L'inadeguata attività del professionista non costituisce un danno in sé

La responsabilità professionale non è data dal solo non corretto adempimento della prestazione, ma presuppone la dimostrazione che l'evento produttivo del pregiudizio lamentato sia riconducibile alla condotta del professionista, che un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, che, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, l'esito sarebbe stato diverso e, in particolare per quanto attiene alla professione forense, che l'assistito, secondo criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni. Nel caso specifico, la responsabilità dell'avvocato per mancato rispetto dei termini per proporre opposizione a decreto ingiuntivo sussiste solo ove si dimostri che quell'opposizione, se proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta.

Tale in sintesi il contenuto della sentenza della Corte di Cassazione n. 25895, depositata il 15 dicembre 2016, che ora andiamo ad analizzare più da vicino. Il caso. Un ex-cliente cita in giudizio due avvocati chiedendo il risarcimento del danno subito per il mancato rispetto, da parte di questi, dei termini di opposizione ad un decreto ingiuntivo a lui notificato da parte di una banca. I due professionisti si difendono asserendo secondo quanto riportato in sentenza , l'uno di essersi occupato solo della fase stragiudiziale, l'altro di avere ricevuto l'incarico per l'opposizione unitamente ad una copia del detto decreto priva della relata della notifica derivando dunque da ciò la mancata opposizione nei termini . La domanda viene però respinta in tutti i gradi di giudizio, financo, come vedremo, in cassazione. In particolare, la Corte d'appello assume che incombe al cliente di dar prova del danno subito in conseguenza dell'inadeguata attività dei professionisti, e dunque di dimostrare la fondatezza dell'opposizione a decreto ingiuntivo Cass. n. 25895/16 il decreto ingiuntivo risultava fondato su uno scoperto di conto corrente previamente comunicato al cliente . Inoltre, sempre in appello, vengono respinti, perché tardivamente proposti cioè, per la prima volta in appello i profili di responsabilità attinenti al mancato rispetto dei doveri di informazione e comunicazione da parte della banca creditrice con la conseguente esclusione di tali aspetti dal vaglio della responsabilità degli avvocati. In cassazione il ricorso è affidato a tre motivi il primo afferma che la mancata opposizione a decreto ingiuntivo nei termini lede il diritto costituzionale alla difesa e dunque non vada valutata, come la mancata impugnazione di una sentenza, secondo il criterio della cosiddetta perdita di chance il secondo motivo contesta la sentenza sotto il profilo della insufficiente ed omessa motivazione riguardo alla asserita novità delle eccezioni proposte per la prima volta in appello, mentre con il terzo si censura la mancata considerazione della solidarietà passiva dei due avvocati e ciò, nonostante l'incarico fosse congiunto, essendosi già in primo grado distinte le condotte dei due professionisti per fasi temporali associando ad uno la stragiudiziale, all'altro la giudiziale . No al risarcimento senza prova del danno e del nesso con l'attività inadeguata del professionista. Chiamata, con il caso de quo , a rispondere nuovamente su di un caso di responsabilità professionale, nel caso specifico invocata nei confronti di avvocati, la Corte di Cassazione si riporta al suo consolidato orientamento secondo cui la responsabilità civile del professionista è ravvisabile solo se il cliente ex provi oltre che, ovviamente, l'inadeguata attività del professionista, anche che l'evento produttivo del pregiudizio sia ricollegabile all''inadeguata attività del professionista, il danno ed il nesso tra l'inadeguata attività ed il detto danno e cioè la verifica che, ove la condotta del professionista fosse stata quella dovuta, l'esito sarebbe stato secondo criteri probabilistici più favorevole all'assistito. Il riferimento normativo è, in sentenza, all'art. 1223 c.c. norma sul risarcimento del danno per il ritardo o l'inadempimento nelle obbligazioni , il quale presuppone la prova del danno. Conseguentemente, applicando la norma al caso specifico – in cui si tratta del mancato compimento di un'attività difensiva da cui discende una decadenza a una preclusione, e cioè, in particolare la mancata opposizione nei termini a decreto ingiuntivo - la prova necessaria che la Corte richiede attiene alle probabilità dell'accoglimento che l'opposizione, se vi fosse stata, avrebbe avuto. La prova del nesso di causalità richiede di verificare se, avendo agito il professionista correttamente, le cose sarebbero andate, secondo criteri probabilistici, diversamente se insomma, l'opposizione sarebbe stata vinta, con il conseguente annullamento del decreto ingiuntivo opposto. La valutazione di fatto operata dalla Corte d'appello - sul punto scevra da vizi motivazionali e, dunque, insidacabile in sede di legittimità – è che l'opposizione al decreto ingiuntivo difficilmente sarebbe stata accolta in quanto la pretesa di cui al detto provvedimento appare fondata. Quando al secondo motivo di ricorso, in particolare, la Corte sottolinea come la sentenza di appello abbia respinto, siccome tardiva, l'allegazione di nuovi elementi di fatto la violazione degli obblighi di informazione e di comunicazione da parte della banca creditrice con la motivazione che, introducendo un nuovo tema di indagine, il ricorrente è incorso nella violazione del divieto di domande nuove in appello di cui all'art. 345, comma 1, c.p.c Piuttosto, prosegue la Corte, il ricorrente avrebbe potuto impugnare la sentenza contestando la violazione di norme processuali ex art. 360, n. 4, c.p.c. e, dunque, provocare l'esercizio da parte della Corte del potere-dovere di esaminare direttamente gli atti processuali delle fasi di merito. Infine il terzo motivo è ritenuto inammissibile perché rivolto alla sentenza del Tribunale e non a quella della Corte d'appello, l'unica appellabile in cassazione in presenza di tre gradi di giudizio .

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 17 novembre – 15 dicembre 2016, n. 25895 Presidente Bucciante – Relatore Scarpa Svolgimento del processo A.G. convenne davanti al Tribunale di Milano gli avvocati M.D.C. e C.D.C., perché ne venisse accertata la responsabilità professionale, con conseguente condanna risarcitoria, a causa della mancata tempestiva proposizione dell'atto di opposizione a decreto ingiuntivo emesso nei suoi confronti il 21 giugno 2002 dal Tribunale di Catania su ricorso della Banca Sella s.p.a. e notificatogli il 5 luglio 2002. Si costituivano gli avvocati M.D.C. e C.D.C., il primo sostenendo di aver curato soltanto attività stragiudiziale per conto del G., ed il secondo deducendo di essere stato incaricato nel settembre del 2002 di proporre opposizione al decreto ingiuntivo, del quale aveva ricevuto una copia sprovvista della relata di notifica. C.D.C. chiamava altresì in causa la Unipol S.p.A. per esserne garantito nel caso di accertamento della sua responsabilità professionale. Con sentenza n. 7990/2007 del 26 giugno 2007 il Tribunale di Milano rigettava la domanda dell'attore. A.G. proponeva impugnazione e la Corte d'Appello di Milano, con sentenza n. 3069/2011 del 14 novembre 2011, rigettava il gravame. Assumeva la Corte di Milano che incombeva al G., quale cliente, di dar prova del danno subito in conseguenza dell'inadeguata attività dei professionisti, e dunque di dimostrare la fondatezza dell'opposizione a decreto ingiuntivo. Al riguardo, la Corte d'Appello ha condiviso la motivazione del Tribunale, risultando il decreto ingiuntivo basato su uno scoperto di conto corrente alla data del 19 settembre 2001, segnalato al cliente sin dal giugno - luglio 2001, in conseguenza di perdite per operazioni di trading online. Inammissibili perché nuovi erano ritenuti dalla Corte d'Appello gli ulteriori profili di responsabilità della Banca Sella, e conseguenzialmente degli avvocati M.D.C. e C.D.C., per violazione degli obblighi di informazione e comunicazione, in quanto dedotti solo in secondo grado, essendosi limitata la citazione introduttiva davanti al Tribunale a lamentare unicamente il comportamento dei legali per la tardiva notifica dell'opposizione a decreto ingiuntivo. A.G. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, cui resiste con controricorso la Unipol Assicurazioni S.p.A., rimanendo intimati senza svolgere attività difensiva gli avvocati M.D.C. e C.D.C Il ricorrente ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c. Motivi della decisione 1.11 primo motivo di ricorso di A.G. deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1175, 1176, 2236 c.c. e 24 Cost., allegando che la condotta dell'avvocato che non proponga tempestivo atto di opposizione a decreto ingiuntivo, con conseguente passaggio in giudicato dello stesso, non vada valutata sulla scorta della cosiddetta perdita di chance, analogamente a quanto si fa in ipotesi di mancata impugnazione di una sentenza, trattandosi nel primo caso di lesione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, a prescindere da ogni indagine sul sicuro fondamento dell'azione. Il secondo motivo di ricorso allega il vizio di omessa ed insufficiente motivazione in ordine alla responsabilità degli avvocati M.D.C. e C.D.C. derivante dalla mancata proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo. Si critica in particolare l'asserita novità delle doglianze attinenti i profili di responsabilità che non erano stati affrontati con l'atto di opposizione. Il terzo motivo censura l'applicazione degli artt. 1292 e ss., e 1716 c.c., non essendosi considerata la solidarietà passiva tra M.D.C. e C.D.C., in quanto investiti da incarico congiunto, mentre il Tribunale di Milano aveva erroneamente dissociato la condotta del primo, per la parte stragiudiziale, da quella del secondo, per la parte giudiziale. II. I tre motivi di ricorso, che per la loro connessione possono essere trattati unitariamente, sono evidentemente infondati. Secondo consolidato orientamento di questa Corte, allorchè il cliente deduca, come nella specie, la responsabilità civile del professionista, egli è tenuto a provare non solo di aver sofferto un danno, ma anche che questo è stato causato dall'insufficiente o inadeguata attività del professionista. Pertanto - poiché l'art. 1223 c.c. postula la dimostrazione dell'esistenza concreta di un danno, consistente in una diminuzione patrimoniale - la responsabilità dell'avvocato per l'inesatto o mancato compimento di un'attività difensiva, da cui discenda il verificarsi una decadenza o di una preclusione, quale, nella specie, la mancata proposizione di tempestiva opposizione ad un decreto ingiuntivo, può essere affermata solo se il cliente dimostri che l'opposizione, ove proposta, avrebbe avuto concrete possibilità di essere accolta. La responsabilità risarcitoria dell'avvocato non può, in sostanza, ravvisarsi per il solo fatto del non corretto adempimento della prestazione professionale, occorrendo verificare se l'evento produttivo del pregiudizio lamentato dal cliente sia riconducibile alla condotta del primo, se un danno vi sia stato effettivamente ed, infine, se, ove questi avesse tenuto il comportamento dovuto, il suo assistito, alla stregua di criteri probabilistici, avrebbe conseguito il riconoscimento delle proprie ragioni, difettando, altrimenti, la prova del necessario nesso eziologico tra la condotta del legale, commissiva od omissiva, ed il risultato derivatone cfr. Cass. Sez. 3, Sentenza n. 2638 del 05/02/2013 Cass. Sez. 3, Sentenza n. 22376 del 10/12/2012 Cass. Sez. 2, Sentenza n. 12354 del 27/05/2009 . La Corte d'Appello, con apprezzamento di fatto spettante al giudice di merito e congruamente motivato, e perciò non sindacabile in sede di legittimità, ha affermato che l'atto di opposizione al decreto ingiuntivo notificato ad A.G. su domanda della Banca Sella s.p.a. non rivelava alcuna elevata probabilità di accoglimento, in quanto la pretesa creditoria dell'istituto bancario appariva del tutto fondata. Pertanto, la mancata tempestiva proposizione da parte degli avvocati M.D.C. e C.D.C. di un'opposizione a decreto ingiuntivo destinata ad essere rigettata non può chiaramente costituire un danno in sé. Avendo A.G. avanzato una domanda di risarcimento, assumeva un ruolo decisivo, come correttamente argomentato dalla Corte di Milano, la prova dei danni e dell'eventuale sussistenza del nesso di causalità, gravante sul cliente/attore, rimanendo in secondo piano la dimostrazione del diligente svolgimento della prestazione professionale. Il secondo motivo di ricorso, peraltro, dimostra di non cogliere a pieno la motivazione della Corte d'Appello circa l'inammissibilità per novità dei profili di responsabilità degli avvocati M.D.C. e C.D.C. concernenti la mancata allegazione delle violazioni degli obblighi di informazione e di comunicazione da parte della Banca Sella. La Corte di Milano ha affermato che tali ulteriori inadempienze dei legali non erano state esposte nella citazione di primo grado, la quale si riferiva soltanto alla tardiva notifica dell'opposizione. D'altro canto, si trattava di temi non prospettati davanti al Tribunale neppure ai fini della prognosi di probabile fondatezza dell'opposizione stessa. La sentenza impugnata ha perciò fatto chiaro cenno al divieto di proporre domande nuove nel giudizio di appello art. 345, comma 1, c.p.c. , invero riferibile ad ogni ipotesi in cui la parte introduca nel processo una diversa causa petendi mediante l'allegazione di nuove circostanze di fatto, ciò determinando un mutamento degli elementi materiali del fatto costitutivo dedotto in giudizio e la prospettazione di un nuovo tema di indagine e di decisione. Di tanto il ricorrente avrebbe potuto dolersi in cassazione proponendo, però, idoneo motivo di ricorso ai sensi dell'art. 360, n. 4, c.p.c., ovvero per violazione di norme processuali, così attribuendo alla Corte di cassazione il potere-dovere di procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali delle fasi di merito. Sono, infine, inammissibili le censure rivolte nel terzo motivo di ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Milano, anziché contro quella di appello, oggetto esclusivo del ricorso per cassazione. III.Conseguono il rigetto del ricorso e la regolazione secondo soccombenza delle spese del giudizio di cassazione in favore della controricorrente Unipol Assicurazioni S.p.A., mentre M.D.C. e C.D.C. non hanno svolto attività difensive. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente a rimborsare alla controricorrente Unipol Assicurazioni S.p.A. le spese sostenute nel giudizio di cassazione, che liquida in complessivi € 6.200,00, di cui € 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.