Avvocato non responsabile della mancata costituzione di parte civile se non vi è pregiudizio per l’assistito

È necessaria l’esistenza di un pregiudizio concretamente subito dal patrocinato affinché dall’errore del professionista consegua l’obbligo di risarcire il danno al proprio assistito.

In questo senso la Terza Sezione Civile della Corte di Cassazione, con la sentenza depositata il 18 luglio, n. 14644/16. Il caso. Una parte lesa di un reato conveniva in giudizio un avvocato chiedendone la condanna al risarcimento del danno per responsabilità professionale conseguente alla mancata reiterazione, da parte del professionista, della richiesta di costituzione di parte civile in un procedimento penale, costituzione che era stata dichiarata inammissibile. Dato il rigetto in primo grado, proponeva l’uomo appello davanti alla Corte territoriale de L’Aquila. La Corte, però, rigettava nuovamente la domanda, concordando con il Tribunale, escludendo la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e i danni che sarebbero derivati alla parte lesa dall’impossibilità di agire per il loro risarcimento, stante la possibilità di ottenere il medesimo risultato con l’esperimento dell’azione risarcitoria davanti al giudice civile. Accoglieva invece la riconvenzionale dell’avvocato, con la quale egli chiedeva il risarcimento del danno all’immagine. Avverso detta sentenza, ricorre in Cassazione la parte lesa. Il danno subito dal ricorrente. Con un unico motivo, il ricorrente deduce la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio il ricorrente espone di aver presentato richiesta di costituzione di parte civile tramite il suo avvocato, alla prima udienza davanti al pretore, che però si è astenuto e per ciò non l’ha esaminata. Alla successiva udienza dinanzi al nuovo pretore l’avvocato non ha reiterato la richiesta in apertura di dibattimento, e la stessa è stata giudicata inammissibile in quanto tardiva. In conseguenza di ciò egli ha subito un danno, integrato dal fatto stesso dello svolgimento di una condotta professionale in cui sia intervenuto un errore. Il ricorso non è fondato. Infatti, il ricorrente denuncia solo la presenza di un vizio di motivazione senza nemmeno efficacemente illustrare quali sarebbero le lacune motivazionali in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata. Non si censura la principale ratio decidendi , incentrata sulla necessità dell’esistenza di un pregiudizio concretamente subito dal patrocinato affinché dall’errore del professionista consegua l’obbligo di risarcire il danno al proprio assistito e sulla esclusione del pregiudizio stesso nel caso concreto. Infatti, la motivazione è incentrata sulla mancanza di ogni pregiudizio in capo al ricorrente, conseguente alla declaratoria di inammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimento penale per assoluzione dell’imputato in appello con sentenza passata in giudicato e per la libera riproponibilità della domanda risarcitoria in sede civile. Il danno all’immagine del professionista. Parimenti infondato è il ricorso laddove critica, sempre per diretto di motivazione, la sentenza impugnata per l’accoglimento dell’appello incidentale dell’avvocato, in quanto la sentenza motiva adeguatamente in ordine al difetto quantomeno della normale diligenza ed alla sussistenza del danno, facendo riferimento al discredito professionale che la proposizione di un’azione risarcitoria per responsabilità professionale manifestamente infondata può comportare nei confronti del professionista.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 5 aprile – 18 luglio 2016, numero 14644 Presidente Amendola – Relatore Rubino I fatti Nel 2005, D.R.O.R. conveniva in giudizio l’avv. R.B. , chiedendone al condanna al risarcimento del danno nella misura di Euro 250.000,00 per responsabilità professionale, conseguente alla mancata reiterazione, da parte del professionista, della richiesta di costituzione di parte civile in favore del D.R. in un procedimento penale dinanzi alla Pretura di Rieti, costituzione che era stata dichiarata inammissibile. L’avv. R. proponeva a sua volta domanda riconvenzionale ex art. 96 c.p.c. primo comma chiedendo il risarcimento del danno all’immagine. La sentenza di primo grado rigettava le domande di entrambe le parti. La Corte d’Appello de L’Aquila, con la sentenza impugnata, rigettava la domanda dell’attuale ricorrente, concordando con il Tribunale di Chieti laddove questo aveva escluso la sussistenza del nesso causale tra la condotta del professionista e i danni che sarebbero asseritamente derivati alla parte lesa dalla impossibilità di agire, in sede penale, per il loro risarcimento stante la possibilità, per la parte lesa dal reato, di ottenere il medesimo risultato attraverso l’esperimento dell’azione risarcitoria dinanzi al giudice civile. Accoglieva invece la riconvenzionale dell’avv. R. , ritenendo l’azione proposta non solo temeraria ma anche foriera di danni per il professionista, condannando il d.R. a corrispondergli l’importo di Euro 10.000,00 a titolo di risarcimento del danno. D.R.O.R. propone un motivo di ricorso per cassazione illustrato da memoria nei confronti dell’avv. R.B. , per la cassazione della sentenza numero 515 del 2012 depositata dalla Corte d’Appello de L’Aquila in data 26.4.2012. L’avv. R. resiste con controricorso. Le ragioni della decisione Con l’unico suo motivo di ricorso , il ricorrente deduce la omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il ricorrente espone di aver presentato richiesta di costituzione di parte civile, tramite il suo avvocato, alla prima udienza dibattimentale dinanzi al pretore, il quale però si è astenuto e per questo motivo non l’ha esaminata. Alla successiva udienza dinanzi al nuovo pretore l’avvocato del D.R. non ha reiterato la richiesta in apertura di dibattimento, e la stessa è stata giudicata inammissibile in quanto tardiva. Sostiene di aver subito, in conseguenza della sua esclusione dal procedimento penale, un danno, integrato dal fatto stesso dello svolgimento di una condotta professionale in cui sia intervenuto un errore. Il ricorso è infondato . Preliminarmente, con esso si denuncia solo la presenza di un vizio di motivazione senza neppure efficacemente illustrare quali sarebbero le lacune motivazionali in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata. Non si censura invece la principale ratio decidendi della sentenza impugnata, che è incentrata sulla necessità della esistenza di un pregiudizio concretamente subito dal patrocinato affinché dall’errore del professionista consegua l’obbligo di risarcire il danno al proprio assistito conformemente alla costante giurisprudenza di questa Corte v. Cass. numero 12354 del 2009 Cass. numero 2638 del 2013 e sulla esclusione del pregiudizio stesso nel caso concreto. La motivazione all’interno della quale si richiama anche il principio della immanenza della costituzione di parte civile, che rendeva non necessaria una rinnovazione della costituzione già effettuata infatti è incentrata principalmente sulla mancanza di ogni pregiudizio in capo al D.R. conseguente alla declaratoria di inammissibilità della costituzione di parte civile nel procedimenti penale, sotto il duplice profilo dell’assoluzione dell’imputato in appello con sentenza passata in giudicato in mancanza di impugnazione da parte del P.M. e della libera riproponibilità della domanda risarcitoria in sede civile. La corte territoriale pertanto esclude che il ricorrente abbia potuto subire un pregiudizio a causa dell’operato del suo avvocato, in primo luogo, perché l’inammissibilità della costituzione di parte civile non gli impediva in alcun modo di introdurre un autonomo giudizio civile, ed inoltre perché la definitiva assoluzione dell’imputato escludeva la configurabilità di un danno correlato alla responsabilità penale di questi. La sentenza di appello, non impugnata sotto questo profilo, è pertanto passata in giudicato sul punto. Parimenti infondato è il ricorso laddove critica, sempre sotto il profilo del difetto di motivazione, la sentenza impugnata per l’accoglimento dell’appello incidentale del R. , con conseguente accoglimento della domanda riconvenzionale di risarcimento danni per lite temeraria ex art. 96 primo comma c.p.c. proposta dall’avv. R. in quanto la sentenza motiva adeguatamente in ordine al difetto quanto meno della normale diligenza connessa alla acquisizione dell’esatta conoscenza di norme e di principi giurisprudenziali unanimemente condivisi cd alla sussistenza del danno, liquidato in via equitativa nella misura di Euro 10.000,00 facendo riferimento al discredito professionale che la proposizione di una azione risarcitoria per responsabilità professionale manifestamente infondata può comportare nei confronti del professionista, quanto meno per la conoscibilità di essa nel suo ambito professionale, che è quello del Foro, dei giudici e del personale amministrativo con i quali egli si trova ad operare abitualmente, che giustifica una condanna ex art. 96 c.p.c. sebbene per un importo significativamente più ridotto rispetto a quanto richiesto dall’avv. R. . Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo. Atteso che il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, ed in ragione della soccombenza del ricorrente, la Corte, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. numero 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio sostenute dalla controricorrente, che liquida in complessivi Euro 5.800,00, di cui 200,00 per spese, oltre contributo spese generali ed accessori. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.