È dell’avvocato l’onere di provare la diligenza nello svolgimento dell’incarico

L’obbligo nello svolgimento dell’incarico professionale di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all’avvocato di assolvere ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi .

Così ha deciso la Suprema Corte con l’ordinanza n. 21173/17, depositata il 13 settembre. Il caso. La Corte d’Appello accoglieva l’appello proposto dal cliente di un avvocato che chiedeva la revoca del decreto ingiuntivo, ottenuto da quest’ultimo, per il pagamento di alcune prestazioni professionali giudiziarie svolte in favore dell’opponente. Avverso tale pronuncia l’avvocato ricorreva in Cassazione, lamentando l’errato accoglimento del ricorso, da parte dei giudici dei secondo grado, in quanto non adeguatamente provata la condotta negligente del professionista da parte dell’appellante. La prova della condotta. In relazione al motivo di doglianza la Cassazione afferma di doversi applicare quanto già statuito nella pronuncia n. 14597/2004 nella quale si afferma che l’obbligo di fornire la prova della condotta mantenuta gravi sul professionista. Il quale ha l’obbligo nello svolgimento dell’incarico professionale di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. impone all’avvocato di assolvere ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto ostative al raggiungimento del risultato o comunque produttive del rischio di effetti dannosi . Nel caso di specie l’avvocato non ha adeguatamente assolto a tale onere, non avendo avanzato alcuna istanza istruttoria per provare la sua diligenza professionale, per cui la sentenza impugnata ha fatto corretto utilizzo i tali principi. Per questi motivi la Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 10 marzo – 13 settembre 2017, numero 21173 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Fatto e diritto Ritenuto il Consigliere relatore dott. A. Scalisi ha proposto che la controversia fosse trattata in Camera di Consiglio non partecipata dalla Sesta Sezione Civile di questa Corte ritenendo la manifesta infondatezza del ricorso posto che il primo motivo è inammissibile per mancato rispetto del principio di autosufficienza ed il secondo motivo è infondato posto che la sentenza impugnata ha motivato correttamente e con puntualità circa il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del R. , il quale non aveva avanzato alcuna istanza istruttoria per provare la sua diligenza professionale. La proposta del relatore è stata notificata alle parti. Letti gli atti del procedimento di cui in epigrafe. Considerato che 1. La Corte d’Appello di Bari, in riforma della decisione di primo grado, accoglieva l’appello proposto da L.P. avverso l’avvocato R.D. , così revocando il decreto ingiuntivo che quest’ultimo aveva ottenuto per il pagamento di alcune prestazioni professionali giudiziarie svolte in favore dell’appellante/opponente L La Corte territoriale, per quello che qui interessa, riconosceva fondate le eccezioni formulate dal debitore in sede di opposizione al decreto ingiuntivo riguardanti la sussistenza della responsabilità professionale dell’avvocato R. , che non lo aveva informato con diligenza circa la presenza di una causa di decadenza dall’azione che egli voleva promuovere per recuperare alcuni crediti di lavoro, decadenza che poi era stata infatti dichiarata dal giudice adito. I giudici di appello precisavano peraltro che nel giudizio di responsabilità spettava al professionista l’onere di fornire la prova della sua condotta diligente, onere che non era stato assolto dall’avvocato R. il quale, sul punto relativo alla corretta informazione data al cliente circa i rischi evidenti di reiezione delle sue domande ove fosse stata eccepita la decadenza prevista dall’art. 36 del C.C.N.L., non aveva avanzato alcuna istanza istruttoria. Avverso la suddetta sentenza propone ricorso per cassazione R.D. , formulando un unico motivo. Resiste L.P. con apposito controricorso. 2. Il ricorrente con l’unico motivo di ricorso eccepisce da un lato la violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 346 c.p.c. e 2697 c.c., in relazione all’art. 360, numero 3, c.p.c., nonché la contraddittoria motivazione in relazione all’art. 360, numero 5 c.p.c In particolare lamenta che la Corte d’Appello avrebbe riconosciuto la responsabilità professionale del R. , senza che l’appellante nella sua impugnazione avesse riproposto la domanda riconvenzionale formulata in primo grado. Inoltre, i giudici di secondo grado avrebbero errato accogliendo la predetta riconvenzionale, senza che L.P. avesse provato la condotta negligente del professionista, onere che incombeva sul debitore opponente/appellante. Rilevato che per quanto riguarda la presunta violazione degli artt. 112 e 346 c.p.c., appare sufficiente richiamare la consolidata giurisprudenza di questa Corte che afferma Ove, quindi, si deduca la violazione, nel giudizio di merito, del citato art. 112 cod. proc. civ., riconducibile alla prospettazione di un’ipotesi di error in procedendo per il quale la Corte di cassazione è giudice anche del fatto processuale , detto vizio, non essendo rilevabile d’ufficio, comporta pur sempre che il potere-dovere del giudice di legittimità di esaminare direttamente gli atti processuali sia condizionato, a pena di inammissibilità, all’adempimento da parte del ricorrente - per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione che non consente, tra l’altro, il rinvio per relationem agli atti della fase di merito - dell’onere di indicarli compiutamente, non essendo legittimato il suddetto giudice a procedere ad una loro autonoma ricerca, ma solo ad una verifica degli stessi tra le tante in questi termini Cass. numero 15367 del 2014 . Nel caso di specie il ricorrente non ha riportato nel suo ricorso le domande proposte dall’appellante nella sua impugnazione, limitandosi ad affermare che questi avesse solo appellato sul punto riguardante la tardività dell’opposizione a decreto ingiuntivo e non anche sulla responsabilità professionale del creditore. Il motivo di ricorso su questo aspetto appare, quindi, inammissibile, senza bisogno peraltro di rilevare che l’eventuale violazione dell’art. 112 c.p.c. andava eccepita ai sensi del numero 4 dell’art. 360 c.p.c. e non come violazione di legge ex art. 360, numero 3. c.p.c. 3. Quanto, invece, al motivo inerente la violazione dell’art. 2697 c.c., esso è palesemente infondato. Si richiama a tal fine la sentenza numero 14597 del 2004, che in massima ha affermato Nell’adempimento dell’incarico professionale conferitogli, l’obbligo di diligenza da osservare ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 1176, secondo comma, e 2236 cod. civ. impone all’avvocato di assolvere, sia all’atto del conferimento del mandato che nel corso dello svolgimento del rapporto, anche ai doveri di sollecitazione, dissuasione ed informazione del cliente, essendo tenuto a rappresentare a quest’ultimo tutte le questioni di fatto e di diritto, comunque insorgenti, ostative al raggiungimento del risultato, o comunque produttive del rischio di effetti dannosi di richiedergli gli elementi necessari o utili in suo possesso a sconsigliarlo dall’intraprendere o proseguire un giudizio dall’esito probabilmente sfavorevole. A tal fine incombe su di lui l’onere di fornire la prova della condotta mantenuta, insufficiente al riguardo peraltro essendo il rilascio da parte del cliente delle procure necessarie all’esercizio dello jus postulandi , stante la relativa inidoneità ad obiettivamente ed univocamente deporre per la compiuta informazione in ordine a tutte le circostanze indispensabili per l’assunzione da parte del cliente di una decisione pienamente consapevole sull’opportunità o meno d’iniziare un processo o intervenire in giudizio. Conf. Cass. numero 8312/2011 . Nella specie, la sentenza impugnata ha motivato correttamente e con puntualità circa il mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte del R. , il quale non aveva avanzato alcuna istanza istruttoria per provare la sua diligenza professionale. In definitiva, il ricorso va rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di cassazione che vengono liquidate con il dispositivo. Il Collegio dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna la ricorrente a rimborsare a parte controricorrente le spese del presente giudizio di cassazione che liquida in Euro 1.700,00 di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese generali pari al 15% ed accessori come per legge dà atto che, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del DPR 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.