Il mandato conferito all’avvocato dal consorte può essere qualificato come negotiorum gestio

Il compimento di un’attività negoziale in favore d’un soggetto che versi in situazione di incapacità naturale anche transitoria , va qualificato, ricorrendo l’ulteriore requisito dell’utilità iniziale della gestione utiliter coeptum , come gestione di affari negotiorum gestio la quale, a sua volta, è rappresentativa o non rappresentativa, secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio.

In quest’ultimo caso, atteso che la gestione d’affari costituisce un’ipotesi particolare di mandato, legittimato attivamente a ripetere nei confronti dell’ accipiens il pagamento indebito eseguito nomine proprio dal gestore è anche del soggetto gerito, in base all’art. 1705 c.c., che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato. È quanto chiarito dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 22302/16 depositata il 3 novembre. La fattispecie. Nel caso in esame il marito, a seguito di un gravissimo incidente subito dalla moglie, aveva incaricato, nell’interesse della propria consorte, il legale al fine di ottenere il ristoro del nocumento patito dalla precitata la quale era momentaneamente incapace di intendere e volere. Tuttavia, una volta ultimata la vicenda, l’attrice aveva radicato un azione contro l’avvocato per ripetizione dell’indebito in quanto l’importo della parcella saldata era di gran lunga superiore alla somma liquidata dal magistrato in sentenza. La Corte d’appello, confermando la sentenza del Tribunale di prime cure con il quale era stata rigettata la domanda, asseriva che la legittimazione a richiedere la ripetizione dell’indebito spettava solamente a che, effettivamente, aveva effettuato il pagamento escludendo, in tal modo, che il marito fosse un mero adiectus solutionis causa . La negotiorum gestio. La Corte di legittimità, in primo luogo, preso atto del mandato conferito dal marito all’avvocato nell’interesse della moglie, ha qualificato tale atto come una negotiorum gestio stante la sussistenza di tutti i presupposti indicati dall’Ordinamento impedimento dell’interessato, consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui in assenza di un obbligo giuridico, la mancanza di una prohibitio domini e l’utilità iniziale della gestione. Più precisamente l’impedimento deve essere inteso come la situazione di chi non è in grado di provvedere all’affare comprendendo, in tal modo, ogni ipotesi di impedimento oggettivo e soggettivo, contingibile o permanente del soggetto gerito e, pertanto, anche l’incapacità naturale come nel caso in esame. Legittimazione attiva del soggetto gerito sussistenza. Stante quanto argomentato la Corte di legittimità ha asserito che la legittimazione a richiedere l’indebito non compete soltanto al solvens , come affermato dal Giudice di merito, ma anche al soggetto per conto del quale questi abbia pagato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 22 giugno – 3 novembre 2016, n. 22302 Presidente Bucciante – Relatore Manna Svolgimento del processo P.R. agiva in giudizio innanzi al Tribunale di Palermo contro l’avv. G.S. , in ripetizione di indebito. A base della domanda deduceva che suo marito, L.N. , aveva incaricato l’avv. G. di difenderla in una causa di risarcimento del danno da incidente stradale, e che questi aveva riscosso da lui un onorario di lire 161.487.000, di gran lunga superiore a quello di lire 7.398.500, liquidato in sede giudiziale. Chiedeva, pertanto, che il convenuto fosse condannato a restituire la differenza percepita. L’avv. G. resisteva in giudizio assumendo che il compenso era stato commisurato all’attività svolta e era conforme all’accordo con il marito della P. , del quale chiedeva ed otteneva la chiamata in causa insieme con quella di L.S. , figlio di questi ultimi. I due chiamati nel costituirsi in giudizio protestavano la loro estraneità alla causa. In particolare, L.N. confermava di aver incaricato l’avv. G. affinché promuovesse la domanda giudiziale di risarcimento dei danni subiti dalla moglie e di aver pagato a detto legale la somma di cui il coniuge aveva domandato la restituzione. La domanda era respinta sia in primo che in secondo grado, con condanna anche dei terzi chiamati alle spese, in solido con l’attrice. In particolare la Corte d’appello di Palermo con sentenza n. 880/11 rilevava che legittimata attivamente all’azione di ripetizione d’indebito era soltanto la parte cui fosse riferibile il pagamento non dovuto. Soggetto che, nel caso di somme corrisposte a titolo di corrispettivo d’un contratto d’opera professionale, era colui il quale aveva conferito l’incarico al professionista, e dunque, nella specie, L.N. . Egli, infatti, nella propria comparsa di risposta aveva precisato di aver incaricato l’avv. G. della difesa della moglie, poiché quest’ultima all’epoca non era in grado d’intendere e di volere a causa delle gravi lesioni riportate nell’incidente. Infine, escludeva che il marito dell’attrice potesse considerarsi un mero adiectus solutionis causa nell’interesse di lei, sia che avesse assunto la veste di terzo adempiente dell’obbligazione altrui, sia che avesse assunto quella di cliente dell’avvocato. Per la cassazione di quest’ultima pronuncia P.R. e L.N. e S. propongono ricorso, affidato a quattro motivi, successivamente corredati da memoria. Resiste con controricorso l’avv. G.S. . Motivi della decisione 1. - Il primo motivo di ricorso censura come omessa, insufficiente o contraddittoria la motivazione della sentenza impugnata, sostenendo che erroneamente la Corte territoriale abbia considerato la P. come soggetto terzo rispetto al rapporto di prestazione d’opera il secondo deduce, del pari, il vizio motivazionale sul fatto che il pagamento eseguito dal marito dell’attrice non avrebbe avuto efficienza nei confronti di lei, ed aggiunge la censura di violazione dell’art. 1388 c.c. anche il terzo mezzo lamenta l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione sulla legittimazione dell’attrice, ma deduce, in particolare, che l’azione di ripetizione d’indebito compete non solo al solvens ma anche a colui al quale è stata sottratta la disponibilità dell’oggetto prestato infine, il quarto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 360, n. 3 per l’omessa motivazione in ordine alla mancata applicazione delle tariffe forensi , nonché la mancata restituzione delle somme pretese e la violazione e falsa applicazione del codice deontologico forense , in quanto dagli atti di causa non risulta che L.N. abbia pattuito alcun compenso con l’avv. G. . 2. - I primi tre motivi, da esaminare congiuntamente perché interdipendenti e in buona sostanza iterativi, sono fondati nei limiti e nei termini che seguono. 2.1. - Pacifica e ad ogni modo esatta è la qualificazione dell’azione esercitata come ripetizione d’indebito oggettivo art. 2033 c.c. . poiché in causa si discute d’un pagamento sovradimensionato rispetto alla causa debendi . Controversa, invece, la legittimazione attiva. Quest’ultima nell’azione di ripetizione d’indebito compete certamente al solvens ma se questi ha agito nell’interesse di un mandante, ne abbia speso o non il nome, il pagamento è da imputare al mandante stesso non solo nel rapporto interno di mandato, ma anche all’esterno verso l’ accipiens . Tale imputazione, del tutto ovvia ai sensi dell’art. 1388 c.c. nel caso di mandato con rappresentanza, ricorre anche nell’ipotesi di rappresentanza c.d. indiretta, atteso che ai sensi dell’art. 1705, cpv., c.c., il mandante, sostituendosi al mandatario, può esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato salvo che ciò possa pregiudicare i diritti attribuiti al mandatario, prosegue la norma . 2.1.1. - Orbene, le regole del mandato sono applicabili non soltanto in presenza del relativo contratto ovvero di altra fattispecie negoziale a questo riconducibile, ma anche in ogni altra ipotesi, incluse le obbligazioni ex lege , che si dispiegano nell’ambito della medesima cornice giuridica. Tra queste, la negotiorum gestio , che pacificamente può essere rappresentativa o non rappresentativa, secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio. La riconduzione della gestione d’affari allo schema del mandato, oltre ad essere affermata dalla dottrina unanime sulla base delle origini dell’istituto sorto appunto per consentire l’estensione della disciplina del mandato ai casi in cui mancava un incarico espresso da parte del dominus , riposa sui dati positivi dell’art. 2030, 1 comma, c.c., secondo cui il gestore è soggetto alle stesse obbligazioni che deriverebbero da un mandato dell’art. 2031, 1 comma c.c., il quale nel disporre che qualora la gestione sia iniziata utilmente, l’interessato deve adempiere le obbligazioni che il gestore ha assunto in nome di lui, e deve tenere indenne il gestore di quelle assunte in nome proprio, rimborsandogli le spese necessarie o utili, con gli interessi dal giorno in cui sono state fatte, espressioni, queste, che ricalcano quelle degli artt. 1719 e 1720 c.c. e dell’art. 2032 c.c., per cui la ratifica dell’interessato produce, relativamente alla gestione, gli effetti che sarebbero derivati da un mandato, anche se la gestione è stata compiuta da persona che credeva di gestire un affare proprio. Ed ha trovato esplicita affermazione nella giurisprudenza di questa Corte, allorché è stata qualificata come gestione d’affari non rappresentativa la locazione della cosa comune da parte di uno dei comproprietari v. Cass. S.U. n. 11135/12 . I presupposti della gestione d’affari sono, com’è noto, l’impedimento dell’interessato, la consapevolezza del gestore di curare un interesse altrui in assenza di un obbligo giuridico a provvedervi, la mancanza di una prohibitio domini e l’utilità iniziale della gestione. In particolare, l’impedimento non va limitato all’ipotesi tradizionale della vera e propria absentia domini ormai irrealistica nei suoi termini primigeni, dato lo sviluppo delle comunicazioni , né richiede necessariamente un’impossibilità oggettiva o soggettiva di curare i propri interessi, ma deve essere inteso in coerenza con la lettera della legge, ossia quale situazione di chi non è in grado di provvedere all’affare art. 2028, 1 comma c.c. . Essa comprende, dunque, ogni ipotesi d’impedimento oggettivo o soggettivo, contingibile o permanente, in cui versi il soggetto gerito, inclusa l’incapacità naturale, che anzi ne costituisce un’ipotesi paradigmatica. Non solo, ma la giurisprudenza di questa Corte è pervenuta ad ampliare il requisito in parola, fino ad intenderlo quale semplice mancanza di un rapporto giuridico in forza del quale il gestore sia tenuto ad intervenire nella sfera giuridica altrui, ovvero quale forma di spontaneo intervento senza opposizione o divieto del dominus Cass. nn. 12280/07 e 12304/11 in senso conforme, per il caso d’ingerenza espressamente o tacitamente non rifiutata, v. Cass. n. 9269/08 . 2.1.2. - Nello specifico, la sentenza impugnata ha accertato che L.N. conferì all’avv. G. l’incarico professionale di tutelare i diritti della moglie perché quest’ultima, a causa delle lesioni riportate nel sinistro stradale. versava in condizioni d’incapacità d’intendere e di volere v. pag. 5 . Si tratta, dunque, di una fattispecie che - così come accertata dalla Corte di merito - deve qualificarsi senz’altro come gestione d’affari non rappresentativa essendo irrilevante la spendita del nome ove l’agire per altri non operi su base volontaria sull’incompatibilità tra art. 1388 c.c. e rappresentanza non volontaria, cfr. Cass. n. 4261/74 . L’errore in cui è incorsa la Corte territoriale risiede, allora, nel non aver qualificato tale presupposto di fatto, avendone apprezzato la sola ricaduta ai fini dell’individuazione delle parti del contratto d’opera professionale. E a causa di ciò i giudici d’appello non hanno considerato che la ripetizione d’indebito compete non solo al solvens ma anche al soggetto per conto del quale questi abbia pagato. 3. - L’accoglimento dei suddetti motivi assorbe l’esame del quarto mezzo d’annullamento, peraltro avente ad oggetto una questione il quantum del corrispettivo dovuto che nella sentenza d’appello è rimasta assorbita dal ritenuto difetto di legittimazione attiva della P. . 4. - La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo, che nel rinnovare il proprio esame di merito si atterrà ai seguenti principi di diritto, che si formulano ex art. 384, 1 comma c.p.c. il compimento di un’attività negoziale in favore d’un soggetto che versi in situazione di ancorché transitoria incapacità naturale, va qualificato, ricorrendo l’ulteriore requisito dell’utilità iniziale della gestione utiliter coeptum , come gestione di affari negotiorum gestio la quale, a sua volta, è rappresentativa o non rappresentativa, secondo che il gestore agisca in nome del gerito o in nome proprio. In quest’ultimo caso, atteso che la gestione d’affari costituisce un’ipotesi particolare di mandato, legittimato attivamente a ripetere nei confronti dell’ accipiens il pagamento indebito eseguito nomine proprio dal gestore è anche il soggetto gerito, in base all’art. 1705, cpv. c.c., che consente al mandante, sostituendosi al mandatario, di esercitare i diritti di credito derivanti dall’esecuzione del mandato . 4.1. - Al giudice di rinvio è rimessa, ai sensi dell’art. 385, 3 comma c.p.c., anche la statuizione sulle spese del presente giudizio di cassazione, nell’ambito del complessivo regolamento delle spese dell’intero giudizio. P.Q.M. La Corte accoglie i primi tre motivi, assorbito il quarto, cassa la sentenza impugnata con rinvio anche per le spese del giudizio di cassazione ad altra sezione della Corte d’appello di Palermo.