Spetta all’avvocato l’onere di provare in giudizio l’an del proprio credito

In tema di compenso per prestazioni professionali, spetta all’avvocato che agisca per ottenere soddisfacimento di crediti inerenti all’attività asseritamente prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare l’an del credito vantato e l’entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, senza che a tal fine spieghi rilevanza probatoria la parcella predisposta dal professionista nell’ordinario giudizio di cognizione, né assuma rilevanza vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 26065 depositata il 16 dicembre 2016. Il fatto. Il Tribunale territorialmente competente accoglieva con sentenza l’opposizione proposta da dei clienti avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti su ricorso proposto dal loro difensore a titolo di compenso riguardante l’attività professionale svolta allo scopo di favorire l’acquisto da parte degli intimati di un immobile venduto nell’ambito di un’asta giudiziaria. Detto decreto era stato reso su parcella correlata dal parere del Consiglio dell’Ordine di appartenenza del difensore. Successivamente, la Corte d’appello adita rigettava anche il gravame proposto dal professionista negando consistenza ai motivi di appello proposti e concernenti la mancata impugnazione del parere consiliare davanti al giudice amministrativo, la violazione del diritto di difesa perpetrata in danno all’opposto – essendo stata indicata nell’ordinanza notificata una errata data di udienza -, l’errata valutazione delle risultanze probatorie, ed in particolare, della parcella munita di parere del Consiglio dell’Ordine. Il professionista proponeva ricorso per Cassazione articolato in quattro motivi. Il parere del Consiglio dell’Ordine. Gli Ermellini, hanno ritenuto infondati, tra gli altri, il terzo e quarto motivo di ricorso sulla scorta del consolidato orientamento giurisprudenziale di legittimità il quale ritiene che, in tema di compenso per prestazioni professionali, non sia affatto vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza, le cui funzioni devono intendersi limitate al campo amministrativo, essendo sempre riservato al giudice di sindacare la liquidazione anche nel merito, allorchè sia sorta controversia sulla misura dei compensi. Il giudizio di opposizione si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione ed impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa con la conseguenza che il giudice di merito non può assumere come base di calcolo per la determinazione del compenso le esposizioni della sua parcella contestate dal debitore. I Giudici di legittimità ricordano, inoltre, che il parere del Consiglio dell’Ordine attesta unicamente la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata, ma non prova ex se l’effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, giacchè la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta congrua non esclude né inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista. In conclusione. Sulla scorta del sopramenzionato orientamento giurisprudenziale la Corte di legittimità rigettava il ricorso con condanna del ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute per il giudizio di cassazione.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 novembre - 16 dicembre 2016, numero 26065 Presidente Bucciante – Relatore Scarpa Svolgimento del processo Con sentenza del 28 maggio 2003 il Tribunale di Napoli accoglieva l’opposizione proposta da D.C. ed m.a. avverso il decreto ingiuntivo emesso nei loro confronti su ricorso dell’avvocato V.S. , per l’importo di Euro 5.158,22, a titolo di compenso riguardante l’attività professionale svolta allo scopo di favorire l’acquisto da parte degli intimati di immobile venduto in asta giudiziaria. Il decreto ingiuntivo era stato reso su parcella corredata del parere del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli. Con sentenza numero 719/2012 del 29 febbraio 2012 la Corte d’Appello di Napoli ha poi rigettato anche l’appello proposto dall’avvocato V.S. , pronunciando nei confronti di D.C. e degli eredi del defunto m.a. , quali la stessa D.C. , nonché Ma.Anumero , M.A. , M.T. e M.P. . La Corte di Napoli negava consistenza ai motivi di gravame concernenti la mancata impugnazione del parere consiliare davanti al giudice amministrativo la violazione del diritto di difesa perpetrata in danno dell’opposto, essendo indicata nell’ordinanza del 21 febbraio 2003 quale data della successiva udienza il 17 aprile 2002 l’errata valutazione delle risultanze probatorie, ed in particolare della parcella munita di parere del Consiglio dell’Ordine. L’avvocato V.S. ha proposto ricorso per cassazione articolato in quattro motivi, cui resistono con controricorso D.C. , M.A. , M.T. e M.P. , rimanendo intimata senza svolgere attività difensive Ma.Anumero . Motivi della decisione I. Il primo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce l’improcedibilità, inammissibilità e irricevibilità dell’opposizione a decreto ingiuntivo, ai sensi dell’art. 360, nnumero 3 e 5, c.p.c. vista la mancata impugnazione davanti al competente giudice amministrativo del parere di congruità reso dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Napoli il ricorrente richiama in proposito precedenti pronunce di TAR nonché di questa Corte. Il secondo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce, sempre ai sensi dell’art. 360, nnumero 3 e 5, c.p.c., la violazione del diritto di difesa, non avendo egli preso parte all’udienza di prima trattazione, in quanto la data indicata dal giudice per il prosieguo della causa nell’ordinanza del 21 febbraio 2003 relativa all’istanza ex art. 648 c.p.c. era quella del 17/4/2002 . Il terzo motivo del ricorso dell’avvocato V.S. deduce, ancora ai sensi dell’art. 360, nnumero 3 e 5, c.p.c., l’infondatezza nel merito delle sentenze del Tribunale e della Corte d’Appello, avendo i signori M. davanti al Consiglio dell’Ordine di Napoli offerto l’importo di lire 5.000.000 a saldo di tutta l’attività svolta dal legale rispetto al già versato acconto di lire 3.000.000 , sicché essi fino all’inizio della procedura monitoria non avevano mai contestato l’ an della richiesta di compenso ma solo il quantum . Il quarto motivo di ricorso si limita a chiedere la cassazione della sentenza impugnata per violazione dell’art. 360, numero 3 e 5, c.p.c., richiamando la valenza probatoria del parere del Consiglio dell’Ordine quanto all’attività svolta ed alla sussistenza dell’incarico. Anche per questo motivo si citano dal ricorrente le pronunce di alcuni TAR ed una di questa Corte. II. Tutti e quattro i motivi di ricorso rivelano profili di inammissibilità quanto alla denuncia ex art. 360, comma 1, numero 3, c.p.c., giacché tale vizio deve essere dedotto, alla stregua dell’art. 366, comma 1, numero 4, c.p.c., con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate e mediante specifiche argomentazioni intese a dimostrare in quale modo le affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie. III. Quanto alle carenze motivazionali contemporaneamente denunciate, è pregiudiziale l’esame del secondo motivo, il quale si rivela comunque infondato. La Corte d’Appello di Napoli ha sostenuto che fosse evincibile con l’ordinaria diligenza l’errore materiale contenuto nell’ordinanza resa in data 21 febbraio 2003, a scioglimento della riserva di pronuncia assunta all’udienza del 13 febbraio 2003, e che fissava l’udienza di trattazione per il giorno 17/4/2002 . Aggiunge la Corte di merito che il biglietto di cancelleria relativo alla comunicazione di quell’ordinanza recava la corretta data di rinvio del 17/4/2003 e che il difensore dell’opposto avvocato Viglione, avendo ricevuto con congruo anticipo l’avviso, avrebbe potuto effettuare le dovute verifiche per accertare l’errore materiale. Ora, è certo che la comunicazione di un’ordinanza pronunciata fuori udienza ha lo scopo di portare a conoscenza delle parti non soltanto il contenuto del provvedimento, ma anche la data della nuova udienza fissata, sicché ogni omissione al riguardo determina nullità per violazione del principio del contraddittorio cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza numero 12296 del 04/12/1997 . Allorché l’ordinanza non preveda l’udienza per il prosieguo, torna applicabile l’art. 289 c.p.c., che prevede l’integrazione dei provvedimenti istruttori che non contengono la fissazione dell’udienza successiva o del termine entro il quale le parti debbono compiere gli atti processuali, con il conseguente onere della parte di richiedere al giudice l’integrazione del provvedimento mediante indicazione dell’udienza di prosecuzione della causa. Tuttavia, ribadendo quanto da questa Corte affermato a proposito dell’indicazione dell’udienza di comparizione nell’atto di citazione Cass. Sez. 2, Sentenza numero 13691 del 22/06/2011 Cass. Sez. 3, Sentenza numero 11780 del 19/05/2006 , va esclusa ogni violazione del diritto del contraddittorio laddove l’ordinanza resa all’esito di riserva di pronuncia contenga la fissazione dell’udienza per la prosecuzione del giudizio, come nella specie, con data indicante l’anno precedente a quello in cui era stata assunta la riserva stessa risultando, peraltro, nel biglietto di cancelleria correttamente individuato l’anno in corso ai fini dell’individuazione dell’udienza successiva , in quanto si tratta di errore materiale che non rende talmente incerta la data dell’ulteriore corso del giudizio da impedire alla parte, destinataria della comunicazione, di individuare, con un minimo di diligenza e buon senso, la data che si intendeva effettivamente indicare. La riconoscibilità dell’errata indicazione della data dell’udienza successiva con l’uso dell’ordinaria diligenza è, in ogni caso, oggetto di accertamento demandato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, sorretto da adeguata motivazione ed immune da vizi logici e giuridici. IV. Primo, terzo e quarto motivo di ricorso il cui esame congiunto è opportuno per la loro connessione sono, per il resto, del tutto infondati. Il consolidato orientamento di questa Corte ha sempre sostenuto che, in tema di compenso per prestazioni professionali, non è affatto vincolante il parere espresso dal Consiglio dell’ordine di appartenenza, le cui funzioni devono intendersi limitate al campo amministrativo, essendo sempre riservato al giudice di sindacare la liquidazione anche nel merito, allorché sia sorta controversia sulla misura dei compensi. In particolare, nella materia della liquidazione degli onorari degli avvocati, prima della abrogazione delle tariffe professionali ad opera del d.l. 24 gennaio 2012, numero 1 convertito dalla legge 24 marzo 2012, numero 27 , il parere del competente Consiglio dell’Ordine era volto solo ad attestare la conformità in astratto della parcella alla tariffa, senza vincolo per il giudice circa l’effettività della prestazione. Mentre, perciò, ai fini dell’emissione del decreto ingiuntivo a norma dell’art. 636 c.p.c., la prova dell’espletamento dell’opera e dell’entità delle prestazioni può essere utilmente fornita con la produzione della parcella e del relativo parere della competente associazione professionale, tale documentazione non è più sufficiente nel giudizio di opposizione, il quale si svolge secondo le regole ordinarie della cognizione e impone, quindi, al professionista, nella sua qualità di attore, di fornire gli elementi dimostrativi della pretesa, con la conseguenza che il giudice di merito non può assumere come base di calcolo per la determinazione del compenso le esposizioni di detta parcella contestate dal debitore. Spetta, quindi, all’avvocato che agisca per ottenere soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestata a favore del cliente, l’onere di dimostrare l’ an del credito vantato e l’entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, senza che a tal fine spieghi rilevanza probatoria la parcella predisposta dal professionista nell’ordinario giudizio di cognizione Cass. Sez. 3, Sentenza numero 5884 del 17/03/2006 Cass. Sez. 2, Sentenza numero 3627 del 13/04/1999 Cass. Sez. 2, Sentenza numero 1513 del 19/02/1997 . Peraltro, a dimostrare l’infondatezza del primo motivo di ricorso, va osservato come un conto sia affermare che il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari, a norma dell’art. 14, R.D.L. 27 novembre 1933, numero 1578, corrisponde ad una funzione istituzionale dell’organo professionale in vista degli interessi degli iscritti e della dignità della professione, nonché dei diritti degli stessi clienti, e consiste in un atto soggettivamente ed oggettivamente amministrativo autoritativo, che modifica la situazione giuridica precedente avendo effetti costitutivi per il richiedente consentendogli di promuovere la procedura monitoria ex artt. 633 e 636 c.p.c. , e perciò è impugnabile avanti al giudice amministrativo Cass. Sez. U, Sentenza numero 14812 del 24/06/2009 Cass. Sez. U, Sentenza numero 1874 del 27/01/2009 Cass. Sez. U, Ordinanza numero 6534 del 12/03/2008 altro conto è ricordare pur sempre come il parere del consiglio dell’ordine attesta unicamente la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova ex se l’effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, giacché la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta congrua non esclude né inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore Cass. Sez. 2, Sentenza numero 5321 del 04/04/2003 . La Corte d’Appello di Napoli, partendo da tali corrette premesse in diritto, e rilevato come D.C. ed m.a. avessero contestato la prestazione in loro favore dell’attività stragiudiziale dedotta dall’avvocato Viglione, ha osservato come la documentazione prodotta convalidasse l’asserto che l’incarico di consulenza per l’acquisto di una casa alle aste giudiziarie era stato conferito dalla D. e dal M. all’avvocato Maria Rosaria Borrelli, moglie dell’avvocato Viglione, al quale era stato invece affidato incarico per una diversa attività giudiziaria. Alcuna consistenza decisiva a fini probatori la Corte di Napoli attribuiva, poi, all’offerta formulata a titolo transattivo. Nel terzo e nel quarto motivo di ricorso si sollecita questa Corte ad una diversa valutazione delle risultanze delle prove, nonché alla scelta, tra dette risultanze, di altre rispetto a quelle valorizzate dalla Corte d’appello, in quanto ritenute dal ricorrente più idonee a sorreggere la sua tesi difensiva questi argomenti involgono, tuttavia, apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale è libero di attingere il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, assegnando prevalenza all’una o all’altra, senza essere tenuto ad esplicitare, per ognuno dei mezzi istruttori acquisiti, le ragioni per cui lo ritenga più o meno rilevante. V. Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore dei controricorrenti D.C. , M.A. , M.T. e M.P. , mentre Ma.Anumero non ha svolto attività difensive. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare ai controricorrenti le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 1.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.