Se all’avvocato si contesta l’an debeatur serve una sentenza, non basta l’ordinanza

C’è una differenza importante tra la contestazione dell’ammontare dell’onorario del difensore e la contestazione dell’esistenza del debito. In un processo dall’ iter molto lungo viene discussa la natura delle pronunce giurisdizionali dei due diversi casi.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 25480/16 depositata il 12 dicembre. Il caso. Un avvocato conveniva in giudizio l’erede di un soggetto per cui aveva svolto prestazioni di assistenza legale, al fine di ottenere il pagamento del corrispettivo. L’accoglimento solo parziale della domanda causava la proposta di appello dell’attore, che lamentava l’erroneità della sentenza di primo grado. Il giudice di seconde cure ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello, in quanto, trattandosi di una controversia il cui thema decidendum era limitato alla semplice liquidazione del compenso dell’avvocato, il procedimento doveva svolgersi secondo il rito camerale. Per di più, il provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado, pur se adottato in forma di sentenza, doveva riconoscersi natura sostanziale di ordinanza , la quale può essere solo impugnata con ricorso straordinario in Cassazione. E così faceva l’avvocato. L’ampliamento del thema decidendum. Il ricorrente lamenta che la Corte di appello era incorsa in error in procedendo perché non aveva considerato che in primo grado l’erede, resistendo alla domanda, aveva in realtà ampliato l'oggetto della decisione, formulando eccezioni d’inammissibilità e infondatezza sul conferimento dell’incarico all’avvocato da parte della defunta mandante . Secondo la Suprema Corte, entrambi i motivi risultano fondati. Non è solo una questione di ammontare. Secondo un orientamento costante della Corte, la pronuncia del giudice che decida anche sui presupposti del diritto al compenso degli avvocati per le prestazioni giudiziali in materia civile, e non invece esclusivamente sulla determinazione dell’ammontare degli onorari, può essere impugnata solo a mezzo di appello, e non con il ricorso per cassazione, trattandosi di questioni di merito la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione . Tanto è vero che il convenuto del primo grado di giudizio aveva contestato addirittura l’esistenza del debito nei confronti dell’avvocato. Per questo motivo, la Corte decide di accogliere il ricorso, cassando la sentenza e rinviandola alla Corte d’appello in diversa composizione. Il cd. principio di apparenza . Da ultimo, come riportato nella sentenza in commento, la Corte di Cassazione cita la sentenza n. 390/11 delle Sezioni Unite, nella quale si chiarisce che l’individuazione del mezzo di impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale dipende dalla qualificazione che ne ha dato il giudice che l’ha adottato, indipendentemente dall’esattezza o meno di tale qualificazione cd. principio di apparenza .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 10 maggio – 12 dicembre 2016, numero 25480 Presidente Petitti – Relatore D’ascola Fatto e diritto 1 Con atto di citazione notificato in data 20.11.03, l'avv. G.G. conveniva in giudizio V.P. per ottenere il pagamento del corrispettivo dovuto per aver svolto prestazioni di assistenza legale in favore della sua dante causa sig.ra L., alla cui morte erano divenuti eredi P.R. e P.V., dei quali solo quest'ultimo non aveva provveduto al pagamento della propria quota. Il Tribunale di Pescara, con sentenza numero 613/2006, emessa in data 1.3.2006, accoglieva parzialmente la domanda proposta dall'attore e condannava il convenuto al pagamento del corrispettivo dovuto. L'avv. G. ha proposto appello avverso tale sentenza, lamentandone l'erroneità. L'appellato ha resistito alla domanda. 2 La Corte di appello di l'Aquila, con sentenza numero 1155/2011 emessa in data 12.7.2011 e depositata il 30 novembre 2011, ha dichiarato l'inammissibilità dell'appello, in quanto il thema decidendum della controversia era limitato, nella sostanza, alla liquidazione del compenso dovuto per le prestazioni professionali rese nell'ambito di un giudizio civile avente ad oggetto la risoluzione di un contratto di comodato, sicché, nel caso di specie, il procedimento doveva svolgersi secondo il rito camerale previsto dagli artt. 29 e 30 della L.794/42, e deciso in camera di consiglio con ordinanza non impugnabile. Da ciò, sempre secondo il giudice di appello, benché il professionista avesse fatto ricorso al rito ordinario, al provvedimento conclusivo, pur se adottato nella forma di sentenza, doveva riconoscersi natura sostanziale di ordinanza, impugnabile solo con ricorso straordinario in cassazione. 3 Il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione, articolato su due motivi, notificato il 10 gennaio 2013. Il resistente non ha svolto attività difensiva. Il giudice relatore ha avviato la causa a decisione con il rito previsto per il procedimento in camera di consiglio. Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 323 e 339 c.p.c., e dell'articolo 30 L.794/42, in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 3, c.p.c. . Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente lamenta l'error in procedendo, e la violazione dell'articolo 112 c.p.c. in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 4, c.p.c. . I due motivi possono essere trattati congiuntamente. 3.1 Secondo la tesi del ricorrente, la Corte di appello, nel rilevare che l'oggetto della controversia era limitato al compenso dovuto per le prestazioni giudiziali rese dal professionista, non aveva considerato che il convenuto, nel resistere alla domanda in primo grado, aveva ampliato il thema decidendum, formulando eccezioni d'inammissibilità e infondatezza sul conferimento dell'incarico all'avvocato da parte della defunta mandante. Nel fare ciò, il giudice era incorso in un errore processuale, che lo aveva portato a qualificare il provvedimento conclusivo del giudizio di primo grado come ordinanza non impugnabile ex articolo 30, L. 794/42, e, in quanto tale, ricorribile ex articolo 111 Cost., anziché come sentenza appellabile. Per conseguenza, il giudice aveva omesso di pronunciarsi sull'impugnazione. 3.2 Entrambi i motivi risultano fondati. Secondo quanto stabilito da una costante giurisprudenza, in tema di compensi per le prestazioni giudiziali degli avvocati in materia civile, il provvedimento con cui il giudice adito, a conclusione di un processo iniziato ai sensi degli artt. 28 e seguenti della legge 13 giugno 1942, numero 794, non si limiti a decidere sulla controversia tra l'avvocato ed il cliente circa la determinazione della misura degli onorari, ma pronunci anche sui presupposti del diritto al compenso, relativi all'esistenza e alla persistenza del rapporto obbligatorio , può essere impugnato con il solo mezzo dell'appello e non invece con il ricorso per cassazione trattandosi di questioni di merito, la cui cognizione non può essere sottratta al doppio grado di giurisdizione Cass. 21554/2014 1666/2012 13640/2010 960/2009 . Nella comparsa di costituzione del P. depositata nel 2003 , quale risulta dagli atti, il convenuto aveva eccepito l'inammissibilità della pretesa del professionista, per carenza di legittimazione passiva, sul rilievo della particolare coesistenza nel convenuto medesimo del duplice ruolo di erede legittimo della defunta mandante e di soggetto terzo risultato vittorioso nel giudizio esperito nei confronti della mandante medesima. Il convenuto aveva eccepito inoltre l'inammissibilità della pretesa creditoria per le prestazioni successive alla morte della mandante, stante l'estinzione del mandato conseguente all'evento morte. Ciò risulta ribadito in conclusionale. Sulla base degli atti difensivi, risulta quindi che il convenuto non si era limitato a far valere in giudizio questioni attinenti le sole tariffe forensi, ma aveva contestato anche l'esistenza del rapporto obbligatorio. Per conseguenza, la scelta - compiuta dal Giudice di appello - di assoggettare l'intero procedimento al rito camerale, in quanto il provvedimento conclusivo del giudizio in primo grado pur essendo stato emesso in forma di sentenza avrebbe integrato una sostanziale ordinanza, contrasta con l'eccezione - per la quale si applica il rito ordinario - nella quale l'opponente ha contestato i presupposti stessi del diritto al compenso con ampliamento del thema decidendum. Secondo quanto stabilito dalle Sezioni Unite, l'adozione da parte del giudice di primo grado di quella determinata forma del provvedimento decisorio rectius sentenza risulta, quindi, il frutto di una implicita, ma inequivoca, opzione per il rito ordinario, in considerazione della quale scelta, il provvedimento, ai fini dell'impugnabilità, va considerato formalmente e sostanzialmente un'ordinaria sentenza, come tale appellabile secondo le regole generali SU Cass. 390/2011 . La Corte di appello avrebbe quindi dovuto comunque decidere sulla impugnazione. 2.2 Le Sezioni Unite, con la sentenza sopra richiamata, hanno inoltre chiarito l'operare del cd. principio di apparenza, in base al quale l'individuazione del mezzo d'impugnazione esperibile contro un provvedimento giurisdizionale va fatto in base alla qualificazione data dal giudice, con il provvedimento impugnato, alla controversia e alla decisione, a prescindere dalla sua esattezza. Al fine di accertare se quella determinata forma del provvedimento decisorio sia stata o meno il risultato di una scelta consapevole, va attribuita decisiva rilevanza alle concrete modalità con le quali si è svolto il procedimento. Nel caso di specie, il giudizio è stato trattato, nel suo lungo iter, nelle forme di un ordinario procedimento contenzioso civile, secondo prassi del tutto incompatibili con la concentrazione e semplicità di forme caratterizzanti i procedimenti camerali. Pertanto, sulla base delle modalità di gestione del processo, coerentemente alle quali la decisione fu assunta in forma di sentenza, il Giudice di appello, nel pronunciare l'inammissibilità ha erroneamente qualificato l'intero procedimento, ritenendolo assoggettabile a rito camerale, e, di conseguenza, il provvedimento conclusivo dello stesso, incorrendo in un errore processuale. Tale errore ha determinato l'omessa pronuncia sull'impugnazione, sicchè in esito all'eventuale accoglimento del ricorso la causa va rinviata al Giudice di appello per la relativa pronuncia. Queste considerazioni, contenute nella relazione preliminare, non sono state contestate dalle parti. Il Collegio le condivide e fa proprie. La sentenza impugnata va quindi cassata e la causa rimessa alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di L'Aquila, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese di questo giudizio.