Liquidazione compensi sotto i minimi: in grado di appello non necessaria la produzione della nota spese per verificare la violazione

Il Giudice dell’appello, a fronte di censure che indicano la liquidazione effettuata al di sotto dei minimi ed in modo largamente insufficiente, avrebbe dovuto verificare se, applicando i minimi inderogabili alle attività necessariamente svolte per l’espletamento della causa, sussistesse o meno la violazione indicata. In caso di verifica positiva e in assenza di notula avrebbe poi dovuto il giudice dell’appello procedere ad una liquidazione secondo tariffa e con riguardo alle attività effettivamente e necessariamente svolte con esclusione di tutte le altre non documentate.

La Sesta Sezione della Corte di Cassazione con la sentenza n. 14342 depositata il 13 luglio 2016 si è occupata di una vicenda occorsa in materia di compensi professionali forensi liquidati dal Giudice al di sotto del minimo delle tariffe professionali pro-tempore vigenti. Il caso. Il caso è quello di una sentenza di accoglimento di un ricorso avverso una sanzione amministrativa con contestuale condanna al pagamento delle spese e competenze legali, queste ultime liquidate in €75,00, misura inferiore a quella minima determinata dalle tariffe professionali pro tempore vigenti. La parte vittoriosa impugnava la pronuncia dinanzi al Tribunale in sede di Appello in relazione al solo capo di sentenza relativo alle spese legali dolendosi del fatto che, per l’appunto, la liquidazione fosse irrispettosa delle tariffe professionali all’epoca vigenti. L’Organo di Appello rigettava il ricorso sostenendo che l’appellante avesse omesso di depositare nota spese con indicazione dei singoli importi dovuti a titolo di diritti ed onorari e in ordine ai quali il primo giudice sarebbe incorso in errore. La decisione era così impugnata dinanzi alla Corte di Cassazione deducendo il ricorrente la violazione e/o falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., 118 disposizioni di attuazione codice di procedura civile nonché la violazione delle tariffe professionali vigenti ex DL 223/2006 convertito nella legge n. 248/2006. La liquidazione globale e sotto i minimi operata dal giudice di pace. L’impugnante sosteneva l’erroneità dell’affermazione relativa alla mancata produzione della nota spese ed alla mancata indicazione degli importi su cui il Giudice di prime cure avrebbe errato. Egli riteneva che il Giudice dell’appello avrebbe dovuto verificare la legittimità della liquidazione fatta in primo grado in quanto eseguita e priva della specificazione relativa agli importi dovuti a titolo di diritti ed onorari e senza tener conto dei minimi tariffari. Nella prospettazione giuridica del ricorrente tale indagine richiesta al magistrato del gravame era ben eseguibile sulla scorta della documentazione e delle allegazioni prodotte giacché l’impugnante aveva chiaramente individuato gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso, tenendo altresì conto che non esiste alcuna norma giuridica che impone a colui che lamenta la violazione dei minimi tariffari la specificazione in ordine agli importi erroneamente calcolati. Sussistenza di tutti gli elementi utili per la determinazione del compenso. Il ricorso era accolto dai Giudici di nomofilachia i quali ritenevano che la liquidazione globale ed al di sotto della soglia minima operata dal Giudice di Pace fosse di per sé sufficiente a fornire al giudice dell’appello ogni elemento utile per la determinazione del compenso, essendo anche dettagliate le attività svolte dal procuratore nel corso del procedimento. Esclusa la necessità della nota spese. Sostenevano inoltre gli Ermellini che non vi fosse necessità di depositare nota spesa, la quale avrebbe imposto la disamina di tutte le voci indicate. Il Magistrato avrebbe dovuto semplicemente verificare se, applicando i limiti di legge inderogabili all’attività posta in essere dal legale, fosse ravvisabile oppure no la dedotta violazione ed, in caso positivo, avrebbe dovuto liquidare il compenso tenendo conto solo dell’attività effettivamente svolta, così escludendo tutte le altre non documentate.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, sentenza 22 ottobre 2015 – 13 luglio 2016, n. 14342 Presidente Petitti – Relatore Parziale Svolgimento del processo 1. R.G. impugna la sentenza n. 5318/13 RG. N. 61735/1l resa dal Tribunale di Roma, pubblicata in data 11.3.13, non notificata, che ha dichiarato inammissibile il suo appello avverso la sentenza n. 104497 del 01.10.2009 depositata il 30.3.2011, con cui il Giudice di Pace di Roma accoglieva l’opposizione annullando il verbale n. 13081227087 e condannando il Comune di Roma alla spese processuali liquidate in totali e 75,00 oltre accessori di legge. 2. Il giudice unico del Tribunale di Roma rilevava che l’impugnazione era limitata al solo capo relativo alla liquidazione giudiziale delle spese, per il mancato rispetto dei valuti numerari indicati nella tariffa professionale . Rilevava il giudicante, in primo luogo, che la liquidazione, giudiziale era stata disposta ai sensi dell’art. 91 c.p.comma in applicazione del principio generale per cui le spese di giudizio sono poste a carico del soccombente , con conseguente irrilevanza di ogni deduzione in ordine alla carenza di motivazione sulla compensazione . Aggiungeva poi che il potere del giudice d’appello di ridefinizione della liquidazione giudiziale presuppone che la pane indichi gli importi, nonché le singole voci rientranti nei diritti e onorari, attraverso il deposito della nota spese , rilevando che la pane appellante, nonostante ne faccia riferimento nell’atto introduttivo, non produce alcuna nota spese e non specifica le voci egli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in errore . Concludeva, quindi, il giudice dell’appello che tale difetto vale a giustificare la statuizione di inammissibilità dell’appello, in ragione della inidoneità delle censure a consentire, comunque, la rideterminazione dei compensi professionale . 3. Impugna tale decisione il R. che avanza due articolati motivi. Nessuna attività in questa sede ha svolto la parte intimata. Parte ricorrente ha depositato memoria. Motivi della decisione 1. I motivi del ricorso. 1.1 - Col primo motivo di ricorso si deduce Violazione o falsa applicazione degli artt. 91 comma 1, 92 comma 2 c.p.c , 118 comma 2 disp. att., 132 comma 2 n. 4 c.p.c., 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3 e 5 c.p.comma - Violazione Tariffe Forensi vigenti, D.L. n. 223/2006 c.d. Decreto Bersani conv. in L. n. 248/2006, art. 2, comma 2 - Erroneità dichiarazione di inammissibilità appello - Omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione . Rileva il ricorrente di dover censurare, sotto un duplice profilo, la sentenza impugnata a nella parte in cui non è stata disposta l’integrazione delle spese liquidate in primo grado, in misura inadeguata e in via globale b per la dichiarata inammissibilità in assenza di specifiche norme giuridiche comminanti tale devastante sanzione . In primo grado il giudice di pace aveva liquidato l’ammontare delle spese giudiziali Euro 75,00 in maniera assolutamente esigua soprattutto alla luce delle all’epoca vigenti tariffe forarsi , senza operare la necessaria distinzione tra diritti e onorari di avvocato e le spese , non consentendo così il controllo ex lege garantito. Osserva il ricorrente che il giudice dell’appello ha così motivato la parte appellante non produce alcuna nota spese e non specifica le voci e gli importi considerati in ordine ai quali il giudice di merito sarebbe incorso in onore tale difetto vale a giustificare la statuizione di inammissibilità dell’appello, in ragione della inidoneità delle censure a consentire, comunque, la rideterminazione dei compensi professionali . Osserva che, anche in assenza di nota spese, il giudice dell’appello avrebbe dovuto verificare la legittimità della liquidazione delle spese operata in primo grado, sia perché effettuata globalmente, sia perché effettuata al di sotto dei minimi tariffari, posto che, sulla base del primo scaglione di valore del tariffario forense all’epoca vigente tabella A, Par. II, per le cause di esclusiva competenza funzionale del Giudice di pace , l’importo dovuto per gli onorari, liquidati al minimo, risulta superiore alla impugnata liquidazione di Euro 75,00 globali considerando le voci necessariamente dovute, come studio della controversia, consultazioni con il cliente, preparazione e redazione dell’atto introduttivo del giudizio, assistenza a ciascuna udienza di trattazione, ecc . Inoltre tale verifica poteva essere agevolmente effettuata, posto che la causa era di natura prettamente documentale e la controversia si è conclusa immediatamente, al termine della prima udienza. Il giudice dell’appello disponeva quindi di tutti gli elementi per poter valutare il contento dell’appello e la correttezza della liquidazione operata. Non era, quindi, necessario per l’appellante ulteriormente specificare le censure oltre quanto già esposto. Osserva poi il ricorrente che è stato violato l’art. 2, comma 2, L. n. 248/06, che prevede che Il giudice provvede alla liquidazione delle spese di giudizio e dei compensi professionali, in caso di liquidazione giudiziale e di gratuito patrocinio sulla base della tariffa professionale che non prevede un importo così esiguo a titolo di onorari, diritti e spese . Aggiunge che il giudice dell’appello non ha tenuto conto dei chiari orientamenti giurisprudenziali che prevedono l’obbligo del giudice di liquidare le spettanze anche in assenza di notula Cass. 7 ottobre 2009, n. 21371 , di non scendere al di sotto dei minimi tariffari Cass. 20971/10, 13168/11, 13139/11 e di non procedere ad una liquidazione globale. In definitiva, osserva il ricorrente che il giudice del gravame era in possesso degli strumenti utili previsti dalla legge per ricavare quanto è necessario, non potendo così sanzionare con la dichiarata inammissibilità il gravame in questione. In ogni caso il ricorrente, nell’atto di appello, ha precisamente e specificamente evidenziato gli elementi essenziali per la rideterminazione del compenso dovuto al professionista forense in re ipsa nel dettaglio delle norme ritenute violate - art. 91 comma 1, 92 comma 2 c.p.c., 118 comma 2 disp. att., 132 comma 2 n. 4 c.p.c., 111 cost., tariffe forensi vigenti, di n. 223/2006 cd. decreto Bersani conv. in l. n. 248/2006, art. 2, comma 2 - da cui era inevitabile per il giudice del gravame riconoscere l’avvenuta violazione e porvi subito rimedia semplicemente applicando - in mancanza di nota spese - anche ai minimi ma non in misura inferiore, il primo scaglione di valore per le cause di competenza esclusiva del giudice di pace, tariffario forense ex dm n. 127/04, tabella A, par. II, senza che all’uopo servisse o fosse funzionale alcuna osservazione e specificazione ulteriore da parte del ricorrente, considerato che il giudice è chiamato a dare applicazione alla legge. nel caso di specie al combinato del dm. n. 127/04 e alla l. n. 248/06, art. 2, co. 2 . Aggiunge che alcuna norma giuridica prevede che l’appellante, quando lamenti la violazione dei minimi tariffari, specifichi analiticamente gli importi non calcolati o erroneamente calcolati ”. Osserva il ricorrente ancora che è solo con la L. n. 134 del 07 agosto 2012 successiva quindi all’introduzione della causa in esame che l’atto di appello, legato all’esposizione sommaria dei fatti ed a motivi specifici è tramontato . Quindi, osserva il ricorrente che prima era richiesta l’esposizione sommaria dei fatti. mentre post novella bisogna indicare esattamente al giudice le parti appellate e le modifiche richieste non va indicato solo quello che non va, ma anche come dovrebbe andare . Tali principi e norme non si applicano al giudizio in questione. Richiama l’orientamento di questa Corte Cass. n. 8067/11 , secondo cui l’appello è inammissibile quando la censura non fornisce al giudice d’appello sufficienti elementi per poter accertare la conformità degli importi liquidati al tariffario ed eventualmente rideterminare il compenso dovuto all’avvocato . Nel caso concreto, sarebbe stato sufficiente individuare l’importo dovuto, anche calcolandolo al minimo del tariffario all’epoca vigente, per verificare l’inadeguatezza della liquidazione in primo grado. Espone di seguito le voci liquidabili come segue, formulando due ipotesi. Ipotesi 1 Tariffe Forensi, Tabella A, Onorari Giudiziali, Paragrafi 1, Cause avanti ai giudici di pace, per l’intero giudizio fino al valore di Euro 600,00, applicando il Valore Minimo Tot. Euro 55,00 Tabella 13, Diritti di Avvocato, fino al valore di Euro 600,00, posizione e archivio Euro 23,00, disamina Euro 6,00, domanda introduttiva del giudizio Euro 23,00, autentica firma Euro 6,00, iscrizione causa a ruolo Euro 6,00, formazione fascicolo e compilazione indice Euro 6,00, partecipazione ad udienza e precisazione delle conclusioni Euro 23,00, consultazioni con il cliente Euro 23,00, scritturazione facciata Euro 5,16 e fotocopiatura facciata 9,10 Del Consiglio Ordine del 20.9.2000 , esame decreto fissazione udienza Euro 6,00, vacazioni Euro 15,00, collazione scritti 7,00 tot. Euro 158,26 Ipotesi 2 Tariffe Forensi, Tabella A, Onorari Giudiziali paragrafi 2, cause riservate alla esclusiva competenza funzionale del giudice di pace, valore del giudizio fino a Euro 5.200,00, applicando il Valore Minimo Studio della controversia Euro 80,00, consultazioni con il cliente Euro 40,00, preparazione e redazione atto introduttivo Euro 70,00, assistenza ad udienza di trattazione e 25,00 Tot Euro 215,00 . Rileva il ricorrente che in entrambi i casi il calcolo effettivo degli importi dovuti alla parte vittoriosa avrebbe condotto ad una liquidazione complessiva a titolo di onorari e competenze senza ancora aver calcolato le spese , di Euro 273,26 oppure nella seconda ipotesi quella, ritentiamo, più corretta di Euro 373,26, entrambe di oltre il triplo o il quintuplo superiori alla avvenuta illegittima liquidazione di Euro 75,00 complessivi . Rileva poi il ricorrente che, quanto alla tariffa forense da applicare in presenza della successione avvenuta in data 23.8.12 con l’avvento dei Nuovi Parametri Forensi ai sensi del D.M. N. 140112 , la Corte di cassazione ha già affermato la necessarietà dell’applicazione della previgente tara ovvero sia quella del D.M. n. 127104 in casi del tutto analoghi alla presente fattispecie, considerando sostanzialmente che malgrado l’entrata in vigore del dl 212/11 riformatore degli artt. 82 e 91 c.p.comma - i quali prevedono rispettivamente da una parte l’incremento di valore sino ad Euro 1.100,00 per le cause in ad le parti possono stare in giudizio personalmente, e dall’altra che in queste cause le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice non possano superare il valore della domanda e nonostante l’evidente natura processuale delle disposizioni appena citate, le stesse non possono trovare applicazione alla controversia in esame avente ad oggetto la censura sulla quantificazione delle spese, cioè la liquidazione al di sotto dei minimi tariffari, poiché in tali casi prevale senza alcun minimo dubbio il principio dell’appello come revisio prioris istantiae, con la conseguenza che, essendo già stato in primo grado applicato il criterio della soccombenza, dovranno essere applicate le tariffe vigenti ration temporis in virtù dell’altro principio tempus regit actum al momento della decisione del giudice di prime cure . 1.2 - Col secondo motivo si deduce Violazione o falsa applicazione degli artt. 91 comma 1, 92 comma 2 c.p.comma e dell’art. 24 Cost. in relazione all’art. 360 n. 3, 4 e 5 c.p.c.” . La decisione del giudice di pace di Roma, nonostante l’accoglimento dell’opposizione e, quindi, l’annullamento del provvedimento impugnato, risulta solo in astratto favorevole per l’odierno ricorrente poiché, a causa della esigua liquidazione delle spese in primo grado, e la successiva contraddittoria condanna alle spese del grado di appello, l’iniziativa giudiziaria rischia di rivelarsi particolarmente antieconomica . 2. Il ricorso è fondato e va accolto. Il giudice dell’appello ha errato nel dichiarare inammissibile l’impugnazione. Occorre osservare, infatti, che, nella sostanza, l’odierno ricorrente si era doluto con l’appello dell’evidente inadeguatezza della liquidazione delle spese operata dal primo giudice, effettuata globalmente e palesemente al di sotto dei minimi tariffari applicabili. Proprio l’evidenza di tali doglianze consentiva all’appellante di prospettare le censure in termini sintetici, senza ulteriormente dettagliare le attività svolte, avendo sufficientemente descritto nello svolgimento del processo risultante comunque dagli atti , le attività che necessariamente erano state espletate per giungere alla pronuncia della sentenza di primo grado. Aveva poi l’appellante fornito tutte le indicazioni necessarie per individuare il valore della causa, risultando la selezione della tariffa professionale applicabile e dei relativi importi quanto meno nella loro misura minima agevolmente attuabile attraverso il tipo di controversia e le date di inizio c di fine del giudizio. Né era necessario depositare una nota spese, che avrebbe invece imposto al giudice di operare l’ulteriore analitico esame di tutte le voci esposte. In definitiva, il giudice d’appello, a fronte di censure che in sintesi indicavano la liquidazione effettuata al di sotto dei minimi e in modo largamente insufficiente, avrebbe dovuto verificare se, applicando i minimi inderogabili alle attività necessariamente svolte per l’espletamento della causa, sussistesse o meno la violazione indicata. In caso di verifica positiva cioè di violazione dei minimi inderogabili e in assenza di notula avrebbe poi dovuto il giudice dell’appello procedere ad una liquidazione secondo tariffa e con riguardo alle attività effettivamente e necessariamente svolte con esclusione di tutte le altre non documentate. 3. La sentenza impugnata va quindi cassata con rinvio ad altro magistrato del tribunale di Roma che si atterrà, nella liquidazione delle spese ai principi su indicati, e procederà anche alla regolazione delle spese del giudizio di legittimità. P.T.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, ad altro magistrato del tribunale di Roma.