Parcella dell’avvocato opinata dal Consiglio dell’Ordine: l’ultima parola spetta sempre al giudice

La parcella correlata dal parere espresso dal competente Consiglio dell’Ordine d’appartenenza del professionista ha - per il combinato disposto degli artt. 633, comma 1, n. 2 e 636, comma 1, c.p.c. - valore di prova privilegiata e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell’ingiunzione. Per contro, non ha tale valore e carattere, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista sulla quale l’organo associativo esprime un mero parere di congruità, senza effettuare controllo alcuno di effettività e di consistenza della prestazione , nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall’ingiunto con l’opposizione ex art. 645 c.p.c. . Nell’ordinario giudizio di cognizione, il creditore, in favore del quale l’ingiunzione è stata emessa, assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c. ,ove vi sia stata contestazione da parte dell’opponente in ordine all’effettività e alla consistenza delle prestazioni eseguite, ovvero della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanza la cui valutazione è poi rimessa al libero apprezzamento del giudice.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 230/16, depositata l’11 gennaio. Il fatto. Con atto di citazione una s.a.s. proponeva dinanzi al Tribunale territorialmente competente opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso in favore del proprio legale in forza di notula professionale opinata dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di appartenenza, deducendo l’insussistenza del rapporto di mandato. L’ingiungente si costituiva in giudizio contestando in fatto e diritto la domanda dell’opponente, insistendo ed ottenendo la concessione della provvisoria esecutività dell’emanato decreto. A conclusione del giudizio il Tribunale adito, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta, accertava, con sentenza, l’esistenza del credito vantato dal legale, determinandone però l’entità in una minor somma rispetto a quella ingiunta, con conseguente condanna del creditore alla restituzione delle maggiori somme pagate in forza della provvisoria esecutività del decreto opposto. In virtù di rituale appello, il creditore deduceva in primo luogo la nullità della sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., per avere il giudice di prime cure esorbitato dai limiti della domanda di parte opponente relativa alla sola inesistenza del conferimento del mandato difensivo in suo favore. Secondo l’appellante, infatti, il magistrato aveva operato la verifica - benché non richiesta - della congruità delle somme pretese. Lamentava inoltre, nel merito, l’erronea valutazione del materiale probatorio acquisito e l’omessa valutazione dei parametri impiegati per la liquidazione del suo compenso. Il Collegio nella resistenza della s.a.s., rigettava l’impugnazione. Avverso la decisione della Corte di Appello, l’ingiunto proponeva ricorso per Cassazione. In particolare, il ricorrente denunciava la nullità della sentenza per violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la sentenza di appello erroneamente non teneva conto del fatto che l’opponente si era limitato a contestare la mera esistenza di un rapporto di prestazione professionale per non avere affidato alcun incarico al legale. In altri termini, secondo il professionista, nessuna domanda tesa alla verifica della congruità delle somme da lui pretese sarebbe mai stata formulata dalla società resistente. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto la doglianza mossa dal ricorrente priva di pregio giuridico, sulla scorta del consolidato orientamento di legittimità per il quale non occorre che la contestazione mossa dall’opponente in ordine alla pretesa fatta valere dall’opposto, sulla base della parcella corredata dal Consiglio dell’Ordine, abbia carattere specifico, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico, giacché nel giudizio di opposizione de quo non è applicabile nei confronti dell’opponente – convenuto il principio per cui la censura sulla violazione delle tariffe professionali nella liquidazione delle spese di giudizio è possibile solo se articolata in una dettagliata disamina delle voci che s’intendono violate. In particolare, i giudici osservano che ogni contestazione, anche generica, sollevata dall’opponente - convenuto in ordine all’espletamento e alla consistenza dell’attività, nonché all’applicazione delle tariffe è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere – dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e correlativamente, a far sorgere per il professionista l’onere probatorio in ordine tanto all’attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa. Concludendo. In altri termini, l’eccezione formulata dall’opponente di inesistenza del mandato contiene in sé in modo implicito fatta salva un’espressa determinazione della parte in senso contrario quella di contestazione anche del quantum del credito vantato. Pertanto il giudice che riconosca un credito di ammontare inferiore a quello per cui è stato emesso il decreto ingiuntivo emana certamente una pronuncia che nel pieno rispetto dell’art. 112 c.p.c. , non esorbita i limiti delle pretese fatte valere dalle parti nelle rispettive posizioni di opponente – convenuto e di opposto – attore.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 10 settembre 2015 – 11 gennaio 2016, n. 230 Presidente Bucciante – Relatore Falaschi Svolgimento del processo Con atto di citazione notificato il 9 dicembre 1992 la Ital Union Servizi s.a.s. proponeva, dinanzi al Tribunale di Bologna, opposizione avverso il decreto ingiuntivo emesso dal Presidente del medesimo ufficio in data 4.11.1992, in favore dell'avvocato P.M. , per l'importo di lire 14.262.000, oltre accessori, in forza di notula professionale opinata dal Consiglio dell'ordine degli Avvocati, deducendo la insussistenza del rapporto di mandato. Si costituiva in giudizio l'avv. P.M. contestando in fatto e diritto la domanda dell'opponenda ed insistendo per la concessione della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo opposto, che veniva concessa con ordinanza del 22.10.1993. A conclusione del giudizio, il giudice adito, con sentenza n. 1520/2004 del 19.05.2004, in parziale accoglimento dell'opposizione, accertava l'esistenza del credito vantato dall'avv. P. , determinandone però l'entità nella minor somma di lire 4.885.200, con condanna del creditore alla restituzione delle maggior somme pagate in forza della esecutività del decreto ingiuntivo opposto. In virtù di rituale appello interposto dall'avv. P.M. , con il quale deduceva, in primo luogo, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c., per avere il primo giudicante esorbitato dai limiti della domanda di parte opponente relativa alla sola inesistenza del conferimento del mandato difensivo in suo favore, verificando, benché non richiesto, la congruità delle somme da lui pretese e lamentando in ogni caso, nel merito, l'erronea valutazione del materiale probatorio acquisito e l'omessa motivazione dei parametri impiegati per la liquidazione del suo compenso, la Corte di appello di Bologna, nella resistenza della Ital Union Servizi s.a.s., rigettava l'impugnazione. A sostegno della decisione adottata la corte territoriale affermava che non vi fosse stata alcuna violazione dell'art. 112 cpc da parte del giudice di prime cure , dato che nella specie il giudizio era stato instaurato dalla Ital Union Servizi s.a.s. proponendo opposizione a decreto ingiuntivo, per cui correttamente il primo giudice aveva ritenuto di non poter prescindere dal considerare anche il quantum dalla stessa dovuto per le prestazioni professionali svolte dall'opposto, trattandosi di istanza che, seppure non espressa, ben poteva ritenersi implicitamente formulata essendo in rapporto di connessione con il petitum e la causa petendi dell'azione spiegata. Nel merito la Corte bolognese riteneva che le valutazioni svolte dal Tribunale circa l'effettivo contenuto e l'ampiezza dell'incarico professionale affidato all'odierno ricorrente dalla società appellata fossero immuni da censure. Avverso la decisione della Corte di appello di Bologna l'avv. P.M. ha proposto ricorso per Cassazione, formulando tre motivi. La società Ital Union Servizi s.a.s. resiste con controricorso. Motivi della decisione Con il primo motivo il ricorrente denuncia la nullità della sentenza o del procedimento per violazione o falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c In particolare, lamenta che la sentenza di appello, al pari della decisione di primo grado, non ha correttamente considerato che la società Ital Union Servizi s.a.s., che aveva agito proponendo opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto dallo stesso P. , si era limitata a contestare l'esistenza di un rapporto di prestazione professionale, assumendo di non avere affidato alcun incarico al legale, ragione per la quale si sarebbe dovuto ritenere che la controversia era incentrata solo sulla questione concernente l'effettivo conferimento del mandato da parte della società opponente al professionista. Prosegue il ricorrente che nessuna domanda tesa alla verifica della congruità delle somme pretese dall'avv. P. sarebbe invece mai stata formulata dall'attuale resistente. La censura è priva di pregio. Questa Corte ha ripetutamente evidenziato come la parcella corredata dal parere espresso dal competente Consiglio dell'Ordine d'appartenenza del professionista abbia, per il combinato disposto degli artt. 633, comma 1 n. 2 e 636, comma 1 c.p.c., valore di prova privilegiata - al pari di quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 633, comma 1 n. 1 e 634 o 635 c.p.c. per i documenti in questi ultimi considerati - e carattere vincolante per il giudice esclusivamente ai fini della pronunzia dell'ingiunzione, e come tali valore e carattere non abbia, per contro, costituendo semplice dichiarazione unilaterale del professionista sulla quale l'organo associativo si limita ad esprimere un parere di congruità, senza effettuare controllo alcuno di effettività e di consistenza quanto alla prestazione , nel successivo giudizio in contraddittorio, introdotto dall'ingiunto con l'opposizione ex art. 645 c.p.c., nel quale, attesane la natura di ordinario giudizio di cognizione, il creditore in favore del quale l'ingiunzione è stata emessa assume la veste sostanziale di attore e su di lui incombono i relativi oneri probatori ex art. 2697 c.c., ove vi sia stata contestazione da parte dell'opponente in ordine all'effettività e alla consistenza delle prestazioni eseguite ovvero all'applicazione della tariffa pertinente ed alla rispondenza ad essa delle somme richieste, circostanze la cui valutazione è, poi, rimessa al libero apprezzamento del giudice e pluribus, Cass. 30 luglio 2004 n. 14556 e Cass. 15 febbraio 2010 n. 3463 . Né la giurisprudenza di legittimità richiede che la contestazione mossa dall'opponente in ordine alla pretesa fatta valere dall'opposto sulla base della parcella corredata dal parere del Consiglio dell'Ordine abbia carattere specifico, per il determinarsi del suddetto onere probatorio a carico del professionista, essendo sufficiente una contestazione anche di carattere generico, giacché nel giudizio d'opposizione de quo non è applicabile, nei confronti dell'opponente - convenuto, il principio - desumibile dall'art. 366, comma 1 n. 4 c.p.c. e valido, giusta lo specifico ambito d'operatività della norma, ai fini del solo ricorso per Cassazione - per cui la censura intesa a prospettare la violazione delle tariffe professionali nella liquidazione delle spese di giudizio è ammissibile solo se articolato in una dettagliata disamina delle voci che s'intendono violate. Ne consegue che ogni contestazione, anche generica, sollevata dall'opponente-convenuto in ordine all'espletamento ed alla consistenza dell'attività, nonché all'applicazione delle tariffe è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di dar corso alla verifica della fondatezza della contestazione e, correlativamente, a far sorgere per il professionista l'onere probatorio in ordine tanto all'attività svolta quanto alla corretta applicazione della pertinente tariffa Cass. 25 giugno 2003 n. 10150 ma già Cass. 20 maggio 1977 n. 2101 . In altri termini, l'eccezione formulata dall'opponente di inesistenza del mandato contiene in sé in modo implicito fatta salva, cioè, un'espressa determinazione della parte in senso contrario quella di contestazione anche del quantum del credito vantato dalla parte, onde il giudice dell'opposizione che riconosca un credito di ammontare inferiore a quello per cui è stato emesso il decreto ingiuntivo non emana una pronuncia che va oltre i limiti delle pretese fatte valere dalle parti nelle rispettive posizioni di opponente-convenuto e di opposto-attore, e quindi non viola l'art. 112 c.p.c. v. principio affermato con riferimento alla domanda Cass. 27 dicembre 2013 n. 28660 Cass. 27 gennaio 2009 n. 1954 e già Cass. 30 aprile 2005 n. 9021, ma estensibile anche alle eccezioni . Alla stregua dell'enunciato postulato, la sentenza impugnata si rivela senz'altro suscettibile di resistere alla censura con la quale il ricorrente addebita al giudice del merito il fatto di avere disatteso la istanza da lui coltivata, pur in mancanza di specifiche contestazioni della controparte, in ordine alla determinazione del quantum, una volta riscontrata la fondatezza delle richieste ai fini dell'insorgenza del diritto vantato. L'avere la corte territoriale operato la verifica considerata sull'an con esito positivo, non lo esime dall'accertamento sul quantum e non può dar luogo al denunciato vizio di extrapetizione. In conclusione, il professionista che agisca per ottenere il soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestata a favore del cliente ha l'onere di dimostrare l'an del credito vantato e l'entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso cfr., in terminis, Cass. n. 2176 del 1997 e Cass. 13.4.1999 n. 3627 . Con il secondo ed il terzo motivo il ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 115 c.p.c., all'art. 116 c.p.c. ed all'art. 167 c.p.c., oltre ad omessa, insufficiente e contradditorio motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, lamentando la erronea vantazione delle prove documentali e testimoniali da parte della Corte d'Appello quanto all'affidamento dell'incarico professionale e alla sua rilevanza e complessità, in assenza di contestazioni della Ital Union sulla congruenza ed utilità del parere legale redatto dal P. . Anche dette censure - da trattare congiuntamente per la evidente connessione vertendo sulla medesima questione - non possono trovare ingresso. Il giudice di appello, pur avendo rilevato che il P. aveva provato l'instaurazione di un rapporto professionale con la Ital Union, ha accertato che l'incarico era relativo alla sola valutazione circa l'opportunità di promuovere o meno un'azione penale, giacché dalle prove testimoniali assunte si evinceva che i procedimenti civili, in relazione ai quali erano emersi circostanze e fatti aventi una possibile rilevanza a fini penali, erano già pendenti al momento del conferimento dell'incarico de quo e patrocinati dall'avv. Gianfranco Fontaine ha aggiunto che l'avv. Fontaine, da sempre legale della società, aveva confermato di avere personalmente consigliato alla resistente di accertare la possibilità di un'azione penale una volta appreso che il Dott. C.G. , socio accomandante della società, aveva provveduto in tal senso. Inoltre, la tipologia dell'elaborato prodotto dallo stesso appellante-opposto, estremamente schematico, era inidoneo a fornire significativi apporti nelle ben più complesse vicende civili di cui sopra. Dunque deve ritenersi che la sentenza impugnata, contrariamente a quanto dedotto dal ricorrente, ha fornito congrua e logica motivazione dell'assunto espresso in ordine alla inidoneità probatoria della documentazione prodotta dal P. a provare il conferimento di un incarico più ampio e più complesso. Al riguardo è appena il caso di osservare che è devoluta al giudice di merito l'individuazione delle fonti del proprio convincimento, e pertanto ad esso competono anche la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, la scelta delle risultanze istruttorie ritenute idonee ad acclarare i fatti oggetto della controversia, privilegiando in via logica taluni mezzi di prova e disattendendone altri, con l'unico limite della adeguata e congrua motivazione del criterio adottato, limite sicuramente rispettato nella fattispecie. Correttamente, inoltre, la sentenza impugnata ha richiamato l'orientamento giurisprudenziale di questa Corte secondo cui il professionista che agisca per ottenere il soddisfacimento di crediti inerenti ad attività asseritamente prestate a favore del cliente ha l'onere di provare sia l 'an del credito vantato che l'entità delle prestazioni eseguite al fine di consentire la determinazione quantitativa del suo compenso, cosicché ai fini indicati la parcella predisposta dal professionista è priva di rilevanza probatoria nell'ordinario giudizio di cognizione Cass. 13,4.1999 n. 3627 . Infine, quanto alla censura di vizio di motivazione, non appare assolutamente chiaro dal tenore del ricorso quale sia il fatto controverso e decisivo per il giudizio, rispetto al quale vi sarebbe stata un'omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione da parte della sentenza impugnata, non essendo stata formulata alcuna specifica indicazione sul punto. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve quindi essere rigettato le spese del presente giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di Cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al rimborso forfettario e agli accessori come per legge.