Chi ha l’obbligo di pagare la parcella dell’avvocato?

Obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo.

Lo ha ricordato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19416, depositata il 30 settembre 2016. Il fatto. La controversia arrivata davanti alla Corte di Cassazione trae origine dal mancato pagamento da parte di un avvocato delle competenze professionali maturate per l’attività svolta da un altro avvocato. Si difese il convenuto negando di aver conferito l’incarico direttamente all’avvocato e chiese di chiamare in causa l’amministratore delle società che aveva conferito l’incarico professionale. Il giudice di pace, dichiarava il difetto di legittimazione passiva del terzo chiamato e accoglieva la domanda dell’attore. Decisione che veniva confermata dal Tribunale. Il ricorrente in Cassazione propone tre motivi di ricorso con i quali lamenta, sotto diversi profili, una errata valutazione delle prove da parte del giudice di merito. Compenso professionale I Giudici di legittimità premettono che, obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l’opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell’interesse di un terzo . In tal ipotesi, dunque, la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l’opera professionale. È, quindi, necessario stabilire in concreto se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio, o invece da altro soggetto che abbia perciò assunto a proprio carico l’obbligo del compenso. chi ha l’obbligo di corrisponderlo? Infatti, osserva la Corte, non è infrequente che una parte, la quale debba essere rappresentata e difesa in un giudizio destinato a svolgersi in una città diversa da quella della propria residenza, non conoscendo legali di quel foro, si rivolga ad un professionista della propria città, e che sia poi quest'ultimo a metterla in corrispondenza con un legale del foro ove deve aver luogo il processo, al quale la parte conferisce il mandato ad litem . Quindi è possibile che la parte abbia inteso intrattenere un rapporto di clientela unicamente con il professionista che già conosceva, ed abbia conferito al legale dell'altro foro soltanto la procura tecnicamente necessaria all'espletamento della rappresentanza giudiziaria sicché il mandato di patrocinio in favore di quest'ultimo non proviene dalla parte medesima, bensì dal primo professionista, che ha individuato e contattato il legale del foro della causa e sul quale graverà perciò l'obbligo di corrispondere il compenso . Ma può anche verificarsi, continuano i Giudici, che la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio oltre che la procura ad litem . Ed è evidente che, in siffatta ipotesi, è appunto la parte ad essere tenuta al pagamento del compenso professionale, e non invece il primo legale . L’accertare, caso per caso, in quale ipotesi ci si trovi, conclude il Collegio, integra una questione di fatto, rimessa come tale alla valutazione del giudice di merito e, se decisa con adeguata e logica motivazione, si sottrae ad ogni possibile vaglio di legittimità. Nel caso di specie, la sentenza ha analizzato correttamente il materiale probatorio acquisito giungendo alla conclusione che il mandato di domiciliatario all’avvocato attore sia stato conferito dall’avvocato convenuto con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano dei compensi. Per tali ragioni, la S.C. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 27 maggio – 30 settembre 2016, n. 19416 Presidente Amendola – Relatore Pellecchia Svolgimento del processo 1. La presente controversia trae origine dal mancato pagamento da parte dell'avvocato M. delle competenze professionali maturate per l'attività svolta dall'avvocato T Si difese il convenuto negando di aver conferito l'incarico direttamente all'avvocato T. e chiese di chiamare in causa il dottor F.L. quale amministratore delegato della società Papalini S.r.l. che aveva conferito l'incarico al T Il giudice di pace di Prato dichiarò il difetto di legittimazione passiva del terzo chiamato e accolse la domanda formulata dall'attore. 2. La decisione è stata confermata dal Tribunale di Prato, con sentenza n. 885 del 25 giugno 2013. 3. Avverso tale decisione, l'avvocato Luigi M. propone ricorso in Cassazione sulla base di tre motivi, illustrati da memoria. 3.1 Resiste con controricorso il T Motivi della decisione 4.1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli articolo 82 e 83 c.p.c. e dell'articolo 2697 c.c Erroneità dell'individuazione del soggetto tenuto a fornire la prova in materia di mandato per l'espletamento della prestazione professionale. Violazione dei principi giurisprudenziali in subiecta materia . Lamenta che il giudice del merito non ha fatto applicazione del principio secondo cui chi agisce per il conseguimento del compenso ha l'onere di provare il conferimento dell'incarico da parte del terzo, dovendosi in difetto presumere, che il cliente sia colui che ha rilasciato la procura. Invece nel caso di specie, i giudici hanno attribuito tale onere all'avv. M 4.2. Con il secondo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 214, 216 e 221 c.p.c. e dell'articolo 2702 c.c. in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 5, c.p.c Mancata contestazione del contenuto di un documento decisivo e violazione di legge in relazione alla idoneità probatoria del documento medesimo . Il ricorrente sostiene che la Corte d'Appello non ha attribuito il giusto valore alla lettera con cui la società Papalini conferiva l'incarico professionale all'avv. M. e lo invitava ad avvalersi della collaborazione dell'avv. T 4.3. Con il terzo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'articolo 116 c.p.c. in relazione all'articolo 360, primo comma, n. 4 e 5, c.p.c. Illogicità e contraddittorietà della motivazione. Erronea qualificazione dei fatti posti a fondamento della decisione quali idonei elementi probatori . Si duole il Molinari che l'impianto valutativo e motivazionale che sta alla base della sentenza impugnata non è coerente nè logici , 5. I tre motivi possono essere esaminati congiuntamente, perché sotto profili diversi lamentano una errata valutazione delle prove da parte del giudice del merito, e sono tutti infondati. Occorre premettere che obbligato a corrispondere il compenso professionale al difensore per l'opera professionale richiesta non è necessariamente colui che ha rilasciato la procura alla lite, potendo anche essere colui che abbia affidato al legale il mandato di patrocinio, anche se questo sia stato richiesto e si sia svolto nell'interesse di un terzo. Si instaura in tale ipotesi, un altro distinto rapporto interno ed extraprocessuale regolato dalle norme di un ordinario mandato, in virtù del quale la posizione del cliente viene assunta non dal patrocinato ma da chi ha richiesto per lui l'opera professionale. Pertanto è da stabilire, in concreto, se il mandato di patrocinio provenga dalla stessa parte rappresentata in giudizio, o invece da un altro soggetto che abbia perciò assunto a proprio carico l'obbligo del compenso. Ed invero, non è infrequente che una parte, la quale debba essere rappresentata e difesa in un giudizio destinato a svolgersi in una città diversa da quella della propria residenza, non conoscendo legali di quel foro, si rivolga ad un professionista della propria città, e che sia poi quest'ultimo a metterla in corrispondenza con un legale del foro ove deve aver luogo il processo, al quale la parte conferisce il mandato ad litem. Quindi è possibile che la parte abbia inteso intrattenere un rapporto di clientela unicamente con il professionista che già conosceva, ed abbia conferito al legale dell'altro foro soltanto la procura tecnicamente necessaria all'espletamento della rappresentanza giudiziaria sicché il mandato di patrocinio in favore di quest'ultimo non proviene dalla parte medesima, bensì dal primo professionista, che ha individuato e contattato il legale del foro della causa e sul quale graverà perciò l'obbligo di corrispondere il compenso. Ma può anche verificarsi che la parte abbia inteso direttamente conferire ad entrambi i legali il mandato di patrocinio oltre che la procura ad litem . Ed è evidente che, in siffatta ipotesi, è appunto la parte ad essere tenuta al pagamento del compenso professionale, e non invece il primo legale. L'accertare, di volta in volta, in quale di tali diverse situazioni si verta integra dunque, con ogni evidenza, una questione di fatto, che come tale è rimessa alla valutazione del giudice di merito e, se decisa in base ad adeguata e logica motivazione, si sottrae ad ogni possibile vaglio in sede di legittimità. Ciò posto, la sentenza, ha analizzato compiutamente il complessivo materiale probatorio acquisito per giungere, motivatamente, alla conclusione che nella specie il mandato di domiciliatario al T. sia stato conferito dall'avv. Molinari con tutte le conseguenze che ne derivano sul piano dei compensi. In proposito, la motivazione dei Giudici è immune da vizi denunciati, posto che la sentenza ha accertato l'assenza di un alcun contatto fra il L. e l'avv. T Dunque, non è affatto vero che la sentenza non abbia esaminato la procura apposta in calce all'atto di citazione ma ha adeguatamente chiarito - alla luce della complessiva ricostruzione dei rapporti fra le parti di cui si è detto - che la stessa, essendo necessaria per lo svolgimento dell'attività conferita all'avv. T. dal Molinari, non poteva rappresentare la fonte del mandato di patrocinio conferito dal L. all'avv. T 6. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza. P.Q.M. la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità in favore della, controricorrente che liquida in complessivi Euro 1.200,00 di cui 200 per esborsi, oltre accessori di legge e spese generali. Ai sensi dell'articolo 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis del citato articolo 13.