, l’azione disciplinare è collegata al fatto storico di una pronuncia penale che non sia di proscioglimento perché il fatto non sussiste o perché l’imputato non lo ha commesso, ha come oggetto lo stesso fatto per il quale è stata formulata una imputazione, ha natura obbligatoria e non può essere iniziata prima che se ne sia verificato il presupposto, con la conseguenza che la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta Cass., Sez. U., 9 maggio 2011, n. 10071 . In altri termini, qualora il procedimento disciplinare a carico dell’avvocato riguardi un fatto costituente reato per il quale sia stata esercitata l’azione penale, la prescrizione dell’azione disciplinare decorre soltanto dal passaggio in giudicato della sentenza penale, anche se il giudizio disciplinare non sia stato nel frattempo sospeso, ciò potendo incidere sulla validità dei suoi atti, ma non sul termine iniziale della prescrizione Cass., Sez. U., 31 maggio 2016, n. 11367 . 3. - Con il secondo mezzo violazione degli artt. 11, primo comma, delle preleggi, e 65 della legge n. 247 del 2012, nonché erronea applicazione dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012 anziché della norma di cui all’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 il ricorrente censura che la sentenza impugnata abbia applicato retroattivamente all’incolpato la disposizione meno favorevole di cui all’art. 60 della legge n. 247 del 2012, che ha inserito l’ipotesi della sospensione nel caso di sopravvenuta condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni norma entrata in vigore in epoca successiva all’apertura del procedimento disciplinare, avvenuta il 26 marzo 2014 al posto della precedente disposizione di cui all’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, che ancorava la misura al presupposto dello strepitus fori, da valutare al momento dell’adozione del provvedimento cautelare. 3.1. - La censura è infondata. La nuova legge professionale è entrata in vigore, con riguardo alla sospensione cautelare, il 1 gennaio 2015, allorquando è divenuto vigente il regolamento del CNF 21 febbraio 2014, n. 2, secondo la previsione contenuta nell’art. 39 di esso Cass., Sez. U., 26 settembre 2017, n. 22358 . E poiché nella specie la sospensione cautelare è stata disposta dal Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce in data 7 giugno 2016, correttamente è stata fatta applicazione dell’art. 60 della nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense, di cui alla legge n. 247 del 2012. Non è pertanto condivisibile l’assunto dal quale muove la censura, secondo cui si sarebbe avuta una applicazione retroattiva della nuova disciplina ad un’ipotesi invece regolata dall’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933. 4. - Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 38 e 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933, difetto di presupposto per l’adozione della misura cautelare, mancanza di collegamento del presunto illecito con l’attività professionale e mancanza dello strepitus fori omesso esame circa un fatto decisivo. Avrebbe errato la decisione impugnata a non considerare che la lesione all’immagine dell’Avvocatura leccese e il clamore mediatico connesso, di fatto, non esistevano più al momento della deliberazione della misura sospensiva ciò in quanto la Corte di cassazione ha annullato senza rinvio o con rinvio la sentenza di condanna a carico dei coimputati dell’Avv. F. giudicati separatamente avendo optato per la definizione con il rito abbreviato e la stampa locale ha commentato la notizia prefigurando un esito favorevole anche per l’impugnazione proposta dall’Avv. F. . 4.1. - La doglianza è priva di fondamento. Il CNF ha confermato la delibera del Consiglio distrettuale di disciplina, mettendo in rilievo che la sospensione cautelare è stata applicata - con deliberazione del 7 giugno 2016 a fronte di una sentenza di condanna alla pena della reclusione per tre anni e tre mesi pronunciata dal Tribunale di Lecce il 21 maggio 2016 - al ricorrere di un’ipotesi espressamente prevista dal legislatore la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni e in presenza dell’ulteriore presupposto dello strepitus fori, quale effetto concreto ed attuale della condanna penale del professionista, motivato dal Consiglio distrettuale di disciplina in considerazione dell’oggettiva gravità dei reati commessi nell’esercizio della carica pubblica di assessore provinciale, ma con ricadute sull’immagine di avvocato iscritto all’ordine professionale e sull’intero ceto forense. Il motivo di ricorso, ancorché formalmente prospetti la violazione e la falsa applicazione di norme di legge, in realtà sollecita un rinnovato scrutinio di merito in ordine ai presupposti di fatto della disposta sospensione cautelare, pretendendo, anche in questa sede, di far derivare automaticamente da sentenze penali rese nei confronti degli altri coimputati ora un giudizio prognostico a sé favorevole in ordine alla sorte del giudizio di appello pendente contro la sentenza di condanna, ora un ridimensionamento dell’effetto mediatico negativo dell’immagine del ricorrente. D’altra parte, correttamente il CNF, nell’escludere la attuale rilevanza delle vicende riguardanti i coimputati, ha evidenziato che l’esito dell’appello proposto dall’Avv. F. in sede penale - ove favorevole all’interessato - sarebbe da apprezzare come circostanza sopravvenuta suscettibile di determinare, non l’illegittimità ab origine della sospensione cautelare, ma la revoca della misura o la modifica della sua durata posto che, ai sensi dell’art. 60, comma 5, della legge n. 247 del 2012, la sospensione cautelare può essere revocata o modificata nella sua durata, d’ufficio o su istanza di parte, qualora, anche per circostanze sopravvenute, non appaia adeguata ai fatti commessi. A ciò deve aggiungersi che l’ipotizzata attenuazione - già al momento dell’adozione dell’impugnata delibera - del clamore mediatico in relazione alla specifica posizione dell’Avv. F. per effetto dell’annullamento, in cassazione, della sentenza di condanna emessa nei confronti degli altri coimputati , è prospettata dal ricorrente genericamente, senza l’osservanza della prescrizione dell’art. 366, n. 6, cod. proc. civ. Infatti, nel motivo di ricorso si richiama l’ampia copertura mediatica data alla sentenza di assoluzione , ma non si indicano, con la necessaria puntualità richiesta dalla citata disposizione del codice di rito, quali sarebbero gli elementi di fatto, assuntivamente trascurati dal Consiglio nazionale forense, relativi alle ricadute favorevoli prefigurate dai media locali con riguardo alla posizione dell’Avv. F. . Il ricorrente asserisce che il dispositivo della sentenza della Corte di cassazione era già stato ampiamente commentato nei media locali, ed era stato anche preventivato un esito necessariamente favorevole anche per l’Avv. F. , ma non indica specificamente le risultanze processuali dalle quali emergerebbe, agli effetti dell’attenuazione dello strepitus fori, siffatta prognosi, né, tanto meno, riporta il relativo contenuto. 5. - Il quarto motivo violazione dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012 violazione del principio ne bis in idem censura che il CNF abbia ritenuto che una condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, anche quando non ancora definitiva, legittimi l’applicazione della sospensione cautelare. In ogni caso, l’applicazione della misura sarebbe illegittima, non essendo ammissibile la ripetizione di una nuova misura cautelare dopo che quella precedentemente disposta il 26 giugno 2010 era stata revocata il 21 luglio 2010 a seguito della revoca il 19 luglio 2010 della misura cautelare disposta dal GIP. 5.1. - Il motivo è infondato. Sotto il primo profilo, l’interpretazione sistematica e la ratio dell’art. 60, comma 1, della legge n. 247 del 2012 inducono a ritenere che la condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni che giustifica l’applicazione della sospensione cautelare è la condanna in primo grado, non essendo richiesta l’irrevocabilità della sentenza. Per un verso, infatti, il citato art. 60, comma 1, indica, tra i casi nei quali la misura può essere deliberata dal consiglio distrettuale di disciplina competente per il procedimento, la condanna in primo grado per i reati previsti negli articoli 372, 374, 377, 378, 381, 640 e 646 del codice penale, se commessi nell’ambito dell’esercizio della professione, 244, 648-bis e 648-ter del medesimo codice e l’irrogazione, con la sentenza penale di primo grado , della pena accessoria di cui all’articolo 35 del codice penale, anche se è stata disposta la sospensione condizionale della pena . Da tale disposizione si ricava quindi che il legislatore mostra di considerare la pronuncia di una sentenza di condanna in primo grado in tutti i casi condizione necessaria e sufficiente per l’applicazione della misura per taluni reati a prescindere dall’entità della pena, e per tutti gli altri solo quando è stata irrogata la pena accessoria della sospensione dall’esercizio della professione art. 35 cod. pen. , anche se vi sia la sospensione condizionale della pena, ovvero in presenza di una condanna non inferiore a tre anni. La mancanza, nella ipotesi che qui viene in considerazione della condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni, della espressa specificazione in primo grado o di primo grado , non esprime, dunque, un significato nel senso della necessità del passaggio in giudicato della pronuncia. Questa interpretazione è l’unica coerente con la ratio della norma, che è quella di prevedere l’applicazione di una misura cautelare con un provvedimento amministrativo non giurisdizionale a carattere provvisorio ed urgente in ipotesi tipiche di accertata rilevante gravità. Ove dovesse essere applicata solo in esito ad un accertamento definitivo e irretrattabile della responsabilità penale, la sospensione cautelare sarebbe priva di qualsiasi effetto concreto, divenendo un’inutile duplicazione della sanzione disciplinare, e non assolverebbe alla funzione di tutela dell’immagine della categoria professionale degli avvocati proprio nel momento dello strepitus fori, e quindi all’atto del verificarsi della lesione. Quanto poi al censurato ricorso ripetuto alla misura cautelare, non è fondata l’invocazione del principio del ne bis in idem. Infatti, la pronuncia di sentenza di condanna a pena detentiva non inferiore a tre anni all’esito del vaglio dibattimentale garantito dal pieno contraddittorio delle parti integra non solo ipotesi tipica che giustifica, ai sensi dell’art. 60 della legge n. 247 del 2012, l’applicazione della misura, ma costituisce di per se stessa fatto nuovo, idoneo a giustificare la nuova emissione del provvedimento cautelare, una volta che la precedente sospensione cautelare, disposta ai sensi dell’art. 43 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 a seguito dell’adozione di un provvedimento restrittivo della libertà personale dell’Avv. F. nella forma degli arresti domiciliari, era stata revocata, dopo qualche settimana, in conseguenza della revoca della misura cautelare. Né nella specie - sia detto per completezza - si pone, per effetto della consecuzione delle misure, un problema di superamento della durata massima della sospensione cautelare, introdotta dalla nuova legge professionale. La nuova misura è stata infatti deliberata per la durata di sei mesi, i quali, cumulati con i ventisei giorni del precedente periodo di sospensione dal 26 giugno 2010 al 21 luglio 2010 , rientrano ampiamente nel tetto massimo di un anno, previsto dall’art. 60, comma 2, della legge n. 247 del 2012. 6. - Con il quinto mezzo violazione dell’art. 653, comma 1-bis, cod. proc. pen., come introdotto dalla legge n. 97 del 2001, in combinato disposto con l’art. 295 cod. proc. civ. applicazione irretroattiva dell’art. 54 della legge n. 247 del 2012 illegittima riapertura del procedimento disciplinare su fatti identici a quelli oggetto di accertamento penale mancata pronuncia sull’inammissibilità/improcedibilità della riapertura del procedimento disciplinare a carico del ricorrente il ricorrente rileva che sarebbe inammissibile o improcedibile la riapertura del procedimento disciplinare a carico del ricorrente, in quanto il Consiglio distrettuale di disciplina, vertendo il procedimento disciplinare sugli stessi fatti posti a carico del procedimento penale, avrebbe dovuto sospendere il procedimento disciplinare, in attesa del passaggio in giudicato della sentenza resa in ambito penale. 6.1. - La censura è inammissibile. Va ribadito che la sospensione cautelare non è né un provvedimento giurisdizionale, né una forma di sanzione disciplinare, come tale suscettibile di applicazione soltanto dopo il procedimento disciplinare, ma costituisce, al contrario, un provvedimento cautelare di natura amministrativa non giurisdizionale a carattere provvisorio, che non richiede la preventiva formale apertura di un procedimento disciplinare Cass., Sez. U., 31 luglio 2017, n. 18984, cit. . Le disposizioni la cui violazione è denunciata non sono pertinenti rispetto al thema decidendum. Esse, infatti, riguardano l’efficacia della sentenza penale nel giudizio disciplinare, il rapporto del procedimento disciplinare con il processo penale, la sospensione necessaria del processo per pregiudizialità-dipendenza, laddove la vicenda all’esame delle Sezioni Unite concerne esclusivamente il diverso tema della legittimità o meno dell’adozione della misura della sospensione cautelare, tema, quest’ultimo destinato a non essere influenzato da questioni relative alla ammissibilità della riapertura del procedimento disciplinare o alla necessità della sua sospensione fino al passaggio in giudicato della sentenza penale. 7. - Il ricorso, inammissibile nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense, è rigettato nei confronti degli altri intimati. Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, non avendo nessuno degli intimati svolto attività difensiva in questa sede. 8. - Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile e rigettato, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti del Consiglio distrettuale di disciplina di Lecce e del Consiglio nazionale forense e lo rigetta nei confronti degli altri contraddittori dichiara - ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012 - la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.