Le Sezioni Unite ancora sul procedimento disciplinare che coinvolge l’avvocato

La sentenza penale irrevocabile di patteggiamento è suscettibile di produrre effetti vincolanti in sede disciplinare, sia con riguardo all’accertamento dei fatti, sia in relazione alla responsabilità dell’autore. Ciò non esclude la necessità di una verifica autonoma di fatto e personalità dell’autore, in sede di procedimento disciplinare.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione con la sentenza n. 23836/15, depositata il 23 novembre. Il caso. Il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Viterbo COA , all’esito di un procedimento disciplinare, disponeva la cancellazione dall’albo degli avvocati di una professionista. Quest’ultima era stata imputata in un procedimento penale, per illeciti concernenti la cessione di sostanze stupefacenti, ed il giudizio si era concluso con una sentenza di patteggiamento. Il Consiglio Nazionale Forense CNF respingeva l’appello proposto dall’avvocatessa avverso la decisione del Consiglio dell’Ordine e la professionista, pertanto, ricorreva per cassazione. L’incolpata lamentava violazione degli artt. 51 e 56 R.D.l. n. 1578/33 prescrizione addebito disciplinare e rilevava l’inidoneità della sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti a spiegare effetti nella valutazione sulla rilevanza del fatto e sulla personalità dell’autore dell’illecito. La ricorrente sottolineava come tale esame spettasse al giudice disciplinare, in ossequio al disposto dell’art. 5 del Codice deontologico forense, e contestava l’assenza di una autonoma valutazione degli elementi di cui sopra da parte del CNF. In sede disciplinare è necessaria una valutazione sui fatti e sulla personalità dell’autore. La Suprema Corte ha confermato quanto sostenuto dal CNF, ovvero che la sentenza penale irrevocabile di patteggiamento è suscettibile di produrre effetti vincolanti in sede disciplinare, sia con riguardo all’accertamento dei fatti, sia in relazione alla responsabilità dell’autore. Gli Ermellini hanno precisato che il CNF non si è trincerato, come prospetta il ricorso, dietro il rilievo, pur esatto cfr Cass. SU 21591/13 , che la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall’onere della prova . Infatti, ha rilevato la Corte di legittimità, il CNF ha evidenziato la necessità di una verifica autonoma di fatto e personalità dell’autore l’organismo ha ritenuto che tale apprezzamento sia stato correttamente ed ampiamente espletato dal COA e ne ha confermata la statuizione. Peraltro, la Suprema Corte ha evidenziato come il CNF abbia, in sede di decisione, analizzato in modo esplicito la rilevanza disciplinare della condotta, esaminando il clamore suscitato dalle condotte in seno all’opinione pubblica, il comportamento dell’incolpata ed il grado d’offesa alla dignità della professione. La sentenza del COA ha effetto interruttivo della prescrizione. La Suprema Corte ha chiarito, infine, in ordine alla prescrizione dell’addebito disciplinare, che la sentenza disciplinare del COA ha effetto interruttivo ed il termine quinquennale di cui all’art. 51 R.D.l. n. 1578/33 ricomincia a decorrere dopo la pubblicazione della stessa. La Corte di legittimità ha precisato che anche la pronuncia del CNF ha effetto interruttivo e, dunque, non sussiste alcuna violazione in ordine alla prescrizione dell’addebito disciplinare. Gli Ermellini hanno, inoltre, ribadito l’ orientamento, di parte della giurisprudenza, secondo cui nella fase giurisdizionale davanti al CNF vige il principio dell’effetto interruttivo permanente, ai sensi del combinato disposto tra gli artt. 2945, comma2, e 2943 c.c. . Tale effetto, secondo la tesi di cui sopra, si estenderebbe al giudizio ed alle fasi di impugnazione, fino al passaggio in giudicato della sentenza. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 22 settembre– 23 novembre 2015, n. 23836 Presidente Rovelli – Relatore D’Ascola Svolgimento del processo Il 2 aprile 2009 veniva aperto procedimento disciplinare a carico dell'avvocata ricorrente, iscritta al registro praticanti abilitati del COA di Viterbo. Le veniva contestato di aver acquistato in più occasioni sostanze stupefacenti destinate alla cessione a terzi e di aver ceduto sostanza, verosimilmente cocaina, a più persone tra settembre e ottobre 2006 ricorso pag. 1 . Il procedimento penale veniva chiuso con sentenza di patteggiamento del 9 dicembre 2009 e, in esito al procedimento disciplinare intrapreso dal COA di Viterbo, che lo aveva sospeso nelle more dell'accertamento penale, veniva irrogata la sanzione della cancellazione dall'albo degli avvocati. L'appello dell'avvocata veniva respinto dal CNF con sentenza depositata il 19.12.2014 e, stando al ricorso, notificata il 5 febbraio 2015. L'incolpata propone ricorso per cassazione, notificato anche al Procuratore Generale, con atto consegnato all'ufficiale giudiziario entro i trenta giorni successivi art. 155 c.p.c. , lunedì 9 marzo 2015. Il COA di Viterbo è rimasto intimato. Anche il CNF non ha svolto attività difensiva. Motivi della decisione 2 Con il primo motivo la ricorrente denuncia violazione dell'art. 56 rdl n. 1578/33 per carenza inidoneità e illogicità della motivazione . Sostiene che la sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti non esplica alcuna efficacia in ordine alla valutazione sulla rilevanza del fatto e sulla personalità' del suo autore sotto il profilo deontologico, essendo tale apprezzamento riservato al giudice disciplinare, in coerenza con quanto disposto dall'art. 5 del Codice deontologico forense. Afferma che il CNF non ha proceduto ad un'autonoma valutazione del fatto e della personalità del soggetto. Denuncia la conseguente radicale mancanza di motivazione. Lamenta anche che non sia stata ammessa la prova testimoniale dedotta, relativa ad informazioni sul percorso psicoterapeutico seguito dall'avvocatessa. La censura non ha fondamento. Essa presenta un profilo di inammissibilità ed è comunque infondata. È inammissibile nella parte in cui lamenta una doglianza che non trova riscontro in un motivo di appello e quindi in una questione che appare nuova. Dalla sentenza di appello pag. 5 risulta infatti che le doglianze furono due la prima concerneva la mancata ammissione di prova testimoniale, la seconda concerneva la eccessiva gravità della pena. La prova testimoniale, a quanto consta pag. 4 sentenza , era stata invocata perché la condanna era stata deliberata solamente sulla base della sentenze di patteggiamento con cui si era chiuso il procedimento penale, sentenza che, non essendo equiparabile a sentenza di condanna non si traduce in una ammissione di colpevolezza. IL CNF ha respinto la censura, osservando che la sentenza penale irrevocabile di patteggiamento produce effetto vincolante in sede disciplinare con riguardo all'accertamento dei fatti, all'affermazione che l'incolpata li ha commessi ed alla responsabilità dell'autore. In relazione a questa rilevanza del patteggiamento, ha considerato irrilevante la prova testimoniale con riguardo ad ogni profilo in cui era articolata la doglianza. Ha inoltre specificamente chiarito che la sentenza di patteggiamento era vincolante solo per gli aspetti sopraricordati e non anche quanto al disvalore della condotta dal punto di vista deontologico, su cui ha richiamato il potere-dovere degli organi di giustizia disciplinare di valutare la rilevanza disciplinare del fatto. Il Cnf non si è trincerato, come prospetta il ricorso, dietro il rilievo, pur esatto cfr Cass. SU 21591/13 , che la sentenza di applicazione di pena patteggiata, pur non potendosi configurare come sentenza di condanna, presuppone pur sempre una ammissione di colpevolezza ed esonera il giudice disciplinare dall'onere della prova. IL CNF ha infatti chiarito, nel momento in cui ha confermato la pronuncia di condanna, la necessità di un'autonoma valutazione del fatto e della personalità del soggetto , valutazione che era stata evidentemente compiuta nella decisione del COA che veniva confermata, ditalchè non si comprende come possa rimproverarsi alla sentenza impugnata l'omissione della valutazione de qua . Né, si ripete, contro la prima sentenza si era levata la specifica lamentela di non aver formulato una valutazione deontologica, questione ora posta. Sul punto il ricorso, in narrativa, non deduce infatti di aver esposto tale censura, che risulta ora inammissibile cfr in proposito Cass. 23675/13 . 2.1 In ogni caso, la censura è infondata, poiché nell'esaminare la seconda doglianza, quella relativa alla pena, il CIMF ha avuto modo di valutare anche esplicitamente la rilevanza disciplinare della condotta. Ha infatti ritenuto che il Consiglio territoriale aveva puntualmente applicato il criterio di adeguatezza in relazione al clamore che i gravi fatti di droga avevano determinato nell'opinione pubblica al risalto dato dalla stampa locale alla dinamica comportamentale dell'incolpata all'offesa della dignità e del decoro della classe professionale, derivata dalle reiterate e gravi condotte dell'incolpata . Ha ribadito di dover valutare la condotta sotto il profilo del disvalore dal punto di vista dell'ordinamento professionale. Ne consegue che la condotta è stata valutata disciplinarmente, ditalchè non si può in alcun modo configurare né una violazione di legge, né l'omesso esame di un fatto decisivo, unico sindacato possibile ratione temporis sulla motivazione SU 8053/14 , in riferimento al quale potrebbe forse essere inquadrata la doglianza di mancata ammissione della prova orale ritenuta irrilevante. 3 Il secondo motivo di ricorso denuncia violazione di legge - prescrizione - artt. 51 e 56 rdl n. 1578/33 . Parte ricorrente deduce che secondo SU 10071/11 la prescrizione decorre dal momento in cui il diritto di punire può1 essere esercitato, e cioè dal passaggio in giudicato della sentenza penale, costituente un fatto esterno alla condotta. Afferma che il passaggio in giudicato della sentenza è avvenuto il 24 dicembre 2009 che la prescrizione è di cinque anni art. 51 e che l'addebito disciplinare allo stato sarebbe estinto per intervenuta prescrizione. La censura è palesemente infondata risulta dalla sentenza impugnata che la sentenza di patteggiamento è stata resa il 9 dicembre 2009, sicché è esatto, ai sensi dell'art. 585 c.p.p., il calcolo della data di passaggio in giudicato 24.12.2009 , a partire dalla quale il diritto di punire può essere esercitato, come riconosce il ricorso. La sentenza disciplinare del COA è però giunta in esito alla discussione, avvenuta, secondo il ricorso pag. 2 rigo 4, la sentenza non è stata prodotta dalla ricorrente , all'udienza del 25/9/2010. Poiché detta sentenza ha effetto interruttivo, il termine quinquennale ricomincia a decorrere dopo la sua pubblicazione ed era ancora in corso alla data del ricorso per cassazione e dell'odierna decisione 22/9/2015 . Inoltre effetto interruttivo ha, se ve ne fosse bisogno, anche la sentenza del CNF, giunta il 19 dicembre 2014, addirittura entro il termine di cinque anni dal momento in cui l'azione disciplinare poteva essere esercitata, sicché non sussiste la prescrizione come denunciata nel motivo di ricorso. Va aggiunto anche, per completezza, che, secondo parte della giurisprudenza, nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense opera il principio dell'effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto degli artt. 2945, secondo comma e 2943 cod. civ., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell'impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza SU Cass. 187/01 3613/07 1905/04 18838/03 6295/03 5072/03 3891/04 24094/06 . 3.1 Il nuovo, astrattamente più favorevole, regime della prescrizione stabilito dall'art. 56 della L. 247/12, di riforma dell'ordinamento forense, che prevede un limite di sette anni e mezzo anche in caso di interruzione per effetto delle sentenze del COA e del CNF, non è stato invocato in ricorso e comunque non avrebbe potuto essere applicato a fatti anteriori, come ritenuto da queste Sezioni Unite da ultimo SU 14905/15 . 4 La accertata infondatezza del ricorso rende superfluo disporre la verifica o la reiterazione della notificazione al COA, essendo mancata la produzione dell'avviso di ricevimento del ricorso, dando seguito al principio volto ad evitare il dispendio di attività processuali affermato a partire da Cass. 2723/10 cfr SU 6826/10 Cass. 21141/11 . Resta parimenti superfluo pronunciare sulla mancata produzione della relata di notifica della sentenza impugnata. Discende da quanto esposto il rigetto del ricorso. Nulla per le spese di lite, in mancanza di resistenti costituiti. Il ricorso è stato notificato dopo il 31 gennaio 2013 essendo rigettato, sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso ai sensi dell'art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 introdotto dall'art. 1 comma 17 della legge n. 228 del 20121. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.