L’avvocato negligente a volte sfugge alla richiesta di risarcimento del cliente

Il cliente che richieda al proprio avvocato il ristoro dei danni subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non può limitarsi a dedurre l’astratta possibilità di riforma della decisione in seconde cure.

Lo ha precisato la Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 25807/17, depositata il 31 ottobre. La vicenda. I figli di un uomo deceduto a seguito di un sinistro stradale con un’auto rimasta sconosciuta, convenivano in giudizio la compagnia assicuratrice assegnataria del Fondo di Garanzia Vittime della Strada per ottenere il risarcimento dei danni. L’avvocato a cui si erano affidati però, dopo la notifica dell’atto, si era reso inadempiente rispetto a varie attività di assistenza legale. In particolare, non aveva presenziato a numerose udienze, aveva rinunciato ad escutere un teste addotto dagli attori e non aveva svolto attività difensiva, omettendo anche di presentare scritti difensivi nel termine concessogli dal giudice che era dunque giunto alla decisione di rigettare la domanda. La sentenza era inoltre passata in giudicato non avendo l’avvocato informato gli assistiti della possibilità di proporre appello. Sulla base di tali premesse, i clienti chiedevano al Tribunale la condanna dell’avvocato ex art. 2236 c.c. e comunque ex art. 2043 c.c. per i danni subiti. Sia il giudice di prime cure che la Corte d’Appello rigettavano la domanda risarcitoria, ritenendo non sussistente il nesso di causalità tra la condotta del difensore ed i danni lamentati per l’avvenuta definitività della sentenza. Diligenza professionale. La vicenda giunge ora dinanzi ai Giudici della Suprema Corte che ricordano, in primo luogo, come l’attività del difensore se bene svolta può essere preziosa al fine di limitare o escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente . La giurisprudenza si è già espressa sulla questione, affermando costantemente che il cliente che richieda al proprio avvocato il ristoro dei danni subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado deve andare oltre all’astratta possibilità di riforma della decisione in seconde cure, dimostrando l’erroneità della prima pronuncia oppure producendo nuovi documenti o ulteriori mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame sarebbe stato accolto. Nel caso di specie, il difensore convenuto aveva dedotto di aver informato i clienti di tale possibilità ma ha omesso di fornire prova della ricezione di tali comunicazioni e dunque sulla base dei dati forniti sembrerebbero sussistere buona probabilità di integrale riforma della sentenza appellata mentre sarebbe privo della dovuta diligenza il comportamento del professionista . Trattandosi però di accertamenti di merito, di cui è inammissibile il riesame in sede di legittimità, la Corte dichiara il ricorso inammissibile.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 30 marzo – 31 ottobre 2017, n. 25807 Presidente Vivaldi – Relatore Moscarini Fatti di causa I sigg.ri G.G. e G.R. con atto di citazione del 2004 rappresentarono che, in data omissis , il loro genitore G.B. era deceduto per arresto cardiaco all’ospedale omissis dove era stato trasportato a seguito di un incidente stradale con un’auto rimasta sconosciuta che gli stessi eredi avevano convenuto in giudizio l’Assicurazioni Generali S.p.A. in qualità di assegnataria del Fondo di Garanzia per le vittime della strada affidandosi al patrocinio dell’avv. D.L.F. che questi, dopo la notifica dell’atto, si era reso inadempiente a molte attività di assistenza legale, non presenziando alle udienze del 29/05/1997, del 20/11/1997, del 29/05/1998, del 10/12/1998, del 22/06/2000 e del 13/07/2000 che lo stesso aveva rinunciato ad escutere un teste addotto dagli attori e che non aveva svolto attività difensiva a seguito dell’escussione dei testi indicati dalla propria parte che non aveva presentato alcuno scritto difensivo nel termine concesso dal giudice e che, a causa della sua negligente assistenza, il giudice aveva audito i testi M.C. senior e junior la cui deposizione, all’udienza del 22/06/2000, aveva determinato il rigetto della domanda che lo stesso Giudice si era formato il convincimento della bontà delle tesi della compagnia di Assicurazioni si dà portare il Tribunale di Napoli con sentenza del 2001 al rigetto della domanda e alla condanna degli attori alle spese del giudizio che il comportamento negligente del professionista aveva cagionato notevoli danni e che lo stesso professionista non li aveva nemmeno informati della possibilità di proporre appello avverso la sentenza di primo grado, nel frattempo passata in giudicato. Sulla base di tutte queste premesse, gli istanti avevano convenuto l’avv. D.L.F. dinanzi al Tribunale di Napoli al fine di sentir dichiarare il medesimo responsabile ex art. 2236 c.c. e comunque ex art. 2043 c.c. dei danni loro cagionati e di condannarlo al pagamento di una somma di denaro da quantificarsi in corso di causa o comunque rimessa alla libera valutazione del giudice adito e pari, quanto meno, a quanto sarebbe stato loro liquidato in caso di accoglimento della domanda, oltre al pagamento delle spese processuali. L’avv. D.L. si costituì in giudizio rappresentando la propria diligenza nello svolgimento dell’incarico professionale e sostenendo che il rigetto della domanda era dipeso dall’insufficienza della deposizione dei testi rappresentò altresì di aver rinunciato all’escussione di un terzo teste in quanto lo stesso non era al corrente della dinamica del sinistro rappresentò altresì di aver informato tempestivamente i propri clienti di quanto disposto dal Tribunale di Napoli chiese lo spostamento dell’udienza di prima comparizione per la chiamata in causa della Reale Mutua Assicurazioni, compagnia assicuratrice della responsabilità professionale. Questa si costituì in giudizio rappresentando la mancata prova del nesso di causalità tra l’omessa attività difensiva e l’asserito pregiudizio in termini di probabilità concluse per il rigetto della domanda e in via subordinata per il contenimento della stessa entro il massimale di Euro 258.228,45. Il Tribunale rigettò la domanda e i sigg.ri G. presentarono tempestivo appello con particolare riguardo al capo di sentenza che aveva escluso il nesso di causalità tra la negligenza del legale e i danni cagionati ad essi appellanti. Chiesero pertanto la condanna dell’avv. D.L. a rifondere, a ciascuno di loro, l’importo di Euro 65.391,65 oltre alle spese processuali. Anche il Giudice di appello ha escluso la prova del nesso eziologico tra la condotta del convenuto e l’evento sfavorevole della lite e rigettato l’appello. Avverso detta sentenza i sigg.ri G. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo. Resiste l’avv. D.L.F. con controricorso. Ragioni della decisione Con l’unico motivo denunciano la violazione o falsa applicazione dell’art. 1176, 2 co. degli artt. 2236 e 2043 c.c., degli artt. 115 e 116 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c. omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c Il motivo di ricorso, pur rappresentato quale vizio di violazione di legge, incide direttamente sulla motivazione ed in particolare sul punto in cui il Giudice di appello ha escluso la negligenza del professionista nell’espletamento dell’incarico e la probabilità e/o la certezza morale di successo nella controversia. Nel caso in esame la diligenza richiesta è quella professionale media esigibile, ai sensi dell’art. 1076, II co. c.c. in relazione alla natura dell’attività esercitata, sicché il professionista non può andare esente da un giudizio di condanna se non provi che l’insuccesso sia dipeso da cause a lui non imputabili, anche quando debba risolvere problemi tecnici di particolare difficoltà. La Corte d’appello si sarebbe basata sulla testimonianza di C.F. che avrebbe smentito l’assunto degli appellanti. Ad avviso del ricorrente il Giudice di merito avrebbe dovuto individuare la negligenza dell’avv. D.L. ed il nesso di causalità tra la stessa e l’esito sfavorevole della lite mancherebbe la prova di una valida difesa del legale e si avrebbe, invece, certezza della tardività delle sue eccezioni nell’ambito della sola comparsa conclusionale. L’avv. D.L. avrebbe dovuto sottolineare che la conseguenza della tardiva conoscenza di alcuni testimoni sarebbe dovuta ricadere esclusivamente sul comportamento colpevole e negligente del Fondo. L’avvocato avrebbe potuto estrarre copie utili dal fascicolo penale sì da far ritenere acquisita la certezza morale che, se quelle deduzioni fossero state tempestivamente portate a conoscenza del Giudice, lo stesso avrebbe rigettato l’istanza di rimessione in termini e la richiesta escussione dei testi M. . Risulta, invece, che durante il corso della causa e fino al termine ex art. 184 c.p.c., il Fondo di Garanzia non fu in grado di procurarsi la documentazione inoltre è di palese evidenza che la mancata presenza del legale all’udienza in cui furono escussi i testi M. senior e junior, fu di gravissimo nocumento per i propri assistiti sì dal far ritenere matura la certezza morale che una diversa attività del professionista avrebbe prodotto effetti vantaggiosi per il cliente, in termini di probabilità degli effetti stessi e di idoneità della condotta a produrli. Del resto, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l’attività del difensore se bene svolta può essere preziosa al fine di limitare o escludere il pregiudizio insito nella posizione del cliente Cass., III, 02/07/2010 n. 15717 Cass., III, 12/04/2001 n. 8312 . Anche l’attività istruttoria svolta nel giudizio risultava ispirata alla più assoluta fretta sia in ordine alla querela di falso che gli odierni ricorrenti avrebbero potuto dedurre sia in ordine alla rinuncia all’escussione del teste S.G. . Non risulta che le parti abbiano autorizzato il legale a rinunziare all’audizione di un teste. Infine la Corte di merito avrebbe illegittimamente omesso di valutare il rapporto tra la negligenza del professionista ed il danno cagionato in ordine alla mancata tempestiva informazione della possibilità di proporre gravame avverso la sentenza di rigetto. Alla luce della giurisprudenza di questa Corte, il cliente che chieda al proprio difensore il ristoro dei danni subiti a seguito della mancata impugnazione della sentenza di primo grado non può limitarsi a dedurre l’astratta possibilità della riforma in appello in senso a sé favorevole ma deve dimostrare l’erroneità della pronuncia oppure produrre nuovi documenti o altri mezzi di prova idonei a fornire la ragionevole certezza che il gravame, se proposto, sarebbe stato accolto. Il legale ha rappresentato di aver contattato i clienti senza fornire prova della ricezione delle raccomandate. Sulla base dei dati forniti sembrerebbe sussistere buone probabilità di integrale riforma della sentenza appellata mentre sarebbe privo della dovuta diligenza il comportamento del professionista che notizi i propri clienti dell’esito infausto della lite e della possibilità di proporre gravame solo pochi giorni prima dello spirare del relativo termine. Il ricorso è inammissibile in quanto chiede a questa Corte un riesame del merito, inaccessibile in questa sede. Conclusivamente il ricorso è rigettato, con le conseguenze in ordine alle spese e al raddoppio del contributo unificato. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile, condanna i ricorrenti alle spese del giudizio di cassazione in favore del resistente, liquidate in Euro 3.800 di cui Euro 200 per esborsi , oltre accessori e spese generali al 15%. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del co. 1-bis dello stesso art. 13.