Avvocato lamenta mancanza di motivazione circa l’accertamento delle sue responsabilità

Risulta denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 15203, depositata il 22 luglio 2016. Il caso. Il Consiglio dell’Ordine di Oristano aveva comminato ad un legale la sospensione di tre mesi dall’esercizio della professione forense per aver, in modo reiterato, assunto azioni giudiziarie di accertamento della proprietà immobiliare per intervenuta usucapione presso l’ufficio del Giudice di Pace di Busachi, violando consapevolmente la disciplina della competenza funzionale prevista dagli artt. 7, 8 e 9 c.p.c. nonché la disciplina della competenza territoriale ex art. 21 c.p.c., e quella sulla regolare instaurazione del contraddittorio. La decisione era stata confermata dal CNF. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avvocato. Non è sufficiente dare al cliente l’impressione di una giustizia celere. Il CNF aveva osservato che il ricorrente, decidendo in assoluta discrezionalità di iniziative processuali, confondeva i doveri di correttezza, dignità e decoro con l’affrancamento dal rispetto della legge, sul presupposto che fosse sufficiente dare al cliente l’impressione di una giustizia celere. Con il ricorso in Cassazione l’avvocato lamenta la mancanza della data del deposito della sentenza in violazione dell’art. 133 c.p.c, e la mancanza di motivazione per quanto concerne sia l’accertamento della responsabilità e la valutazione degli addebiti, sia la domanda subordinata di riduzione della sanzione. Nessun vizio di omesso esame del fatto. Per la Suprema Corte, la prima censura è inammissibile per la mancata specificazione dell’interesse leso dall’ error in procedendo . A riguardo va notato come non sussiste alcuna violazione delle regole del giusto processo ma, al più, una mera irregolarità formale. E appunto irregolarità formale deve, infatti, ritenersi la denunciata mancanza di indicazione della data di deposito della sentenza del CNF. Relativamente, poi, alle altre censure svolte sotto il versante motivazionale si osserva che, ai sensi dell’art. 56 d.R. n. 1578/1933, le decisioni del CNF sono ricorribili dinnanzi alle Sezioni Unite della Corte di Cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, a cui per effetto della previsione dell’ultimo comma dell’art. 360 c.p.c., devono aggiungersi tutte le ipotesi previste dal primo comma del medesimo articolo, incluso il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. La conseguenza è che risulta denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Ciò considerato, le deduzioni del ricorrente non prospettano dunque il vizio di omesso esame del fatto di cui all’art. 5 dell’art. 360 c.p.c Infine, per ciò che attiene l’ultima censura riguardante la mancata riduzione della sanzione, il potere di applicare, a carico degli avvocati, la sanzione disciplinare adeguata alla gravità e alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari. Ne consegue che la determinazione della sanzione inflitta dal CNF non è censurabile in sede di legittimità, salvo il caso di assenza di motivazione che qui comunque non ricorre. Le doglianze del ricorrente non possono dunque essere accolte. In conclusione la Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 24 maggio – 22 luglio 2016, n. 15203 Presidente Canzio – Relatore Ambrosio Svolgimento del processo Con decisione in data 03.01.2012, il Consiglio dell’Ordine di Oristano comminava all’avv. G.A. la sospensione di mesi tre dall’esercizio della professione forense per avere reiteratamente assunto contrariamente ai doveri di lealtà, correttezza, dignità, probità, decoro, indipendenza e autonomia del rapporto, così violando l’art. 38 del r.d.l. n. 1578 del 1933, nonché gli artt. 5, 6, 10 e 36 C.D. - azioni giudiziarie di accertamento della proprietà immobiliare per intervenuta usucapione presso l’ufficio del Giudice di pace di Busachi, coltivandole dalla redazione della domanda sino alla pronuncia di merito, violando ed eludendo consapevolmente e volontariamente, la disciplina della competenza funzionale, come prevista dagli artt. 7, 8 e 9 cod. proc. civ., nonché, in taluni casi, anche la disciplina della competenza territoriale ex 21 cod. proc. civ. e quella sulla regolare instaurazione del contraddittorio e ciò in dieci procedimenti, essendo state dichiarate estinte per prescrizione analoghe incolpazioni. La decisione, gravata da impugnazione dell’avv. G. , è stata confermata in data 22.05.2013 dal C.N.F. con sentenza depositata al n. 62 del Registro deposito dell’anno 2015 e notificata al G. il 27.04.2015. Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’avv. G.A. , svolgendo un triplice ordine di censure e formulando, altresì, istanza di sospensione, sulla quale, peraltro, è stato dichiarato non doversi provvedere per essere stata nelle more eseguita la sanzione. Il C.O.A. di Oristano non ha svolto attività difensiva. Il ricorrente ha anche depositato memoria. Motivi della decisione 1. Il C.N.F., preliminarmente stigmatizzata, perché errata, l’idea di fondo della linea difensiva dell’incolpato - e, cioé, che possa configurarsi un’assoluta discrezionalità dell’avvocato nel decidere le iniziative processuali che siano più utili agli interessi del cliente, retrocedendo, sul piano dei valori deontologici, il rispetto di canoni imposti a quell’attività nell’interesse dell’avvocatura e della collettività - ha rilevato che il ricorrente confondeva grossolanamente i doveri di correttezza, dignità probità e decoro con l’affrancamento dal rispetto della legge, sul presupposto che fosse sufficiente dare al cliente l’impressione di una giustizia celere e ciò sebbene a lo stesso ricorrente finisse per ammettere che le iniziative giudiziarie presso un ufficio giudiziario palesemente incompetente erano affidate alla sola aspettativa che la controparte non sollevasse eccezioni di rito b il decoro della professione richiedesse competenza, ostensione dell’immagine dell’avvocato, non sciatto o superficiale, bensì munito della scienza minimale, che, se scoperta, non esponga il proprio cliente ai conseguenti danni di un’improvvida iniziativa processuale c la collettività abbia bisogno, contrariamente a quanto opinato dall’avv. G. , di poter confidare nella figura dell’avvocato limpida sotto ogni aspetto, comprendente sia il possesso delle condizioni minime per l’esercizio della professione che il rispetto dei principi di lealtà e correttezza, ostensibili non solo nei confronti del cliente, ma in genere nei confronti della collettività d l’indipendenza dell’avvocato, così come sbandierata dal G. , finisse per contraddire la sua stessa tesi difensiva, posto che, per un verso, detta indipendenza va intesa come assoluto affrancamento da condizionamenti esterni ideologici ed economici, e che, per altro verso, l’incolpato, a sostegno della liceità delle sue condotte, affermava apertamente di avere iniziato i giudizi innanzi a giudice incompetente proprio d’intesa con i clienti. 2. Con il ricorso - attraverso un’esposizione, per il vero, non sempre ordinata e perspicua - il ricorrente lamenta - sotto il profilo della violazione di legge la mancanza della data del deposito della sentenza in violazione dell’art. 133 cod. proc. civ. - sotto il profilo del vizio motivazionale la mancanza di motivazione e ciò a sia per quanto attiene all’accertamento della responsabilità e alla valutazione degli addebiti b sia per quanto riguarda la domanda subordinata di riduzione della sanzione. 2.1. La prima censura, di violazione di legge, è al limite dell’inammissibilità per la mancata specificazione dell’interesse leso dall’ asserito error in procedendo e comunque manifestamente infondata. Al riguardo - precisato che l’art. 63 del R.D. n. 37 del 1934 richiama, per quanto riguarda le norme della deliberazione collegiale, in quanto applicabili, le disposizioni dell’art. 473 del codice di procedura penale previgente , mentre il successivo art. 64 dispone che le decisioni del Consiglio Nazionale forense sono pubblicate mediante deposito dell’originale nella segreteria del Consiglio - si osserva che, nella specie, non è ravvisabile alcuna violazione delle regole del giusto processo sindacabile in questa sede, ma, al più, una mera irregolarità formale. Tale deve, infatti, ritenersi la denunciata mancanza di indicazione della data di deposito della sentenza del C.N.F. sull’ultima pagina della copia notificata al ricorrente pag. 10, laddove si legge l’attestazione depositata presso la Segreteria del Consiglio nazionale forense oggi , seguita dalla firma del consigliere segretario , atteso che non è, comunque, dato dubitare dell’effettività del deposito che, inoltre, sulla base dell’indicazione riportata nella prima pagina della stessa sentenza laddove si legge n. 62 registro deposito 2015 è possibile anche risalire alla relativa data che, infine, e in via assolutamente dirimente, ciò che rileva. ai fini della decorrenza del termine d’impugnazione ai sensi dell’art. 56 R.D.L. n. 1578 del 1933 è la data della successiva notifica all’interessato. É appena il caso di aggiungere - avuto riguardo ai nebulosi rilievi di parte ricorrente in ordine alla distanza temporale due anni intercorsa tra la data della deliberazione del 22 maggio 2015 ma non del deposito, risalente al 2015 e quella del 27.04.2015 della notificazione della decisione - che la circostanza è inidonea a convertire il difetto di una formalità estrinseca alla sentenza, qual è la mancanza di annotazione della data del deposito, in una ragione di nullità della stessa. 3. Relativamente alle altre censure svolte sotto il versante motivazionale si osserva che ai sensi dell’art. 56 RD n. 1578 del 1933, le decisioni del Consiglio nazionale forense sono ricorribili innanzi alle Sezioni unite della Corte di cassazione per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, cui per effetto della previsione dell’ult. comma dell’art. 360 cod. proc. civ., devono aggiungersi tutte le ipotesi previste dal primo comma del medesimo art. 360, ivi incluso il vizio di omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, previsto dalla versione novellata dalla L. 134 del 2012, di conversione del d.l. n. 83 del 2012, qui applicabile ratione temporis . Si rammenta - in conformità all’esegesi svolta da queste Sezioni Unite con sentenza n. 8053 del 2014 - che la riforma deve essere valutata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al minimo costituzionale del sindacato di legittimità sulla motivazione, con la conseguenza che risulta denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico , nella motivazione apparente , nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili e nella motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile , esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di sufficienza della motivazione. 3.1. Ciò posto, si osserva che le deduzioni del ricorrente non prospettano il vizio di omesso esame del fatto di cui al cit. n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., il quale postula la pretermissione di dati materiali, già acquisiti e dibattuti nel processo, aventi portata idonea a determinare direttamente un diverso esito del giudizio in ogni caso la censura non rispetta i canoni dello specifico vizio, così come individuati nella cit. sentenza n. 8053 del 2014 inoltre la sintesi sopra riportata sub 1. dà sicura contezza dell’assolvimento dell’obbligo motivazionale quanto all’accertamento del fatto e alla relativa qualificazione, nel pieno rispetto della garanzia apprestata dall’art. 111 Cost Tanto basta a superare il sindacato di legittimità, atteso che, per consolidato orientamento della Corte cfr. tra le ultime Cass. SS.UU. n. 14777 del 2015 , già alla stregua dell’ambito meno restrittivo del pregresso n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., in tema di procedimento disciplinare, alle Sezioni Unite della Cassazione non sarebbe stato possibile sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sulla assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale. Le doglianze del ricorrente, peraltro generiche, non possono, quindi, trovare ingresso in questa sede, concernendo elementi che il Giudice del disciplinare, nel proprio percorso decisionale potrebbe avere diversamente valutato, ovvero non aver considerato, perché ritenuti, anche implicitamente, recessivi e/o ininfluenti, rispetto agli elementi probatori, invece, positivamente individuati, ritenuti decisivi ed utilizzati ai fini decisori. 3.2. Considerazioni analoghe valgono anche per quanto attiene l’ultima censura, concernente la mancata riduzione della sanzione. Invero il potere di applicare, a carico degli avvocati, la sanzione disciplinare adeguata alla gravità ed alla natura dell’offesa arrecata al prestigio dell’ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari. Ne consegue che la determinazione della sanzione inflitta all’incolpato dal C.N.F. non è censurabile in sede di legittimità, salvo il caso di assenza di motivazione Sez. Unite, 07 luglio 2014, n. 15429 che qui non ricorre. Invero la motivazione esiste e risulta pure congrua, risultando implicitamente desumibile dalla negativa valutazione dei fatti ascritti all’incolpato e convalidata dalla precisazione che la sanzione è non modificabile e non riducibile, attesa la reiterazione delle azioni e la gravità delle violazioni contestate . In conclusione il ricorso va rigettato. Nulla deve disporsi in ordine alle spese del giudizio di legittimità non avendo parte intimata svolto attività difensiva. Infine, dal momento che il ricorso risulta notificato successivamente al termine previsto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 18, deve darsi atto della sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla citata L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater del d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.