Una liquidazione esigua delle spese può essere un disincentivo per il cliente a rivolgersi ad un avvocato

La Corte di Cassazione si esprime su un ricorso relativo alla liquidazione delle spese, ritenuta esigua dal ricorrente, e valuta quale norma applicare al caso concreto, tenuto conto delle discipline succedutesi nel tempo. Una interessante doglianza del ricorrente rivolge attorno all’ammontare delle spese processuali, dalla cui esiguità può derivare una conseguenza indesiderabile il cliente potrebbe trovarsi in una situazione in cui pagare l’illecita sanzione amministrativa può essere economicamente conveniente rispetto a rivolgersi al proprio difensore di fiducia e pagarne il rispettivo compenso.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 128/17 depositata il 5 gennaio. Il caso. Il Giudice di Pace annullava un verbale di accertamento per violazione del codice della strada. Tale sentenza veniva impugnata da una parte, al fine di ottenere la riforma del regolamento delle spese. Il Tribunale adito riteneva che la determinazione delle spese processuali a carico della parte soccombente operata dal GdP, dell’ammontare di 100 €, fosse congrua, tenuto conto di quanto stabilito nel d.m. n 140/2012. Avverso tale sentenza ricorreva la parte soccombente, con due ordini di doglianza. L’esiguità delle spese processuali. Il ricorrente lamenta il fatto che il Tribunale, avendo confermato la decisione del GdP, ha liquidato delle spese di lite esigue rispetto al loro reale valore. L’errore del giudice risiederebbe nell’aver ritenuto di dover applicare la summenzionata disciplina del d.m., nonostante questo fosse intervenuto successivamente all’introduzione e definizione della controversia, in chiara violazione del principio generale di irretroattività nel nostro ordinamento. Diversamente, l’applicazione del d.m. n. 127/2004, legge vigente all’epoca di cui si tratta, avrebbe portato ad una liquidazione diversa, oscillante tra i 200 e i 370 €. Secondo motivo di censura è relativo alla presunta violazione dell’art. 24 Cost Il ricorrente, infatti, chiede alla Corte di Cassazione di chiarire la congruità o meno di un importo così risibile [] a titolo di spese di lite . Se così fosse, il privato cittadino, che intendeva opporsi ad un illegittimo provvedimento della Pubblica Amministrazione, sarebbe disincentivato a servirsi del proprio legale di fiducia, trovandosi costretto, in futuro, a scegliere di pagare l’illegittima sanzione, pur di non dover sostenere ingenti spese di difesa , poi liquidate dal giudice di appello in maniera così esigua. La irretroattività della disciplina. Secondo la giurisprudenza delle Sezioni Unite, i nuovi parametri stabiliti dall’art. 41 del suddetto d.m. sono da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore . In questo caso l’attività professionale si è svolta e si è esaurita prima che entrassero in vigore le nuove tariffe, motivo per il quale andavano liquidate le spese tenendo conto delle tariffe ex d.m. n. 127/2004. La Corte di Cassazione, per tale motivo, accoglie il ricorso e cassa la sentenza impugnata.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 27 maggio – 5 gennaio 2017, n. 128 Presidente Petitti – Relatore Scalisi Svolgimento del processo Il Tribunale di Roma, con la sentenza n. 8932 del 2013, rigettava l'impugnazione proposta da E.P. avverso la sentenza 125981 del 2009, con la quale il GdP annullava il verbale di accertamento n. 13081426328 relativo a sanzione amministrativa per violazione del codice della strada. Il ricorrente proponeva appello per ottenere la riforma del capo relativo alle spese. Si costituiva Roma Capitale chiedendo il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata. Secondo il Tribunale di Roma considerato che, in conseguenza dell'art. 13 comma 1 lettera a e b del D.L. 212 del 2011 dal combinato disposto del testo novellato degli artt. 82 e 92 cod. proc. civ. applicabile ai giudizi pendenti in ragione della natura processuale delle norme modificate e più in particolare, della mancanza di una disciplina transitoria , risulta che per le cause indicate al comma 1 dell'art. 82 cause di competenza del giudice di Pace di valore inferiore a mille euro, nelle quali la parte è facoltizzata a costituirsi personalmente le spese liquidate non posso superare il valore della controversia. A sua volta, tale criterio andava combinato con la norma generale contenuta nell'art. 9 terzo comma del D.L. n. 1 del 2012, come modificato per effetto della legge di conversione n. 27 del 2012, il quale rinvia al D.M. 140 del 2012, applicabile alle liquidazioni delle spese giudiziali disposte successivamente alla sua entrata in vigore ossia dal 23 agosto 2012 e, dunque, nel presente giudizio, fermo il principio di non vincolatività delle tariffe approvate con il D.M. 140 del 2012, andava valutata la natura dell'attività professionale in relazione alla qualità della controversia e al suo valore. Pertanto, le spese poste a carico della parte convenuta soccombente nel giudizio davanti al Giudice di Pace determinate in €. 100 apparivano congrue. La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da Edoardo Polacco per due motivi, illustrati con memoria. Il Comune di Roma ha resistito con controricorso. Motivi della decisione 1. Edoardo Polacco lamenta a Con il primo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 82 comma 1, 91 comma 1 e quattro, 92 comma 2 c.p.c., 118 comma 2 disp. att. 132, comma due n. 4 c.p.c., 24 e 111 cost., in relazione all'art. 360 n. 3 c.p.c., nonché Violazione delle tariffe forensi vigenti D.L. 223/2006 cd. Decreto Bersani convertito in legge n. 248/2006, art. 2 comma 2, inapplicabilità dell'art. 91 comma 4 c.p.c. introdotto con D.L. 212/11, art. 13, Dubbi di legittimità costituzionale degli artt. 82 e 91 c.p.c. in in relazione agli artt. 3, 24, 111 cost. Omesso esame di un atto decisivo per il giudizio oggetto di discussione. Secondo il ricorrente, il Tribunale di Roma, confermando la decisione del GdP ha consentito che venissero liquidate delle spese di lite in misura assolutamente esigua e illegittima applicando erroneamente il combinato disposto degli artt. 82, comma 1, e 91 comma 4 c.p.c. In particolare, il Tribunale avrebbe erroneamente ritenuto a di dover applicare le modifiche intervenute nei casi previsti dagli artt. 82 comma 1 e 91 comma 4 c.p.c., nonostante si trattasse di una causa introdotta e definita ante riforma, e in piena vigenza delle tariffe del D.M. n. 127 del 2004. Epperò, l'irretroattività costituisce un principio generale del nostro sistema b applicando le tariffe di cui al D.M. 127 del 2004, in vigore al momento della decisione della causa, avrebbe comportato una liquidazione di € 213,26 oppure tenuto conto della competenza esclusiva funzionale del GdP di € 373,26, comunque, superiore a quella liquidata di €. 100,00. b Con il secondo motivo, la violazione o falsa applicazione degli artt. 91 e 92 comma due, e dell'art. 24 Cost. in relazione all'art. 360 nn. 3, 4 e 5 c.p.c. In particolare, il ricorrente con questo motivo chiede alla Corte di Cassazione di chiarire se un privato cittadino che a fronte di un illegittimo provvedimento della Pubblica Amministrazione e avvalendosi di quei principi e garanzie costituzionali espresse nelle disposizioni di cui agli artt. 24 e 111 Cost., agisce in giudizio per mezzo di un professionista forense per tutelare il suo diritto inviolabile alla difesa garantito proprio dal richiamato art. 24 cost., e che, altresì ne sopporti l'onere economico per le spese e i dovuti compensi al legale di fiducia, si trovi o meno dinanzi ad una ipotesi di denegata giustizia, in spregio dei predetti principi costituzionali di diritto alla tutela giurisdizionale, e tale da costringerlo in futuro a scegliere di pagare l'illegittima sanzione, pur di non dover sostenere ingenti spese di difesa nel momento in cui il Giudice del gravame, confermando in appello la misura delle spese di causa determinate in primo grado, ritenga congruo un importo così risibile, ed illegittimo, a titolo di spese di lite. 1.1. Le censure, che vanno esaminate congiuntamente data l'innegabile connessione che esiste tra le stesse vanno accolte nei limiti di cui si dirà. Come hanno chiarito le Sezioni Unite di questa Corte di Cassazione, a norma del D.M. 20 luglio 2012, n. 140, art. 41, che ha dato attuazione alla prescrizione contenuta nel D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, art. 9, comma 2, convertito dalla L. 24 marzo 2012, n. 27, le disposizioni con cui detto decreto ha determinato i parametri ai quali devono esser commisurati i compensi dei professionisti, in luogo delle abrogate tariffe professionali, sono destinate a trovare applicazione quando, come nella specie, la liquidazione sia operata da un organo giurisdizionale in epoca successiva all'entrata in vigore del medesimo decreto. Tuttavia, le Sezioni unite di questa Corte hanno specificato che per ragioni di ordine sistematico, e dovendosi dare al citato art. 41 del decreto ministeriale un'interpretazione il più possibile coerente con i principi generali cui è ispirato l'ordinamento, la citata disposizione debba essere letta nel senso che i nuovi parametri siano da applicare ogni qual volta la liquidazione giudiziale intervenga in un momento successivo alla data di entrata in vigore del predetto decreto e si riferisca al compenso spettante ad un professionista che, a quella data, non abbia ancora completato la propria prestazione professionale, ancorché tale prestazione abbia avuto inizio e si sia in parte svolta in epoca precedente, quando ancora erano in vigore le tariffe professionali abrogate. Vero è che il comma 3 del citato art. 9 D.L. n. 1 del 2012, stabilisce che le abrogate tariffe continuano ad applicarsi, limitatamente alla liquidazione delle spese giudiziali, sino all'entrata in vigore del decreto ministeriale contemplato nel comma precedente ma da ciò si può trarre argomento per sostenere che sono quelle tariffe - e non i parametri introdotti da nuovo decreto - a dover trovare ancora applicazione qualora la prestazione professionale di cui si tratta si sia completamente esaurita sotto il vigore delle precedenti tariffe. Ora, nell'ipotesi in esame la liquidazione di cui si tratta è relativa ad un'attività professionale che si è svolta, ed stata completata, sotto il vigore delle tariffe professionali di cui al D.M. n. 127 del 2004 ed era relativa al primo grado di giudizio che si è interamente esaurito, ancor prima dell'entrata in vigore delle nuove tariffe di cui al D.M. 140 del 2012. Pertanto, alla luce del principio espresso dalle Sezioni Unite di questa Corte e appena richiamato, i compensi professionali di cui si dice, andavano liquidati tenendo conto delle tariffe di cui al D.M. 127 del 2004. Irrilevante è il fatto che l'originario opponente abbia impugnato la sentenza lamentando l'errata liquidazione delle spese giudiziali perché il Giudice di appello nel riliquidare i compensi di che trattasi non poteva non tener conto che l'attività era stata svolta sotto il vigore delle precedenti tariffe e, soprattutto, non poteva non tener conto che il criterio per identificare le tariffe da applicare non era quello del tempo della liquidazione, ammesso che la liquidazione effettuata in fase di appello doveva considerarsi come nuova liquidazione, ma del tempo in cui l'attività di che trattavasi si era svolta e completata. In definitiva, il ricorso va accolto nei limiti di cui si è detto, la sentenza impugnata va cassata e la causa va rinviata al Tribunale di Roma nella persona di altro Magistrato anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Roma nella persona di altro Magistrato.