Un avvocato del libero foro non può difendere un Ateneo, salvo apposita e motivata delibera

Ai sensi dell’art. 43 r.d. n. 1611/1933, la facoltà per le Università statali di derogare, in casi speciali al patrocinio autorizzato spettante ex lege all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente da sottoporre agli organi di vigilanza per un controllo di legittimità.

La mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal Regolamento o dallo Statuto dell’Università le quali sono fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. È quanto affermato dalla SS.UU. della Corte di Cassazione con sentenza n. 24876 depositata il 20 ottobre 2017. Il caso. Il Tribunale territorialmente competente, in accoglimento del ricorso proposta da alcuni lettori in lingua straniera presso un’Università degli studi italiana, previa dichiarazione di nullità dei precedenti contratti di collaborazione, riconosceva il diritto di costoro a percepire il trattamento retributivo e previdenziale del contratto full time dalla data di prima assunzione con condanna dell’Ateneo ad effettuare la ricostruzione di carriera lavorativa dei ricorrenti, nonché al pagamento di tutti gli emolumenti spettanti in virtù del riconosciuto rapporto di lavoro. Accoglieva, altresì, la domanda di risarcimento del danno proposta dai ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio per la violazione di norme di diritto comunitario. Successivamente, intervenuto gravame da parte dell’Ateneo in questione e della Presidenza del Consiglio, la Corte di Appello adita respingeva la domanda di risarcimento danni per violazione di norme del diritto comunitario, condannando conseguentemente gli appellati alla restituzione di quanto percepito a tale titolo oltre agli interessi legali. Avverso la predetta sentenza proponevano distinti ricorsi per cassazione sia l’Ateneo con riguardo al capo della sentenza di primo grado – confermata in grado di appello che aveva disposto la condanna in proprio danno al pagamento degli emolumenti spettanti in virtù del rapporto di lavoro subordinato riconosciuto sub iudice , gli appellati con riguardo al capo della sentenza di appello con la quale il Collegio di merito aveva riformato la sentenza di primo grado disponendo la condanna degli stessi alla restituzione di quanto percepito a titolo di risarcimento danni per violazione di norme dl diritto comunitario. Gli Ermellini hanno ritenuto inammissibile il ricorso principale proposto dall’Università degli Studi in questione per difetto di ius postulandi dei suoi difensori nel giudizio in oggetto, avvocati del libero foro. In particolare, l’art. 43 r.d. n. 1611/1933 e succ. mod. prevede che l’Avvocatura dello Stato in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle Amministrazioni dello Stato, può essere autorizzata al c.d. patrocinio autorizzato ossia, ad assumere la rappresentanza e difesa anche di Amministrazioni pubbliche non statali e di enti pubblici sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato come nel caso degli Atenei. Condizione necessaria per l’esercizio di detto patrocinio è l’esistenza di un provvedimento di autorizzazione che può essere costituito da una norma di legge, regolamento, etc. quando sia intervenuto detto provvedimento, la rappresentanza e la difesa in giudizio sono assunte dall’Avvocatura in via organica ed esclusiva” con la conseguenza che si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio, fatta salva l’ipotesi di un conflitto con lo Stato o con le Regioni. Le Università sono Enti pubblici. Ora, all’esito della riforma introdotta dalle legge n. 168/1989 le Università degli Studi sono oramai Enti pubblici autonomi, non rivestendo più la qualità di organi dello Stato, con la conseguenza che da un lato non opererebbe più nei loro confronti il patrocinio obbligatorio ma, dall’altro lato, in virtù di una norma di legge, ossia la norma di cui si parlava prima l’art. 56 r.d. n. 1592/1933 rimasto in vigore anche dopo la riforma si applica il c.d. patrocinio autorizzato disciplinato dall’art. 43 r.d. n. 1611/1933 cit. con i conseguenti limitati effetti propri di tale forma di rappresentanza consistenti nell’esclusione della necessità del mandato e, salvi i casi di conflitto, nella possibilità di avvalersi di avvocati del libero foro e non dell’Avvocatura dello Stato solo in casi eccezionali previa l’apposita e motivata delibera dell’organo di vigilanza Consigli di Amministrazione . Concludendo. Alla luce di quanto innanzi i giudici concludono affermando che nella specie il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto non ricorrono i requisiti richiesti dalla legge che validano la decisione da parte dell’Università di avvalersi di avvocati del libero foro per la difesa in giudizio. Detta decisione per essere efficace presuppone, in linea generale a che si sia in presenza di un caso speciale” b che intervenga una preventiva, apposita e motivata delibera dell’Ateneo del Rettore c che tale delibera sia sottoposta agli organi di vigilanza ossia al Consiglio di Amministrazione d che sia prodotta in giudizio idonea documentazione in merito alla sussistenza dei due suddetti elementi.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 4 luglio – 20 ottobre 2017, numero 24876 Presidente Amoroso – Relatore Tria Esposizione del fatto 1. Il Tribunale di Venezia, in parziale accoglimento del ricorso proposto da K.E. e dagli altri litisconsorti indicati in epigrafe tutti lettori di lingua straniera presso l’Università degli Studi Cà Foscari di Venezia - con sentenza parziale numero 1184/2005 a accertava il diritto dei ricorrenti a percepire il trattamento retributivo e previdenziale del ricercatore confermato a tempo pieno dalla data della prima assunzione b dichiarava la nullità dei contratti stipulati ai sensi della legge numero 236 del 1995 c condannava l’Università ad effettuare la ricostruzione della carriera lavorativa dei ricorrenti, al pagamento a titolo di differenze retributive e sul TFR delle somme da quantificare nel prosieguo del giudizio con successiva sentenza, al versamento dei contributi previdenziali sulle differenze retributive come quantificate d accoglieva, inoltre, la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per la violazione del diritto comunitario. 2. All’esito dell’espletamento di consulenza tecnica d’ufficio, il Tribunale, con la sentenza definitiva numero 415 del 2007, provvedeva a quantificare le somme dovute ai ricorrenti per le causali sopra indicate, condannando, rispettivamente 1 l’Università a corrispondere quanto determinato a titolo di ricostruzione della carriera vedi sopra lettere a e c oltre alla maggior somma fra interessi legali e rivalutazione monetaria 2 la Presidenza del Consiglio dei Ministri al pagamento di quanto liquidato a titolo di risarcimento dei danni conseguenti alle violazioni del diritto UE, di cui alla sentenza della Corte di Giustizia in data 26 giugno 2001, con le corrispondenti differenze contributive coperte da prescrizione ex art. 3 della legge numero 335 del 1995. 3. Con la sentenza numero 866 del 2010 pubblicata il 24 marzo 2011 , attualmente impugnata, la Corte d’appello di Venezia, in parziale accoglimento dell’appello principale avverso le sentenze parziale e definitiva di primo grado unitamente proposto dall’Università Cà Foscari e dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri a respinge la domanda proposta dagli originari ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il risarcimento dei danni derivati dalla violazione del diritto comunitario da parte dello Stato italiano, condannando gli appellati a restituire quanto percepito a tale titolo, oltre agli interessi legali b rigetta anche l’appello incidentale, con il quale i lettori avevano riproposto le domande non accolte in primo grado volte ad ottenere il mantenimento della qualifica di lettori universitari sino al termine del rapporto, la stabilizzazione dei compiti didattici di insegnamento linguistico e, comunque, delle mansioni espletate prima della conclusione dei contratti di collaborazione linguistica il risarcimento del danno derivato dal demansionamento c conferma, per il resto, le sentenze di primo grado. 4. La Corte territoriale, per quel che qui interessa, precisa che a gli appellati hanno ottenuto dal Pretore di Venezia, con sentenza emessa l’1 dicembre 1993 divenuta cosa giudicata, la trasformazione del contratto di lettorato, stipulato ai sensi del dell’art. 28 del d.P.R. 11 luglio 1980, numero 382, in rapporto a tempo indeterminato b a seguito della entrata in vigore della legge numero 236 del 1995 l’Università ha assunto gli originari ricorrenti in qualità di collaboratori esperti linguistici, riconoscendo loro l’anzianità di servizio correlata al periodo di tempo intercorso a partire dalla stipulazione del primo contratto quali lettori di lingua straniera, secondo le disposizioni della contrattazione collettiva c è infondata l’eccezione di giudicato sollevata dall’Università quanto alle differenze retributive, non perché, come ritenuto dal Tribunale, nel precedente giudizio l’adeguamento era stato domandato solo in relazione alla retribuzione del professore associato a tempo definito e non a quella del ricercatore confermato a tempo pieno, ma perché la capacità espansiva del giudicato si arresta nei casi in cui lo stesso sia incompatibile con il diritto comunitario d i contratti stipulati ai sensi della legge numero 236 del 1995 risultavano privi di causa in quanto stipulati in un momento 1995 in cui era già in atto fra le parti un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per effetto sia di quanto statuito dalla Corte di Giustizia con le sentenze 30 maggio 1989, causa 33/88 e 2 agosto 1993, cause riunite C-259/91, C-331/91 e C-332/91, sia di quanto affermato nella suddetta sentenza del Pretore di Venezia passata in giudicato e è quindi da escludere che, per effetto della stipula dei contratti del 1995, si sia verificata una novazione dei rapporti lavorativi f peraltro, è incontroverso che gli appellati anche dopo i suddetti contratti continuarono a svolgere le medesime mansioni e comunque è jus receptum che la novazione oggettiva presuppone la chiara e univoca volontà delle parti di estinguere l’originaria obbligazione sostituendola con una nuova - la quale deve essere diversa quanto all’oggetto della prestazione o al titolo del rapporto - e che la parte che ne deduce la ricorrenza debba ritualmente allegare e provare gli elementi costitutivi della fattispecie animus novandi e l’aliquid novi , mentre ciò, nella specie, non è avvenuto g quanto alle differenze retributive, per effetto della riconosciuta continuità dei rapporti di lavoro, non si può non tenere conto della sopravvenuta legge numero 63 del 2004, assumendo quindi a parametro il trattamento economico corrispondente a quello del ricercatore confermato a tempo pieno per un impegno lavorativo pari a 500 ore annue o definito con effetto dalla data della prima assunzione, fatti salvi eventuali trattamenti più favorevoli h tale ultima legge è stata emanata per dare esecuzione della sentenza della Corte di Giustizia 26 giugno 2001, causa numero 212/99 e, quindi, deve essere applicata nel presente giudizio, in quanto essendo conseguente ad una pronuncia della Corte di Giustizia, dotata di efficacia erga omnes - è riferibile a tutti gli appartenenti alla stessa categoria, anche se non dipendenti dalle specifiche Università - Università della Basilicata, di Milano, di Palermo, di Pisa, di Roma La Sapienza e Istituto Universitario Orientale di Napoli - prese in considerazione dalla procedura di infrazione, esaminata dalla citata sentenza della Corte di Giustizia i è tardiva la contestazione fatta nel presente giudizio dagli appellanti in merito alla mancanza di prova circa la prestazione di lavoro a tempo pieno - pari a 500 ore annue - visto che gli appellati hanno dedotto nel ricorso introduttivo di avere prestato attività lavorativa rispettando mediamente l’orario annuo di 500 ore e gli Enti appellanti, nel costituirsi in giudizio, hanno ammesso che tutti i ricorrenti avevano osservato un simile orario l pertanto, in applicazione della legge numero 63 del 2004, agli appellati deve essere riconosciuta la retribuzione dovuta al ricercatore a tempo pieno m va respinta la censura concernente la prescrizione delle differenze retributive, in quanto le pretese azionate hanno la loro fonte nella legge 5 marzo 2004, numero 63, con la quale lo Stato italiano ha ovviato al suo perdurante inadempimento, riconoscendo ab initio un trattamento economico idoneo ad eliminare ogni discriminazione in danno dei lettori di lingua straniera n quindi tali somme potevano essere fatte valere soltanto dopo l’entrata in vigore di tale legge come è accaduto nella specie, visto che il ricorso introduttivo del giudizio è stato depositato il 14 marzo 2004 , mentre prima non poteva certamente decorrere alcun termine di prescrizione o l’ultimo motivo dell’appello principale deve essere, invece, accolto, in quanto, essendo incontestato l’avvenuto riconoscimento della progressione economica per anzianità di servizio come dai contratti di ateneo, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la domanda risarcitoria proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri per il ritardo nell’adempimento degli obblighi comunitari è da considerare infondata anche perché la ricorrenza nella specie di detto obbligo non appare sufficientemente dettagliata dagli interessati, i quali comunque nulla hanno dedotto e provato in merito al c.d. danno previdenziale, né tali carenze probatorie state sanate dalla disposta CTU contabile, che si è limitata a quantificare gli importi dei contributi previdenziali prescritti p vanno respinti i motivi dell’appello incidentale con i quali gli interessati chiedono di mantenere la qualifica di lettori e di ottenere il risarcimento del danno asseritamente derivato dalla assunzione della diversa qualifica di collaboratori linguistici e dal dedotto demansionamento q infatti, non è stato dimostrato il danno derivante in concreto dal cambio di qualifica e comunque nella specie non si applica l’art. 2103 cod. civ 5. Avverso la suddetta sentenza hanno proposto distinti ricorsi l’Università Cà Foscari di Venezia, sulla base di sei motivi RGN 23099/2011 , nonché K.E. e gli altri litisconsorti indicati in epigrafe RGN 23444/2011 , i quali hanno formulato tre motivi di censura avverso i soli capi della sentenza relativi al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che è rimasta intimata. I lettori e l’INPS, in proprio e quale mandatario della SCCI s.p.a., hanno notificato controricorso nel procedimento di cui al ricorso numero 23099/2011. 6. In prossimità dell’originaria udienza dinanzi alla Sezione Lavoro sia l’Università Cà Foscari, sia K.E. e gli altri ex lettori hanno anche depositato memorie ex art. 378 cod. proc. civ., ad illustrazione dei rispettivi ricorsi. 6 Nella propria memoria gli ex lettori, con riguardo al ricorso numero 23099/2011 a hanno, in primo luogo, eccepito il difetto di jus postulandi dei difensori del libero foro dell’Università e la conseguente nullità della relativa procura speciale, mancando la previa apposita e motivata delibera del Consiglio di amministrazione prescritta perché le Università possano non avvalersi dell’Avvocatura dello Stato per la loro rappresentanza e difesa in giudizio b quindi, sulla base del sopravvenuto orientamento di questa Corte di cui alla sentenza 7 febbraio 2013, numero 2941 e alle successive sentenze conformi, hanno rettificato le conclusioni del proprio controricorso in ordine all’estinzione del giudizio chiedendo l’applicazione del suindicato indirizzo, pur mantenendo comunque ferme le originarie argomentazioni nel caso in cui il Collegio non ritenesse di conformarsi alla suddetta giurisprudenza. 7. All’udienza di discussione del 23 novembre 2016 dinanzi alla Sezione Lavoro di questa Corte si sono costituiti La.Ma.Gr. e L.Y. , eredi di L.I. , deceduto il 10 luglio 2015. 8. La Sezione Lavoro con ordinanza interlocutoria numero 79 del 4 gennaio 2017 ha ritenuto opportuno rimettere la causa al Primo Presidente per l’assegnazione a queste Sezioni Unite, in considerazione dei contrasti di giurisprudenza riscontrati con riguardo a 1 le modalità applicative dell’estinzione dei giudizi in corso 2 la qualificazione del rapporto 3 gli effetti dello jus superveniens e delle sentenze della Corte di Giustizia sul giudicato, aggiungendo che le questioni, nelle parti connotate di novità, possono essere qualificate di massima di particolare importanza , a norma dell’art. 374, secondo comma, cod. proc. civ., in quanto sono alla base di un vasto contenzioso ancora pendente che costituisce lo sviluppo delle precedenti numerose iniziative giudiziarie assunte dagli ex lettori. 9. Il ricorso è stato perciò assegnato alle Sezioni Unite e discusso all’odierna udienza. 10. In prossimità di tale udienza le parti hanno depositato altre memorie ex art. 378 cod. proc. civ 10.1. L’Università Cà Foscari, dopo aver ribadito le proprie precedenti argomentazioni, con riguardo alla sopravvenuta ordinanza interlocutoria numero 79 del 2017 cit. osserva, in sintesi, che a l’unica interpretazione dell’art. 26, comma 3, ultimo periodo, conforme alla ratio dell’art. 26 stesso è quella indicata da Cass. 7 febbraio 2013, numero 2941, riguardante una fattispecie analoga alla presente b deve essere data continuità all’interpretazione consolidata secondo cui, in coerenza con il d.lgs. numero 165 del 2001 e con la specifica normativa sugli ex lettori di lingua straniera, ai relativi rapporti non è applicabile la disciplina in materia di rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato c l’autorità della cosa giudicata non può essere scalfita da interventi normativi sopravvenuti, sicché la nuova disciplina può operare soltanto per i periodi non coperti dall’accertamento definitivo. 10.2. K.E. e gli altri ex lettori nella memoria oltre a richiamare tutte le loro precedenti argomentazioni - ivi compresa quella di difetto dello jus postulandi in capo ai difensori del libero foro dell’Università - evidenziano che nel disegno di legge Europea 2017, approvato, in sede di esame preliminare, dal Consiglio dei Ministri il 31 maggio 2017 e attualmente all’attenzione del Parlamento è inserito un importante articolo art. 8 diretto a chiudere il caso EU Pilot 2079/11/EMPL, risolvendo la questione dei lettori di lingua straniera assunti presso le Università statali prima dell’entrata in vigore del decreto legge numero 120 del 1995. Tale intervento legislativo ancorché non approvato in via definitiva - dimostra che lo stesso Stato italiano riconosce che il proprio inadempimento rispetto al diritto UE in materia perdura ancora. In via subordinata i lettori propongono a istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE dell’art. 26, comma 3, della legge numero 240 del 2010, se interpretato come risulta dalla citata ordinanza numero 79 del 2017 della Sezione Lavoro b eccezione di illegittimità costituzionale dell’art. 26, comma 3, della legge numero 240 del 2010, se interpretato come risulta dalla citata ordinanza numero 79 del 2017 della Sezione Lavoro, in riferimento agli artt. 3, 24, 36, 111 e 117 Cost. 11. In considerazione della sopravvenuta approvazione da parte della Camera dei deputati della legge Europea 2017, il cui art. 11 ha un contenuto analogo all’originario art. 8 vedi sopra 10.2 , è stata disposta la riconvocazione del Collegio nella medesima composizione originaria per il giorno 12 settembre 2017. Rragioni della decisione I - Profili preliminari. 1. Va ricordato il consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte secondo cui il principio dell’unicità del processo di impugnazione contro una stessa sentenza comporta che, una volta avvenuta la notificazione della prima impugnazione, tutte le altre debbono essere proposte in via incidentale nello stesso processo e perciò, nel caso di ricorso per cassazione, con l’atto contenente il controricorso, fermo restando che tale modalità non è essenziale, per cui ogni ricorso successivo al primo si converte, indipendentemente dalla forma assunta e ancorché proposto con atto a sé stante, in ricorso incidentale Cass. 17 febbraio 2004, numero 3004 Cass. 13 dicembre 2011, numero 26723 Cass. 4 dicembre 2014, numero 25662 . Nella specie deve, pertanto, essere considerato principale il ricorso dell’Università Cà Foscari di Venezia ed incidentale quello di K.E. e degli altri litisconsorti indicati in epigrafe perché il ricorso dell’Università, benché notificato il 30 settembre 2011 e quindi successivamente all’altro notificato il 27-28 settembre 2011 , è stato depositato il 12 ottobre 2011 e quindi prima dell’altro ricorso depositato il 15 ottobre 2011 ed ha assunto un numero di ruolo RGN 23099/2011 inferiore rispetto a quello dell’altro ricorso RGN 23444/2011 . II - Sintesi del ricorso principale. 2. Il ricorso dell’Università Cà Foscari di Venezia è articolato in sei motivi, proposti subordinatamente alla preliminare richiesta della dichiarazione di estinzione del giudizio ai sensi dell’art. 26, comma 3, della legge numero 240 del 2010 entrata in vigore il 29 gennaio 2011 , con conseguente regolazione delle spese processuali in base dell’art. 310, quarto comma, cod. proc. civ 3. Con il primo motivo, si denuncia, ex art. 360 numero 3 cod. proc. civ., la violazione dell’art. 2909 cod. civ. e dell’art. 1 della legge numero 63 del 2004, sostenendosi che la Corte territoriale avrebbe dovuto accogliere l’appello principale e dichiarare inammissibile la domanda, perché ogni pretesa relativa alla asserita inadeguatezza della retribuzione incontrava un limite insuperabile nel giudicato già formatosi fra le parti, rappresentato dalla sentenza del Pretore di Venezia emessa 11 dicembre 1993, che ha ritenuto non fondata la domanda dei lettori volta ad ottenere il medesimo trattamento economico riservato ai professori associati a tempo definito. Poiché il giudicato copre il dedotto ed il deducibile, non potevano gli originari ricorrenti tornare a contestare l’entità della retribuzione, invocando questa volta come parametro le somme spettanti ai ricercatori confermati a tempo pieno. Il giudicato non può essere superato dallo jus superveniens, perché anche la retroattività della nuova norma è limitata dalla definitività del regolamento del rapporto. Anche qualora venga in rilievo il diritto comunitario non possono comunque essere messe in discussione le sentenze ormai definitive perché in tal caso, eventualmente, sussiste solo la possibilità di far valere la responsabilità dello Stato discendente dalla pronuncia, ormai definitiva, che, in violazione del diritto dell’Unione Europea, ha cagionato il danno. 4. Il secondo motivo si censura la sentenza impugnata per violazione di legge in ordine alla sfera di efficacia soggettiva della sentenza CGCE causa C-212/99 del 26 giugno 2001 e dell’art. 1 della legge numero 63/2004 . Rileva la ricorrente che la procedura di infrazione non aveva riguardato l’Università di Venezia, perché quest’ultima aveva applicato agli ex lettori l’art. 51, comma 11, del CCNL 1994/1997, riconoscendo un’integrazione del trattamento economico basata sull’anzianità maturata anche nella precedente qualifica. La Corte territoriale, pertanto, ha errato nel ritenere applicabili i principi affermati dalla Corte di Giustizia con la sentenza del 26 giugno 2001, perché l’efficacia soggettiva della pronuncia è limitata agli Atenei inadempienti, ai quali soli si riferisce l’art. 1 della legge numero 63 del 2004. 5. Con il terzo motivo, si denuncia, ai sensi dell’art. 360 numero 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 1322, 1343, 2094 cod. civ. relativamente alla statuizione della nullità dei c.d. nuovi contratti c.d. CEL per carenza di causa nonché erronea valutazione delle circostanze relative al trattamento previsto da tali contratti con riferimento ai rapporti di lettorato al fine di provare la novazione oggettiva del rapporto . Si sostiene che i nuovi contratti si fondano su una diversa base normativa, prevedono una retribuzione maggiorata, un incremento dell’impegno lavorativo ed una puntuale disciplina degli aspetti del rapporto con rinvio alla contrattazione collettiva. Tutto questo li rende nuovi e diversi rispetto al precedente contratto di lettorato. Aggiunge la ricorrente che la legge numero 236 del 1995 salvaguarda i diritti acquisiti ma non impedisce di procedere ad un reinquadramento dei lettori nella nuova qualifica per il periodo successivo all’entrata in vigore della legge. Si evidenzia, infine, che la volontà delle parti contraenti di subordinare la costituzione di un rapporto giuridico ad una procedura concorsuale è incompatibile con quella di continuare nel regime di rapporto precedentemente instaurato. 6. Con il quarto motivo l’Università denuncia motivazione insufficiente in relazione al metodo seguito per la determinazione della retribuzione ex art. 36 Cost. . Si sostiene che la Corte territoriale avrebbe dovuto motivare la scelta di discostarsi da quanto stabilito dalle Parti sociali che, in sede di contrattazione collettiva, avevano determinato il trattamento retributivo spettante, salvaguardando i diritti quesiti. 7. Con il quinto motivo l’Università lamenta la violazione dell’art. 1 della legge numero 26 del 2004, come interpretata dall’art. 26, comma 3, della legge numero 240 del 2010. La legge richiamata, infatti, impone di rapportare il trattamento retributivo a quello del ricercatore confermato a tempo definito, sicché l’orario rispettato rileva solo ai fini della quantificazione dell’importo complessivo, con la conseguenza che, anche nella ipotesi in cui risulti superato il tetto massimo di ore, il parametro di riferimento resta immutato. 8. Infine con il sesto motivo la ricorrente denuncia, sempre ai sensi dell’art. 360 numero 3 cod. proc. civ., la violazione di legge sulle norme in materia di prescrizione dei crediti derivanti da lavoro subordinato art. 2947 e 2948 numero 4 cod. civ. . Ribadisce che gli ex lettori potevano far valere solo i crediti maturati nell’ultimo quinquennio antecedente alla entrata in vigore della legge numero 63 del 2004, giacché per il periodo pregresso avrebbero dovuto eventualmente far valere l’inadempimento dello Stato Italiano e chiedere a quest’ultimo, non all’Università, il risarcimento del danno derivato dal mancato rispetto degli obblighi comunitari. III - Sintesi del ricorso incidentale. 9. Il ricorso di K.E. , L.I. , M.B.I. riguarda il solo capo della sentenza relativo al rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri, per violazione del diritto UE, ed è articolato in tre motivi. 10. Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360 numero 3 cod. proc. civ., violazione degli artt. 10, 11 e 117 Cost. violazione del principio di primazia del diritto comunitario e dei principi espressi dalla Corte di Giustizia Europea in materia di responsabilità dello Stato per violazione del diritto comunitario violazione della sentenza di condanna della CGCE del 26 giugno 2001 . Richiamata la giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, i ricorrenti rilevano che nella fattispecie ricorrono tutti gli elementi costitutivi della responsabilità dello Stato per la mancata tempestiva attuazione del diritto dell’Unione, essendo indubbio che il principio di non discriminazione fissato dall’art. 39 del TCE oggi art. 45 TFUE numero d.r. sia diretto ad attribuire un diritto al singolo e che la sua violazione sia sufficientemente caratterizzata. I lettori aggiungono che le sentenze della Corte di Giustizia affermano con chiarezza il diritto degli interessati alla ricostruzione della carriera a fini retributivi e previdenziali. Evidenziano, infine, che l’inadempimento dello Stato italiano è stato accertato dalla stessa Corte Europea, la quale ha evidenziato che solo con la legge numero 63 del 2004 è stato garantito ai lettori di lingua straniera la parificazione ai lavoratori nazionali che si trovavano nelle stesse condizioni di lavoro. 11. Con il secondo motivo si denuncia la omessa motivazione art. 360 numero 5 cod. proc. civ. circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la sussistenza di una violazione sufficientemente caratterizzata del diritto comunitario , evidenziandosi che erroneamente la Corte territoriale ha affermato che l’obbligo comunitario non era sufficientemente determinato, senza effettuare alcun esame del contenuto delle sentenze della Corte di Giustizia e senza considerare che la sentenza del 26 giugno 2001 ha con chiarezza affermato che il riconoscimento della anzianità di servizio deve produrre effetti anche ai fini della quantificazione dei contributi previdenziali. 12. Con il terzo motivo, ai sensi dell’art. 360 numero 5 cod. proc. civ., si denuncia contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio concernente la prova del danno previdenziale patito dai ricorrenti , sostenendosi che la Corte d’appello, pur avendo dichiarato la nullità dei contratti stipulati ai sensi della legge numero 236 del 1995 e pur avendo dato atto della domanda in tal senso formulata dai ricorrenti, ha, poi, del tutto contraddittoriamente affermato che questi ultimi non avevano contestato la progressione economica riconosciuta a seguito dei nuovi contratti i quali, in realtà, in quanto nulli non potevano produrre alcun effetto. Si aggiunge che, una volta riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla regolarizzazione previdenziale del rapporto sin dalla prima assunzione, attesa la pacifica operatività della prescrizione di parte dei contributi dovuti, il danno non può che coincidere con i contributi non versati, quantificati dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di giudizio. IV - Esame del ricorso principale. 13. Il ricorso principale è inammissibile, per difetto dello jus postulandi degli avvocati del libero foro che, nel presente giudizio di cassazione, hanno assunto la difesa dell’Università Cà Foscari. 14. Le ragioni per le quali si perviene alla suddetta conclusione sono le seguenti. 15. Ai sensi dell’art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933, numero 1611, Approvazione del T.U. delle leggi e delle norme giuridiche sulla rappresentanza e difesa in giudizio dello Stato e sull’ordinamento dell’Avvocatura dello Stato l’Avvocatura dello Stato, in aggiunta al patrocinio obbligatorio in favore delle Amministrazioni dello Stato, può essere autorizzata ad assumere la rappresentanza e difesa anche di Amministrazioni pubbliche non statali e di enti pubblici sovvenzionati, sottoposti a tutela od anche a sola vigilanza dello Stato c.d. patrocinio autorizzato . Condizione necessaria per l’esercizio di questo patrocinio è l’esistenza di un provvedimento di autorizzazione che, in virtù di quanto disposto dall’art. 43 cit., può essere costituito da una disposizione di legge, di regolamento o di altro provvedimento approvato con regio decreto , i quali, per effetto delle modifiche introdotte dall’art. 11 della legge 12 gennaio 1991, numero 13, devono essere promossi di concerto con i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze. Quando sia intervenuto il detto provvedimento, la rappresentanza e la difesa in giudizio sono assunte dall’Avvocatura in via organica ed esclusiva art. 43 del TU cit. come modificato dall’art. 11 della legge numero 103 del 1979 , sicché si applicano le stesse regole del patrocinio obbligatorio, fatta salva l’ipotesi di un conflitto con lo Stato o con le Regioni. Salva la suddetta ipotesi di conflitto di interessi, le Amministrazioni e gli enti suindicati anche regionali possono decidere di non avvalersi della Avvocatura dello Stato soltanto in casi speciali e previa adozione di apposita motivata delibera da sottoporre agli organi di vigilanza . Si tratta, quindi, di una facoltà esercitabile in casi di carattere eccezionale, come è stato espressamente confermato nel parere del Consiglio di Stato, Sez. II, 29 ottobre 1986, numero 2025 e nella deliberazione della Corte dei Conti 6 aprile 1984, numero 1432, proprio con riguardo al patrocinio delle Università statali e degli altri istituti statali di istruzione superiore. Ne deriva che gli enti ai quali è applicabile il c.d. patrocinio autorizzato di cui all’art. 43 cit. sono numerosissimi tanto più che, nel corso del tempo, si è registrato un progressivo ampliamento dell’ambito di applicazione di tale tipo di patrocinio, sia per i rilevanti vantaggi sul piano economico che conseguono all’affidamento del patrocinio all’Avvocatura dello Stato sia per l’omogeneità e l’uniformità degli indirizzi defensionali che l’Avvocatura dello Stato è in grado di assicurare. 16. In questo percorso si colloca la particolare vicenda relativa al patrocinio delle Università degli Studi statali. Fino all’entrata in vigore della legge numero 168 del 1989 era pacifico in giurisprudenza che tali Università avessero natura di Amministrazioni dello Stato, con conseguente applicazione del patrocinio obbligatorio alla Avvocatura dello Stato nonché delle norme sul foro dello Stato e sulla notifica degli atti giudiziari presso la competente Avvocatura dello Stato ex artt. 1 e 11 del r.d. numero 1611 del 1933 ex art. 56 r.d. 31 agosto 1933, numero 1592 . Tuttavia, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, all’esito della riforma introdotta dalla citata numero 168 del 1989 le Università sono - ormai - enti pubblici autonomi, non rivestendo più la qualità di organi dello Stato, con la conseguenza che, ai fini della rappresentanza e difesa da parte dell’Avvocatura dello Stato, di regola non opera più nei loro confronti il patrocinio obbligatorio ma in virtù dell’art. 56 del r.d. 31 agosto 1933, numero 1592 Approvazione del testo unico delle leggi sull’istruzione superiore , non abrogato dalla legge numero 168 del 1989 - si applica il patrocinio autorizzato disciplinato dall’art. 43 r.d. numero 1611 del 1933 cit. come modif. dall’art. 11 della legge numero 103 del 1979, art. 11 e dall’art. 45 r.d. cit., coi conseguenti limitati effetti propri di tale forma di rappresentanza consistenti nell’esclusione della necessità del mandato e, salvi i casi di conflitto, nella facoltà di avvalersi di avvocati del libero foro e non dell’Avvocatura dello Stato solo in casi eccezionali previa la suddetta apposita e motivata delibera dell’organo di vigilanza vedi, fra le tante Cass. SU 10 maggio 2006, numero 10700 Cass. 28 aprile 2011, numero 9451 Cass. 13 maggio 2016, numero 9880 . E, quindi, con l’inapplicabilità delle disposizioni sul foro erariale e sulla domiciliazione presso l’Avvocatura ai fini della notificazione di atti e provvedimenti giudiziali, salve - quanto alle notificazioni - le controversie in materia di lavoro, per le quali è stata affermata l’equiparazione alle Amministrazioni statali ai fini della rappresentanza e difesa dell’Avvocatura dello Stato ai sensi dell’art. 415, comma 7, cod. proc. civ. Cass. 29 luglio 2008, numero 20582 Cass. 21 marzo 2013, numero 7163 . 17. In particolare, come più volte precisato da questa Corte, la decisione, da parte dell’Università, di avvalersi di avvocati del libero foro per la difesa in giudizio per essere valida presuppone, in linea generale a che si sia in presenza di un caso speciale b che intervenga una preventiva, apposita e motivata delibera dell’Ateneo i.e. del Rettore c che tale delibera sia sottoposta agli organi di vigilanza, cioè al Consiglio di amministrazione Cass. 9 maggio 2011, numero 10103 Cass. 23 marzo 2011, numero 6672 Cass. 13 maggio 2016, numero 9880 d che sia prodotta in giudizio idonea documentazione in merito alla sussistenza dei due suddetti elementi vedi Cass. 14 ottobre 2011, numero 21296 Cass. 10 giugno 2010, numero 13968 Cass. 17 maggio 2007, numero 11516 Cass. 2 maggio 2007, numero 10099 Cass. SU 16 giugno 2005, numero 12868 . Né tale disciplina collide con il riconoscimento di autonomia finanziaria, contabile e normativa statutaria e regolamentare agli Atenei ad opera della legge 9 maggio 1989, numero 168 e in attuazione dell’art. 33 Cost. Infatti, l’art. 7, comma 11, di tale legge non ha derogato o implicitamente abrogato le disposizioni dei regi decreti sopra richiamati e le norme legislative che nel corso del tempo ne hanno completato la disciplina, le quali recano uno speciale regime del patrocinio degli enti pubblici in genere - e, quindi, delle Università statali - principalmente finalizzato a razionalizzare le spese di tali enti, assicurando la trasparenza e il buon funzionamento della pubblica amministrazione, mediante la previsione secondo cui il provvedimento dell’organo di amministrazione attiva non è da solo sufficiente, essendo necessario che venga seguito da un provvedimento autorizzatorio da parte del diverso organo competente per la gestione finanziaria dell’ente stesso, in base al relativo ordinamento interno, ordinamento che peraltro non può derogare alla legislazione primaria vedi Cass. 14 ottobre 2011, numero 21296 Cass. 22 dicembre 2005, numero 28487 Cass., 9 maggio 2011, numero 10103 . E la rilevanza dell’obiettivo di razionalizzare la spesa pubblica trova conferma nella duplice considerazione secondo cui a in base all’art. 43 cit. l’adozione del provvedimento di autorizzazione al patrocinio dell’Avvocatura dello Stato deve essere promossa di concerto con i Ministri della Giustizia e dell’Economia e delle Finanze b la condotta del dirigente che si sia avvalso, per la difesa dell’ente di appartenenza, di avvocati del libero foro senza la preventiva autorizzazione può anche essere fonte di responsabilità erariale soggetta alla giurisdizione della Corte dei conti, sempre che in concreto ne ricorrano gli estremi vedi, mutatis mutandis Corte Conti Lazio Sez. giur., sentenza 10 luglio 2017, numero 164 . D’altra parte, né il regolamento dell’Università né lo Statuto possono validamente contenere disposizioni che siano in contrasto con quelle previste da norme primarie - tanto più processuali, come quelle in argomento - potendo esclusivamente disciplinare aspetti organizzativi, finanziari, contabili, didattici e scientifici dell’attività dell’Ateneo vedi, per tutte Cass. 28 aprile 2011, numero 9451 Cass. 22 dicembre 2005, numero 28487 Cass. 26 gennaio 2001, numero 1086 Cass. 10 settembre 1997, numero 8877 . 18. Per quanto concerne il presente giudizio, dallo Statuto dell’Università Cà Foscari risulta chiaramente che il Rettore, pur avendo la rappresentanza legale dell’Ateneo vedi Cass. 13 aprile 2012, numero 5885 e la responsabilità del perseguimento delle finalità dell’Ateneo secondo criteri di qualità e nel rispetto dei principi di efficacia, efficienza, trasparenza e promozione del merito non ha competenza propria in ordine all’attività finanziaria dell’Università. Infatti, è il Consiglio di Amministrazione l’organo cui è affidato lo svolgimento delle funzioni di indirizzo strategico e di controllo dell’attività amministrativa, finanziaria e patrimoniale dell’Ateneo . Pertanto, non possono nutrirsi dubbi sul fatto che l’organo di vigilanza alla cui approvazione deve essere sottoposta la motivata delibera di conferimento in casi speciali vedi art. 43 cit. ad un difensore del libero foro della difesa dell’Università sia, nella specie, da individuare nel Consiglio di amministrazione, mentre al Rettore che peraltro presiede il Consiglio di amministrazione - non competono specifiche attribuzioni in ordine all’attività finanziaria dell’Università, visto che i compiti di vigilanza sul funzionamento dell’economato, della cassa e degli uffici per quanto concerne i servizi amministrativi e contabili sono attribuiti dall’art. 12 del r.d. numero 1592 del 1933 cit. al Presidente del Consiglio di amministrazione e quindi, nel nostro caso, al Rettore ma in tale veste. Va, infine, precisato sul punto che, dato il tipo di interessi pubblici in primo luogo finanziari cui la suddetta disciplina è finalizzata, non ha alcun rilievo la mancata esplicita menzione da parte dello Statuto dell’Università - tra i compiti del Consiglio di amministrazione - dell’adozione di decisioni relative alla partecipazione in giudizio dell’Ateneo, fra cui rientra quella in oggetto, visto che comunque tali decisioni comportano delle spese per l’Ateneo e pertanto rientrano nella generale attività di competenza del suddetto Consiglio. 19. Né d’altra parte, come regola generale e astratta, potrebbe considerarsi sufficiente un provvedimento del Rettore onde ottenere una decisione più tempestiva ed efficace, in quanto a nel bilanciamento dei vari interessi in gioco quelli che il legislatore ha considerato prevalenti sono quelli di tutela della finanza pubblica b peraltro, in base all’art. 97 Cost. e al principio del giusto procedimento amministrativo di cui alla legge numero 241 del 1990 e successive modifiche , tutte le Pubbliche Amministrazioni sono tenute, fra l’altro, a snellire e rendere più celere l’azione amministrativa c poiché il Rettore ha anche il ruolo di Presidente del Consiglio di amministrazione è in condizione di assicurare il rispetto degli anzidetti principi, evitando che il completamento della procedura autorizzatoria de qua si prolunghi nel tempo senza valide giustificazioni vedi Cass. 13 maggio 2016, numero 9880 . 20. Deve comunque essere sottolineato che, come più volte affermato in giurisprudenza, laddove ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell’art. 12 del r.d. numero 1592 del 1933 cit., il Rettore, nella suddetta qualità di Presidente del Consiglio d’amministrazione, avendo la rappresentanza legale dell’Università può direttamente prendere i provvedimenti d’urgenza riferendone al Consiglio per la ratifica nella prima successiva adunanza Cass. 4 novembre 2009, numero 23419 Cass.23 marzo 2011, numero 6672 Cass. 9 maggio 2011, 10103 . Questo vuol dire che, in una simile documentata evenienza, il Rettore può provvedere al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando l’originaria irregolarità vedi, per tutte Cass. 14 febbraio 2017, numero 3837 Cass. 9 febbraio 2017, numero 3465 TAR Lazio Roma, III, 2 gennaio 2014, numero 29 . 21. Vi è poi un’ipotesi in cui l’art. 43 del r.d. numero 1611 del 1933, come modificato dall’art. 11 della legge numero 103 del 1979, espressamente esclude del tutto la necessità di sottoporre agli organi di vigilanza il provvedimento dal quale risulti che l’ente non intende avvalersi del patrocinio autorizzato della Avvocatura dello Stato ma di un avvocato del libero foro. Questa è l’ipotesi in cui si sia in presenza di un conflitto di interessi tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio, con la precisazione che si deve trattare di un documentato conflitto reale e non meramente ipotetico, il quale può verificarsi soltanto se nel giudizio si registri una divergenza degli interessi di cui gli enti configgenti sono portatori, il che presuppone che si tratti di interessi che, pur diversi, in qualche modo, siano tali da poter collidere. In altri termini, un simile conflitto può registrarsi nei casi in cui la controparte dell’ente pubblico che si giova del patrocinio autorizzato come le Università statali - sia un’Amministrazione dello Stato, nonché in tutti gli altri casi si determini un conflitto degli interessi sostanziali dell’ente con quelli dell’Amministrazione statale che è presente in giudizio. È noto che, per orientamento consolidato in giurisprudenza, la rappresentanza processuale dell’Avvocatura dello Stato non comporta anche la rappresentanza sostanziale della PA, sicché l’Avvocatura dello Stato non può disporre del diritto sostanziale controverso vedi Cass. 2 febbraio 1973, numero 321 Cons. Stato, sez. IV, 7 marzo 1978, numero 178 Cons. Stato 6 maggio 1980, numero 502 Cons. Stato, sez. IV, 6 aprile 2000, numero 1995 , la cui titolarità è, conseguentemente, riservata all’Amministrazione. Tuttavia, l’Avvocatura può compiere tutti quegli atti processuali quali, ad esempio, la rinunzia agli atti del giudizio che, pur non costituendo disposizione del diritto sostanziale controverso, possono nondimeno determinare effetti di natura sostanziale, rientrando tale possibilità nell’ambito della pienezza dei poteri attribuiti al’Avvocatura in ordine alla gestione tecnica della lite, all’esercizio delle varie facoltà processuali, alla utile conduzione della causa dall’art. 1, secondo comma, del r.d. numero 1611 del 1933 cit., ove si stabilisce che gli avvocati ed i procuratori dello Stato in virtù della loro qualifica possono compiere, anche senza mandato speciale, tutti gli atti processuali che le ordinarie norme di procedura vietano ai difensori con procura che non siano forniti di mandato o procura speciale. 22. Di tale complessiva normativa si deve tenere conto pure ai fini dell’individuazione della fattispecie del conflitto di interessi fra enti che consentono di derogare alla normativa generale di cui si tratta, anche sulla base delle ipotesi esaminate al riguardo nella giurisprudenza di questa Corte, con particolare riferimento alle Università statali. Da tale giurisprudenza risulta che questa Corte ha ritenuto valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio dell’organo di vigilanza Consiglio di amministrazione in casi in cui si era in presenza di un concreto conflitto d’interessi tra l’Università e Amministrazioni statali cui si applica il patrocinio obbligatorio dell’Avvocatura dello Stato - in particolare con il Ministero dell’Economia e delle Finanze - per specifiche ragioni indicate in atti riguardanti il diritto sostanziale controverso tipo di credito azionato Cass. 14 febbraio 2017, numero 3837 e Cass. 9 febbraio 2017, numero 3465 oppure atti processuali che, pur non costituendo disposizione del diritto sostanziale controverso, potevano determinare effetti di natura sostanziale eccezione di difetto di legittimazione passiva sollevata in primo grado dall’Università Cass. 13 maggio 2016, numero 9880 . È stato, altresì, precisato al riguardo che la presenza di un simile conflitto di interessi comporta la radicale non ipotizzabilità del patrocinio autorizzato dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere una preventiva autorizzazione Cass. 22 dicembre 2005, numero 28487 Cass. 26 gennaio 2001, numero 1086 . 23. In sintesi, laddove, il mandato all’avvocato del libero foro sia stato rilasciato dal Rettore senza il vaglio dell’organo di vigilanza nella specie Consiglio di amministrazione e non ricorra un caso di urgenza oppure non si sia in presenza di un conflitto di interessi reale del tipo indicato, tale atto è nullo ed è suscettibile di sanatoria soltanto nei limiti stabiliti dall’art. 125 cod. proc. civ. e a certe condizioni ma esclusivamente per i giudizi di merito e non per il giudizio di cassazione, a meno che si sia formato giudicato interno sul punto arg. ex Cass. SU 13 giugno 2014, numero 13431 Cass. 11 giugno 2012, numero 9464 Cass. 4 aprile 2017, numero 8741 . Infatti, la delibera dell’organo di vigilanza si configura come un requisito indispensabile per la validità del mandato difensivo conferito all’avvocato del libero foro imposto dalla richiamata normativa speciale sul patrocinio autorizzato e per tale ragione la sua mancanza determina la nullità del mandato il suddetto avvocato il quale rimane sfornito dello jus postulandi in nome e per conto dell’ente pubblico Cass. SU 5 luglio 1983, numero 4512 Cass. 4 febbraio 1987, numero 1057 Cass. 14 febbraio 1997, numero 1353 Cass. 14 ottobre 2011, numero 21296 . 24. Ciò vale a maggior ragione per il giudizio di cassazione per il quale, secondo un consolidato e condiviso indirizzo di questa Corte assurto al rango di diritto vivente , tale vizio non solo è rilevabile anche d’ufficio, come accade per tutti i giudizi vedi, per tutte Cass. 18 agosto 1997, numero 7649 Cass. 4 febbraio 1987, numero 1057 Cass. SU 5 luglio 1983, numero 4512 Cass. 20 gennaio 1982, numero 347 Cass. 26 gennaio 2007, numero 1759 Cass. 19 novembre 2007, numero 23953 Cass. SU 19 maggio 2009, numero 11531 Cass. 4 agosto 2010, numero 18062 Cass. 28 aprile 2011, numero 9451 ma determina, in considerazione della nullità del mandato per agire o resistere in sede di legittimità, la nullità assoluta del ricorso o del controricorso , incidendo sulla relativa ammissibilità Cass. 18 luglio 2002, numero 10434 . Infatti, poiché per legge la procura ad litem deve fondarsi sulla previa delibera oppure nei casi di urgenza successiva ratifica dell’organo competente vedi Cass. 29 ottobre 1974, numero 3283 Cass. 22 febbraio 1973, numero 519 Cass. 3 dicembre 1970, numero 2532 Cass. 14 ottobre 2011, numero 21296 cit. , l’assenza di tale delibera non può non incidere sulla stessa validità della procura speciale e sulla corretta instaurazione del rapporto processuale, indipendentemente dall’eccezione della parte interessata, il cui eventuale comportamento acquiescente rimane irrilevante vedi, per tutte Cass. 26 giugno 2007, numero 14843 . Deve aggiungersi che per le Università statali, fermo restando che il mandato all’avvocato del libero foro deve essere sottoscritto dal Rettore, pur in presenza della previa delibera o della ratifica del Consiglio di amministrazione, il difensore ha l’onere di produrre - a pena di inammissibilità conseguente alla carenza dello jus postulandi - la suddetta preventiva delibera oppure la successiva ratifica, nei casi in cui il Rettore abbia in via di urgenza conferito il mandato vedi, tra le tante Cass. SU 10 maggio 2006, numero 10700 Cass. 28 aprile 2011, numero 9451 . 25. Nel presente giudizio - nel quale reiteratamente gli ex lettori hanno denunciato la presenza del suddetto vizio - la suindicata previa delibera del Consiglio di amministrazione non è stata prodotta dagli avvocati del libero foro difensori dell’Università i quali sono rimasti inattivi al riguardo, anche dopo la proposizione della relativa eccezione da parte degli ex lettori. D’altra parte deve essere esclusa la ricorrenza di una situazione di conflitto di interessi tra la Presidenza del Consiglio dei Ministri e l’Università Cà Foscari. Infatti, come si è detto, una simile situazione può verificarsi come è confermato anche dalle ipotesi esaminate da questa Corte e sopra richiamate - soltanto se i differenti interessi sostanziali di cui sono portatori gli enti configgenti, siano suscettibili di avere una qualche interferenza che possa determinare il conflitto. 26. Nella specie, non solo in concreto ma neppure in astratto è ipotizzabile un conflitto di interessi tra l’Università e la Presidenza del Consiglio dei Ministri, in quanto tali enti, nel presente giudizio, sono titolari di interessi che non hanno alcuna interferenza reciproca, essendo del tutto differenti. Invero, come si legge anche nel ricorso dell’Università Cà Foscari la Presidenza del Consiglio dei Ministri è stata chiamata a rispondere alla domanda di risarcimento del danno da parte dello Stato per la mancata tempestiva attuazione del diritto dell’Unione e in particolare violazione della sentenza di condanna della Corte di giustizia del 26 giugno 2001. Si tratta, quindi, di una domanda che ha la sua base nel diritto di non discriminazione riconosciuto dal Trattato UE e che nasce dalla inesatta attuazione, da parte del nostro Stato, della sentenza Corte di giustizia 26 giugno 2001, C-212/99 Commissione, c. Italia , che ha condannato il nostro Paese per essere venuto meno agli obblighi ad esso incombenti in forza dell’art. 48 del Trattato ex art. 39 CE per non aver assicurato il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori linguistici, riconoscimento invece garantito alla generalità dei lavoratori nazionali , violazione che trova riscontro successivo nella sentenza 18 luglio 2006, C119/04, con la quale la Corte di giustizia Grande Sezione ha nuovamente condannato l’Italia per il periodo ante d.l. numero 2/2004 stabilendo che la Repubblica italiana non ha attuato tutti i provvedimenti che l’esecuzione della sentenza 26 giugno 2001, causa C 212/99, comportava, ed è pertanto venuta meno agli obblighi che le incombono in forza dell’art. 228 CE, perché non ha assicurato, alla data di scadenza del termine impartito nel parere motivato della Commissione Europea, il riconoscimento dei diritti quesiti agli ex lettori di lingua straniera, divenuti collaboratori ed esperti linguistici di lingua madre, mentre tale riconoscimento era garantito alla generalità dei lavoratori nazionali. È, pertanto, evidente che la pretesa fatta valere nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri è del tutto diversa dalle domande proposte nei confronti dell’Università, che è stata chiamata in giudizio nella sua qualità di datrice di lavoro per le richieste differenze di trattamento retributivo e previdenziale. Pertanto gli interessi sostanziali che nel presente giudizio vengono, rispettivamente, tutelati dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dall’Università Cà Foscari sono del tutto distinti e tra di essi non è ipotizzabile alcun conflitto - nei termini che qui interessano come, del resto, è confermato anche dal fatto che nei due gradi di merito entrambi gli enti si sono avvalsi della unitaria difesa dell’Avvocatura dello Stato. 27. Né potrebbe ipotizzarsi un conflitto di interessi sopravvenuto nel giudizio di cassazione per il fatto che la Corte d’appello ha respinto la domanda proposta dagli originari ricorrenti nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri mentre ha confermato le sentenze di primo grado per le parti relative alla condanna dell’Università alla ricostruzione della carriera etc Infatti, si deve tenere presente che la disciplina del conflitto di interessi rappresenta, nell’ambito dell’art. 43 del r.d. cit. una eccezione rispetto ad un regime - quello del conferimento del mandato difensivo ad un avvocato del libero foro - che è a sua volta configurato come eccezionale, per le anzidette ragioni, rispetto alla difesa ope legis da parte dell’Avvocatura dello Stato. Pertanto, la circostanza che un ente sia risultato vittorioso in appello e l’altro no non può certamente considerarsi da sola sufficiente a derogare a tale regime, sull’assunto indimostrato che essa abbia dato luogo - ai presenti fini - ad una situazione di conflitto tra interessi che ontologicamente sono e restano insuscettibili di configgere, data la loro totale intrinseca diversità. 28. Ne deriva che, nella specie, il conferimento del mandato da parte del Rettore avrebbe dovuto essere autorizzato con delibera del Consiglio di amministrazione che, non risultando prodotta, si deve considerare mancante. Quindi il mandato alle liti conferito agli avvocati del libero foro dal Rettore dell’Università Cà Foscari è nullo, in applicazione della suindicata normativa primaria processuale, insuscettibile di essere derogata da norme di rango secondario come quelle contenute nel Regolamento e nello Statuto dell’Università, senza che ovviamente possa avere alcuna rilevanza in contrario quanto affermato sul punto nell’ordinanza numero 79 del 4 gennaio 2017 con la quale la Sezione Lavoro ha rimesso la causa al Primo Presidente per la sua eventuale assegnazione a queste Sezioni Unite, visto che una simile ordinanza ha, per definizione, carattere interlocutorio e non decisorio. Alla suddetta nullità del mandato consegue la doverosa declaratoria di inammissibilità del ricorso dell’Università Cà Foscari, siccome sottoscritto da un avvocato del libero foro senza che vi sia prova di tutti i requisiti di cui all’art. 43, comma 4, del r.d. numero 1611 del 1933. Il che comporta l’irrilevanza sia della proposta istanza di rinvio pregiudiziale alla CGUE sia della prospettata questione di legittimità costituzionale entrambe avanzate dai lettori . V - Esame del ricorso incidentale. 29. I tre motivi del ricorso incidentale - da trattare congiuntamente, perché sono intimamente connessi, riguardando tutti, per profili diversi, soltanto la decisione di rigetto della domanda di risarcimento dei danni proposta nei confronti della Presidenza del Consiglio dei Ministri - sono da respingere, per le ragioni di seguito esposte. 27. La Corte territoriale è pervenuta alla contestata conclusione rilevando che, diversamente da quanto ritenuto dal primo giudice, la suddetta domanda risarcitoria proposta per il ritardo nell’adempimento degli obblighi comunitari non è risultata, nella specie, sufficientemente dettagliata dagli interessati, i quali comunque nulla hanno dedotto e provato in merito al c.d. danno previdenziale, né tali carenze probatorie state sanate dalla disposta CTU contabile, la quale si è limitata a quantificare gli importi dei contributi previdenziali prescritti. 28. Ne consegue che non risulta che la Corte d’appello abbia violato i principi affermati dalla Corte di giustizia in materia di conseguenze del ritardo da parte del nostro Stato nell’adozione dei provvedimenti necessari per conformarsi alla citata sentenza di condanna del 26 giugno 2001 come si sostiene nel primo motivo né che abbia affermato che l’obbligo comunitario come configurato dalla Corte di giustizia non era sufficientemente determinato come si afferma nel secondo motivo . Anzi, la Corte proprio muovendo dalla doverosa applicazione da dare alle sentenze della Corte di giustizia - e, in particolare, alla citata sentenza del 26 giugno 2001 - ha preso in considerazione l’affermazione ivi contenuta secondo cui il riconoscimento della anzianità di servizio in favore dei lettori comunque denominati deve produrre effetti anche ai fini della quantificazione dei contributi previdenziali. Ebbene, proprio con riferimento a tale statuizione, la Corte d’appello - dovendo procedere alla quantificazione, in concreto, dei suddetti contributi in linea anche con i principi affermati dalla Corte di giustizia, vedi, per tutte sentenza 3 settembre 2014, C-318/13, punti 43-44 e giurisprudenza ivi citata - ha rilevato che la relativa domanda, per come formulata, non gli offriva gli elementi necessari per effettuare tale quantificazione e che, d’altra parte, per superare tale mancanza di specificità non si poteva neppure fare riferimento alla CTU contabile disposta nel giudizio di primo grado, perché essa si era limitata a quantificare soltanto gli importi dei contributi previdenziali prescritti. Pertanto, la ragione per la quale la Corte d’appello ha respinto la domanda risarcitoria de qua è stata chiaramente individuata nella rilevata carenza di specificità della domanda non sanabile tramite la disposta CTU contabile, con particolare riguardo al c.d. danno previdenziale. 29. Ebbene, neppure nel terzo motivo - con il quale si denuncia la contraddittorietà della motivazione proprio in ordine alla prova del danno previdenziale patito dai ricorrenti - questa ratio decidendi viene efficacemente confutata, in quanto ci si limita ad osservare che, una volta riconosciuto il diritto dei ricorrenti alla regolarizzazione previdenziale del rapporto sin dalla prima assunzione, attesa la pacifica operatività della prescrizione di parte dei contributi dovuti, il suddetto danno non può che coincidere con i contributi non versati, quantificati dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta nel primo grado di giudizio. Ma, in tal modo a da un lato si configura il risarcimento del c.d. danno previdenziale come automatico , una volta accertato l’omesso versamento dei contributi, mentre una simile configurazione si pone in contrasto con quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte vedi, per tutte Cass. 5 gennaio 2011, numero 199 b d’altra parte, non si contesta la suddetta statuizione della Corte circa il contenuto della CTU di primo grado e neppure ci si attiene al dovuto rispetto del principio di specificità dei motivi di ricorso per cassazione c.d. autosufficienza ponendo queste Sezioni Unite in condizione di verificare l’eventuale sussistenza del vizio denunciato per essere in ipotesi, diversamente da quanto affermato dalla Corte territoriale, la domanda sufficientemente dettagliata ovvero la CTU utile a sanare la sua rilevata scarsa specificità, in particolare con riguardo al c.d. danno previdenziale . Il ricorso incidentale non è quindi fondato. III – Conclusioni. 30. In sintesi il ricorso principale RGN 23099/2011 va dichiarato inammissibile e il ricorso incidentale RGN 23444/2011 va respinto. La soccombenza reciproca, fra la ricorrente principale e i ricorrenti incidentali, giustifica fra loro la compensazione delle spese processuali di questo giudizio di cassazione, che, per le altre parti, trova giustificazione nella complessità delle questioni trattate e nella sostanziale novità della questione riguardante l’individuazione della fattispecie del conflitto di interessi di cui all’art. 43 del r.d. numero 1611 del 1933. 31. Ai sensi dell’art. 384 cod. proc. civ. si ritiene opportuno di enunciare il seguente principio di diritto ai sensi dell’art. 43 del r.d. 30 ottobre 1933 numero 1611 - come modificato dall’art. 11 della legge 3 aprile 1979 numero 103 - la facoltà per le Università statali di derogare, in casi speciali al patrocinio autorizzato spettante ex lege all’Avvocatura dello Stato, per avvalersi dell’opera di liberi professionisti, è subordinata all’adozione di una specifica e motivata deliberazione dell’ente i.e. del Rettore da sottoporre agli organi di vigilanza per un controllo di legittimità i. e. Consiglio di amministrazione . Come regola generale, la mancanza di tale controllo determina la nullità del mandato alle liti, non rilevando che esso sia stato conferito con le modalità prescritte dal Regolamento o dallo Statuto dell’Università, le quali sono fonti di rango secondario insuscettibili di derogare alla legislazione primaria. Però nei casi in cui ricorra una vera e propria urgenza, ai sensi dell’art. 12 del r.d. numero 1592 del 1933, il Rettore, nella qualità di Presidente del Consiglio d’amministrazione, può provvedere direttamente al conferimento dell’incarico all’avvocato del libero foro, purché curi di far approvare sollecitamente la relativa delibera dal Consiglio di amministrazione, così sanando la originaria irregolarità. Inoltre, in base al citato art. 43, è valido il mandato conferito ad avvocati del libero foro con il solo provvedimento del Rettore non seguito dal vaglio del Consiglio di amministrazione nel caso in cui si verifichi in concreto un conflitto di interessi sostanziali tra più enti pubblici che sono parti nel medesimo giudizio. Infatti, la presenza di un simile conflitto di interessi - che deve essere reale, non meramente ipotetico e documentato - rende non ipotizzabile il patrocinio dell’Avvocatura dello Stato in favore dell’Università, sicché non vi è alcuna ragione di richiedere la suindicata preventiva autorizzazione . P.Q.M. La Corte, a Sezioni Unite, dichiara inammissibile il ricorso numero 23099/2011 e rigetta il ricorso numero 23444/2011. Spese compensate tra le parti.