Tra moglie e marito non mettere il dito… ma una sentenza si

Se il motivo indicato nel ricorso per cassazione è fondato su una causa petendi differente dalle domande di merito svolte detto è inammissibile. Orbene nel caso in esame il ricorso deve essere dichiarato inammissibile in quanto nel giudizio di merito la parte istante aveva svolto una domanda tesa ad ottenere il pagamento di un compenso per l’attività di recupero crediti svolta mentre nel ricorso per cassazione si lamentava del fatto che la parte avesse incassato le spese senza poi restituirle all’avvocato.

La fattispecie. Tra moglie e marito non mettere il dito ma una sentenza si. Nel caso in esame il marito aveva convenuto in giudizio la moglie chiedendo la condanna della stessa al pagamento di una somma relativa all’attività di recupero credito esperita nel suo interesse. Mentre il Giudice di pace aveva rigettato l’opposizione al decreto ingiuntivo il Tribunale, in totale riforma della sentenza, aveva revocato l’ingiunzione asserendo che tra i coniugi opera il principio della gratuità delle prestazioni, anche professionali, a prescindere dal regime patrimoniale prescelto. Tale presunzione può essere superata da idonea prova contraria ma, nel caso in esame, l’aver richiesto il pagamento della parcella solo dopo il giudizio di separazione confermava la gratuità della prestazione. Se il motivo ha una diversa causa petendi è inammissibile. Sarebbe stato interessante che la Corte si potesse esprimere sul principio in diritto sulla gratuità delle prestazioni fra coniugi ma il ricorrente, non si sa per quale motivo, nel proporre ricorso per cassazione ha precisato che la parte avrebbe trattenuto le somme percepite come spese legale unitamente all’importo capitale, con conseguente diritto del professionista di restituzione. Orbene, a dire della Corte, il decreto ingiuntivo, corredato financo di parere dell’Ordine, aveva ad oggetto la pretesa creditoria maturata a fronte delle prestazioni professionali che deve considerarsi differente dalla domanda di restituzione di somme incassate dal terzo e, pertanto, la Corte ha dichiarato il motivo inammissibile. Se la domanda viene integralmente rigettata . La Corte, inoltre, tenuto conto che il ricorso è stato proposto dopo il 30 gennaio 2013, ha precisato che sussistono i presupposti di legge per l’applicazione della sanzione del pagamento del doppio del contributo unificato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 26 ottobre – 30 novembre 2016, n. 24438 Presidente Bucciante – Relatore Giusti Fatti di causa 1. - Avanti al Giudice di pace di Rimini l’Avv. B.A. si opponeva al decreto ingiuntivo n. 2486/2007, emesso nei suoi confronti per il pagamento, a favore dell’Avv. G.G. , della somma di Euro 700,19, oltre interessi e spese liquidate, sostenendo che il compenso professionale preteso dal G. , marito dell’opponente e contitolare dello studio professionale associato G. & amp B. , per l’opera prestata nella pratica di recupero crediti instaurata nei confronti di tale R.S. , non gli era dovuto che infatti, considerato il rapporto coniugale in essere tra il G. e la B. , il primo aveva fin dall’inizio rinunciato al pagamento di ogni compenso nei confronti della seconda. All’udienza di prima comparizione si costituiva G.G. , deducendo di non avere mai rinunciato ai propri compensi professionali. L’adito Giudice di pace, con sentenza n. 85/2011, decidendo secondo equità ai sensi dell’art. 113, secondo comma, cod. proc. civ., rigettava l’opposizione, rilevando che non sussiste alcuna presunzione generale di gratuità delle prestazioni professionali rese tra marito e moglie, operante solo in materia di lavoro subordinato e non professionale, e che non v’era prova che fosse intervenuto in concreto un accordo di gratuità delle prestazioni professionali rese tra i coniugi. 2. - Il Tribunale di Rimini, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 20 febbraio 2013, in totale riforma della sentenza impugnata, ha revocato il decreto ingiuntivo, ha condannato il G. a restituire alla B. quanto ottenuto in forza del decreto ingiuntivo revocato e ha condannato il G. alla rifusione delle spese processuali, liquidate in Euro 2.200 per il primo grado ed in Euro 1.500 per il secondo grado. 2.1. - Il Tribunale ha osservato che il decreto ingiuntivo è stato emesso sulla base di una parcella corredata dal parere del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Rimini per l’importo di Euro 561,60, relativa a prestazioni professionali svolte per l’emissione di un atto di precetto contro R.S. e, pertanto, non per imporre alla B. la restituzione di quanto questa avesse già incassato a titolo di spese legali dalla R. pari a lire 670.185 . Premesso in fatto che le prestazioni professionali sono state eseguite dall’Avv. G. a favore della propria moglie, il Tribunale ha rilevato che tra coniugi opera il principio di gratuità delle prestazioni, quand’anche professionali, indipendentemente dal regime di comunione o di separazione da essi prescelto. La presunzione di gratuità delle prestazioni rese in ambito familiare - ha proseguito il Tribunale - non è stata superata da idonea prova contraria anzi, l’esistenza di un rapporto associativo oltre che di coniugio e l’avere il G. atteso la causa di separazione personale per rivendicare il pagamento della prestazione professionale, sono circostanze che depongono a favore della originaria gratuità della prestazione. 3. - Per la cassazione della sentenza del Tribunale il G. ha proposto ricorso, con atto notificato il 19 giugno 2013, sulla base di due motivi. L’intimata ha resistito con controricorso. Ragioni della decisione 1. - Con il primo mezzo violazione ed errata applicazione dell’art. 230-bis cod. civ. il ricorrente si duole che il Tribunale di Rimini abbia applicato l’art. 230-bis cod. civ., o quanto meno la presunzione di gratuità del lavoro prestato in ambito professionale, ad una fattispecie del tutto estranea a tale presunzione. Infatti il G. avrebbe chiesto la restituzione di una somma incassata dalla B. e corrisposta da tale R.S. a titolo di pagamento delle spese e delle competenze legali dovute ad esso avvocato a motivo della soccombenza in una procedura esecutiva. Il fatto che la procedura esecutiva fosse stata effettuata su mandato della B. , per il recupero di un suo credito professionale, non sposterebbe i termini della questione di diritto che - si assume - investe la pretesa di un coniuge di trattenere per sé somme affidatele da altri a titolo di pagamento di attività lavorativa svolta dal marito. Ad avviso del ricorrente, la presunzione di gratuità non potrebbe essere estesa fino a ricomprendere quanto pagato da terzi con imputazione del pagamento alla remunerazione del lavoro prestato dal professionista in una procedura in cui il familiare era parte processuale. 1.1. - Il motivo è inammissibile perché la violazione e falsa applicazione dell’art. 230-bis cod. civ. è prospettata in relazione ad una causa petendi diversa rispetto quella accertata dal giudice del merito. Il Tribunale ha infatti rilevato che la somma di denaro richiesta con il ricorso per decreto ingiuntivo, sulla base di una parcella corredata dal parere di congruità del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Rimini, riguarda il pagamento di prestazioni professionali eseguite dall’Avv. G. a favore della moglie per l’emissione di un atto di precetto contro R.S. . Il Tribunale ha altresì escluso che il decreto ingiuntivo sia stato richiesto per ottenere dalla B. la restituzione di quanto costei avesse già incassato a titolo di spese legali dalla R. . La denuncia di violazione di legge è articolata sul presupposto che l’Avv. G. abbia chiesto la restituzione della somma incassata dalla B. a corrisposta dalla R. a titolo di pagamento delle spese e delle competente legali e quindi ipotizzando una causa petendi restitutoria diversa da quella ricostruita dal giudice del merito nell’interpretare la domanda giudiziale. È pertanto non pertinente l’impostazione del motivo di ricorso, tutto centrato sul rilievo che la questione controversa atterrebbe alla pretesa della moglie di trattenere per sé somme a lei corrisposte da altri a titolo di pagamento dell’attività professionale svolta, in favore dell’accipiens, dal marito avvocato. 2. - Il secondo motivo lamenta violazione ed errata applicazione di norme di diritto processuale. Si premette che il G. ha regolarmente provato che la B. ha incassato e trattenuto l’intera somma pagata dalla R. con unico assegno, comprensiva del capitale e delle spese legali. La B. non avrebbe negato né contestato questo fatto, sollevando sul punto eccezioni di altra natura, peraltro sfornite di prova e destituite di fondamento. Il Tribunale avrebbe omesso di uniformarsi al principio secondo cui il creditore, nonostante la proposizione dell’opposizione da parte del debitore, può ugualmente richiedere una pronuncia sulla propria pretesa creditoria, ed il giudice ha l’obbligo di pronunciare anche sulla fondatezza del merito della domanda, accogliendola nel caso in cui sia raggiunta la prova del credito vantato. D’altra parte - si ricorda - nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo l’accoglimento della domanda dell’ingiungente creditore si presenta del tutto indipendente dalla validità, sufficienza e regolarità degli elementi in base ai quali sia stato emesso il decreto ingiuntivo. Non avendo la B. negato il fatto di avere incassato anche quanto dovuto dal G. per spese anticipate ed attività lavorativa professionale erogata nel procedimento esecutivo contro R.S. , su tale fatto il Tribunale avrebbe dovuto pronunciare. 2.1. - Il motivo è inammissibile per genericità. Il ricorso non solo non indica quali sarebbero le norme processuali violate, ma soprattutto fonda l’error in procedendo muovendo da presupposti in punto di fatto il G. ha regolarmente provato che la B. ha incassato e trattenuto l’intera somma pagata dalla R.S. con unico assegno, comprensiva del capitale e delle spese legali la B. non ha negato né contestato questo fatto la B. non ha negato il fatto di avere incassato anche quanto dovuto al G. che non trovano riscontro nel testo della sentenza impugnata. 3. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo. Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è respinto, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione integralmente rigettata. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 1.200, di cui Euro 1.000 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.