Avvocato dipendente dell’ente e rapporto parasubordinato

Pena la nullità del contratto, occorre, ad substantiam, la forma scritta del contratto di lavoro parasubordinato avente ad oggetto la prestazione di servizi, da parte del dipendente avvocato dell'ente pubblico territoriale con funzioni amministrative, di assistenza e rappresenta in giudizio forma che non può essere surrogata da quella dei singoli atti di esecuzione, consistenti nel conferimento, di volta in volta, delle procure alle liti.

La Sezione Seconda civile della Cassazione sentenza n. 23511 del 17.11.2015 ha precisato che un avvocato dipendente con funzioni amministrative di un ente pubblico, che riceva dall’ente medesimo numerosi incarichi di difesa in giudizio, è ad esso legato da un rapporto di parasubordinazione. Il caso. Un avvocato conveniva in giudizio una Regione, sostenendo di aver da essa ricevuto numerosi mandati con i quali gli erano stati conferiti altrettanti incarichi per l’espletamento di attività professionale di assistenza e rappresentanza giudiziale. Attività regolarmente svolta senza che tuttavia gli venisse corrisposto alcunché. Il difensore chiedeva quindi, anzitutto, il compenso previsto dall’art. 2233 c.c. conteggiato sulla scorta della tariffa professionale, proponendo, in via subordinata, un’azione di arricchimento senza causa. La Regione eccepiva il difetto di giurisdizione, asserendo che l’avvocato era inserito nell' ambito dell'organizzazione pubblicistica della stessa, avendo prestato l'attività lavorativa in questione all'interno del servizio legale, alle dirette dipendenze del responsabile dell'Ufficio, sicché il rapporto era da qualificarsi come di pubblico impiego. Per il Tribunale la giurisdizione era del giudice ordinario. Il Tribunale dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario e rigettava la domanda nel merito, rilevando che l'attore non aveva fornito la prova dell'esistenza di un rapporto privatistico di prestazione d'opera professionale con la Regione, e che, in ogni caso, si doveva concludere per la nullità insanabile del suddetto contratto, non essendosi manifestata la volontà dell'Ente pubblico nella forma scritta ad substantiam . Il Tribunale escludeva inoltre i presupposti per l'azione di arricchimento senza causa. Per la Corte d’appello, invece, sussisteva un difetto di giurisdizione. La Corte d'appello, al contrario, dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a decidere la domanda diretta ad ottenere il pagamento di competenze professionali in base ad un presunto contratto d'opera intellettuale, ma confermava, nel resto, la decisione di promo grado. Secondo la Corte d'appello il rapporto di mandato alle liti non poteva dirsi estraneo al rapporto di pubblico impiego, posto che i mandati alle liti avevano costituito l'ordinario strumento tecnico necessario per lo svolgimento dei compiti istituzionali dell’attore nella sua qualità di avvocato dell'ente datoriale iscritto all'albo speciale presso l'Ordine di appartenenza. Contrordine per le Sezioni Unite la giurisdizione era del giudice ordinario. Invece, le Sezioni Unite dichiaravano la giurisdizione del giudice ordinario cassavano la sentenza impugnata e rinviavano la causa ad altra sezione della Corte d'appello. Infatti, l’avvocato era stato addetto all’Ufficio legale della Regione non come avvocato dell'ente ma con funzioni amministrative, in relazione all'inquadramento nel ruolo amministrativo con la qualifica di istruttore. Ai fini del riparto di giurisdizione, il patrocinio legale prestato da un avvocato in favore di ente territoriale non è riconducibile, per sua stessa natura, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego che leghi l'avvocato medesimo all'ente datore di lavoro, sicché la controversia promossa per conseguire il compenso di detto patrocinio spetta al giudice ordinario, mentre le modalità con cui le relative prestazioni siano in concreto effettuate con carattere di libera attività professionale ovvero in regime di parasubordinazione , riguardano il merito della domanda ma non la giurisdizione. Le Sezioni Unite hanno quindi affermato che il patrocinio legale non può ritenersi compreso nel rapporto di pubblico impiego tra l'ente territoriale e il professionista quando questi, come nel caso di specie, non sia inquadrato nel ruolo legale ma nel ruolo amministrativo in tale ipotesi il rapporto di pubblico impiego non rappresenta la fonte della doverosa esecuzione di detta attività, ma semmai la mera occasione del conferimento di un mandato di carattere professionale. Il rinvio, nel merito il rapporto era di tipo parasubordinato ma nullo per mancanza del contratto per iscritto. In sede di rinvio, la Corte d’appello rigettava le pretese dell’avvocato, compensando tutte le spese di lite. La Corte inquadrava le prestazioni svolte dall’avvocato a favore della Regione nell’ambito di un rapporto di lavoro parasubordinato ex art. 409, numero 3, c.p.c. , anche in considerazione de1 fatto che costui, iscritto nell' albo speciale degli avvocati r esercitava l’attività legale solo in favore della Regione Calabria, non anche in favore di terzi. Tuttavia, sempre secondo la Corte di merito, ta1e rapporto di subordinazione doveva ritenersi inficiato da nullità, non solo per l’incompatibilità dell’esercizio della professione di avvocato con lo svolgimento delle prestazioni inerenti all'impiego, ma anche per il difetto della necessaria forma scritta. L’azione di arricchimento senza causa veniva pure rigettata anche per mancanza della prova della cosiddetta utilitas . La decisione veniva impugnata per Cassazione. Ma la sussistenza della forma scritta del contratto non era comprovata dai singoli mandati alle liti? Il ricorrente censura la sentenza impugnata laddove la Corte ha ritenuto l'invalidità del rapporto di parasubordinazione per incompatibilità ai sensi dell'art. 3 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 e per mancanza di forma scritta richiesta ad substantiam . Ma la Cassazione condivide la motivazione adottata dai giudici di merito quanto alla declaratoria della nullità del contratto a per la incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato con lo svolgimento delle prestazioni inerenti all'impiego pubblico, per non essere l'attore mai stato chiamato a svolgere mansioni di avvocato in rapporto organico con le funzioni assegnate all'Ufficio legale della Regione. b per il difetto di forma scritta, richiesta ad substantiam , versandosi in ipotesi di contratto stipulato con la pubblica amministrazione. A questo proposito la Suprema Corte svolge una importante precisazione non è in discussione il principio secondo cui in tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell' art. 83 c.p.c., atteso che l'esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, rendendo così possibile l'identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell'Autorità tutoria. Che conta è la sussistenza del contratto quadro” di parasubordinazione, non i singoli mandati alle liti. Per gli Ermellini è invece decisivo osservare che ciò che viene in rilievo nella specie non è il singolo contratto di mandato professionale, ma il contratto di lavoro parasubordinato da cui traggono origine le singole delibere di incarico ed il conseguente rilascio delle procure alle liti, accordo, questo, per il quale manca la stipulazione in forma scritta. In altri termini, occorreva, ad substantiam , la forma scritta del contratto di lavoro parasubordinato con la Regione, avente ad oggetto la prestazione di servizi, da parte del dipendente dell'ente pubblico territoriale con funzioni amministrative, di assistenza e rappresenta in giudizio forma che non poteva essere surrogata da quella dei singoli atti di esecuzione, consistenti nel conferimento, di volta in volta, delle procure alle liti. Il ricorso per cassazione è stato rigettato.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 14 ottobre – 17 novembre 2015, n. 23511 Presidente Bucciante – Relatore Giusti Ritenuto in fatto 1. - Con atto di citazione notificato il 13 dicembre 1996, l'Avv. B.B. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Catanzaro la Regione Calabria ed esponeva che l'Ente, con distinti mandati del presidente pro tempore previe delibere autorizzative della Giunta, gli aveva conferito incarichi per l'espletamento di attività professionale di assistenza e rappresentanza giudiziale che egli aveva adempiuto a tali incarichi senza che gli fosse stato corrisposto alcun compenso che l'attività da lui prestata era da ricondursi alla prestazione d'opera intellettuale che dunque la Regione gli doveva corrispondere il compenso previsto dall'art. 2233 cod. civ., per la cui determinazione era applicabile la tariffa professionale che inutilmente aveva notificato all'Ente debitore 150 preavvisi di parcella e formalmente richiesto il pagamento dei relativi emolumenti con atto stragiudiziale notificato il 10 giugno 1996 che i detti preavvisi di pagamento rappresentavano l'importo complessivo del suo credito per lire 1.298.200.000, oltre interessi ed accessori. Su tali premesse, chiedeva la condanna della Regione al pagamento della somma summenzionata in via principale a titolo di risarcimento dei danni per inadempimento contrattuale e, in via subordinata, di arricchimento senza causa. Costituitasi, la Regione eccepiva in primis il difetto di giurisdizione del giudice ordinario ed adduceva quella del giudice amministrativo, esponendo che il B. era inserito nell'ambito dell'organizzazione pubblicistica della Regione, avendo prestato l'attività lavorativa in questione all'interno del servizio legale, alle dirette dipendenze del responsabile dell'Ufficio, sicché il rapporto era da qualificare come di pubblico impiego. Eccepiva, inoltre, la prescrizione presuntiva del credito e contestava, nel merito, i criteri determinativi applicati dal B. nei preavvisi di parcella. In corso di causa l'Avv. B. riduceva la somma pretesa a quella minore di lire 934.296.500, oltre accessori. 2. - Il Tribunale di Catanzaro, con sentenza resa in data 12 luglio 1999, dichiarava la giurisdizione del giudice ordinario e rigettava la domanda nel merito, compensando tra le parti le spese. Quanto al merito, il Tribunale rilevava che l'attore non aveva fornito la prova dell'esistenza di un rapporto privatistico di prestazione d'opera professionale con la Regione, nulla essendo possibile desumere dalla documentazione acquisita agli atti e che, in ogni caso, si doveva concludere per la nullità insanabile del suddetto contratto, non essendosi manifestata la volontà dell'Ente pubblico nella forma scritta ad substantiam . Il Tribunale escludeva inoltre la ravvisabilità dei presupposti per l'azione di arricchimento senza causa, proposta in via subordinata dall'attore. 3. - Con sentenza in data 1 febbraio 2002, la Corte d'appello di Catanzaro dichiarava il difetto di giurisdizione del giudice ordinario a decidere la domanda del B. diretta ad ottenere il pagamento di competenze professionali in base ad un presunto contratto d'opera intellettuale ex artt. 2222 e ss. cod. civ., confermava, nel resto, la gravata pronunzia e compensava tra le parti le spese. Il giudice del gravame rilevava che l'Avv. B. , assunto inizialmente a termine alle dipendenze della Regione come impiegato di quinto livello, era stato mantenuto in servizio a tempo indeterminato con la qualifica di istruttore di sesto livello e trasferito all'Ufficio legale contenzioso, poi divenuto settore legale e infine Avvocatura regionale. Il B. era rimasto inquadrato nei ruoli del personale amministrativo con la qualifica funzionale di istruttore essendo stati annullati dalla Commissione di controllo i successivi provvedimenti di inquadramento come dirigente e funzionario di livello ottavo ed aveva svolto compiti di avvocato dell'ente. La Corte d'appello affermava che nel caso concreto il rapporto di mandato alle liti non poteva dirsi estraneo al rapporto di pubblico impiego, posto che i mandati alle liti avevano costituito l'ordinario strumento tecnico necessario per lo svolgimento dei compiti istituzionali del B. nella sua qualità di avvocato dell'ente datoriale iscritto all'albo speciale presso l'Ordine di Catanzaro. Inoltre - proseguiva la Corte d'appello - la domanda di arricchimento senza causa proposta dall'attore in primo grado era improponibile, posto che la parte poteva far valere il proprio diritto in relazione al rapporto di pubblico impiego mancava del resto la prova dell'arricchimento. 4. - Con sentenza n. 13970 del 26 luglio 2004, le Sezioni Unite della Corte di cassazione accoglievano il primo motivo del ricorso principale dell'Avv. B. e dichiaravano la giurisdizione del giudice ordinario dichiaravano assorbiti gli altri motivi del ricorso principale ed il ricorso incidentale della Regione cassavano la sentenza impugnata e rinviavano la causa ad altra sezione della Corte d'appello di Catanzaro. A tale riguardo, le Sezioni Unite hanno premesso che l'Avv. B. è stato addetto all'Ufficio legale della Regione Calabria non come avvocato dell'ente ma con funzioni amministrative, in relazione all'inquadramento nel ruolo amministrativo con la qualifica di istruttore. La Corte regolatrice ha quindi ricordato che, ai fini del riparto di giurisdizione, il patrocinio legale prestato da un avvocato in favore di ente territoriale non è riconducibile, per sua stessa natura, nell'ambito del rapporto di pubblico impiego che leghi l'avvocato medesimo all'ente datore di lavoro, sicché la controversia promossa per conseguire il compenso di detto patrocinio spetta al giudice ordinario, mentre le modalità con cui le relative prestazioni siano in concreto effettuate con carattere di libera attività professionale ovvero in regime di parasubordinazione , riguardano il merito della domanda ma non la giurisdizione. In linea con questo indirizzo, le Sezioni Unite hanno quindi affermato che il patrocinio legale non può ritenersi compreso nel rapporto di pubblico impiego tra l'ente territoriale e il professionista quando questi, come nel caso di specie, non sia inquadrato nel ruolo legale ma nel ruolo amministrativo in tale ipotesi il rapporto di pubblico impiego non rappresenta la fonte della doverosa esecuzione di detta attività, ma semmai la mera occasione del conferimento di un mandato di carattere professionale. 5. - Giudicando in sede di rinvio, la Corte di Catanzaro, con sentenza resa pubblica in data 19 giugno 2009, ha rigettato l'appello del B. , dichiarando interamente compensate tra le parti le spese relative al giudizio di appello, a quello di cassazione e a quello di rinvio. A tale riguardo la Corte d'appello - ritenuta la compatibilità dell'assoggettamento all'ingerenza ed alle direttive della Regione Calabria con la natura professionale della prestazione, ha inquadrato le prestazioni rese dal B. in favore della Regione nell'ambito di un rapporto di lavoro parasubordinato ex art. 409, numero 3, cod. proc. civ. , anche in considerazione del fatto che costui, iscritto nell'albo speciale degli avvocati, esercitava l'attività di legale solo in favore della Regione Calabria, non anche in favore di terzi - ha affermato che tale rapporto di subordinazione deve ritenersi inficiato da nullità, non solo per l'incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato con lo svolgimento delle prestazioni inerenti all'impiego pubblico l'Avv. B. essendo stato addetto all'Ufficio legale della Regione non come avvocato dell'ente ma con funzioni amministrative, in relazione all'inquadramento nel ruolo amministrativo con la qualifica di istruttore , ma anche per il difetto della necessaria forma scritta - quanto all'azione di arricchimento senza causa, ha per un verso rilevato la genericità della censura rivolta alla statuizione del primo giudice sulla mancanza del requisito del riconoscimento quanto meno implicito dell'utilità della prestazione, e per l'altro verso ha sottolineato che le argomentazioni dell'appellante relative alla prova dell' utilitas non valgono a contrastare quelle rese sul punto dal primo giudice, in quanto, da un lato, ciò che assume rilievo è la astratta possibilità della Regione di avvalersi dell'Avvocatura erariale e non la circostanza che nel caso di specie il patrocinio dell'Avvocatura non è stato richiesto ha quindi precisato che l'appellante si è limitato ad una mera affermazione là dove ha sostenuto che l'attività dell'appellante è stata svolta anche al di fuori degli orari d'ufficio, e non ha censurato l'appellata sentenza nella parte in cui ha sostenuto che un tale assunto non ha trovato decisivi riscontri. 6. - Per la cassazione della sentenza della Corte d'appello l'Avv. B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 13 settembre 2010, sulla base di dieci motivi. L'Avvocatura erariale ha resistito con controricorso. In prossimità dell'udienza il ricorrente ha depositato una memoria illustrativa. Considerato in diritto 1. - Va in primo luogo rigettata l'eccezione del ricorrente, formulata nella memoria depositata in prossimità dell'udienza, di non accettazione del contraddittorio rispetto al controricorso dell'Avvocatura erariale. L'eccezione di invalidità del controricorso è sollevata dalla difesa del ricorrente sul rilievo che il controricorso è stato predisposto per l'Agenzia delle entrate e contiene conclusioni formulate per l'Amministrazione Finanziaria . L'eccezione è priva di fondamento perché si è di fronte ad un mero errore materiale nell'intestazione del ricorso e nella indicazione della parte che rassegna le conclusioni, mentre in realtà dal complessivo tenore del controricorso appare chiaramente intelligibile che la difesa dell'Avvocatura si è svolta in favore della Regione Calabria per resistere al ricorso per cassazione proposto dall'Avv. B.B. avverso la sentenza della Corte d'appello di Catanzaro n. 491 del 2009. D'altra parte, va qui ribadito che non è richiesto, per lo ius postulandi dell'Avvocatura dello Stato in favore della Regione, il rilascio del mandato, né l'Avvocatura è onerata della produzione del provvedimento del competente organo regionale di autorizzazione del legale rappresentante a resistere in giudizio Cass., Sez. Un., 29 aprile 2004, n. 8211 Cass., Sez. II, 16 marzo 2007, n. 6166 . 2. - Con il primo motivo violazione dell'art. 2909 cod. civ. il ricorrente - premesso che le Sezioni Unite, nel regolare la giurisdizione, hanno affermato la giurisdizione del giudice ordinario nel caso concreto qualificando il rapporto come di natura privatistica e demandando al giudice del merito la qualificazione dello stesso se in regime di parasubordinazione o con carattere libero professionale - sostiene che erroneamente il giudice del rinvio ha individuato una terza qualificazione del rapporto come rapporto di mero fatto di natura pubblica , così intaccando i principi della intangibilità del giudicato. Il secondo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 384 cod. proc. civ. deduce che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 13970 del 2004, hanno accolto il ricorso attinente alla giurisdizione sancendo la giurisdizione del giudice ordinario sul presupposto della qualificazione del rapporto dedotto come di natura privatistica, da qualificare o di natura parasubordinata o libero professionale. Ne deriva, ad avviso del ricorrente, che il giudice del rinvio non poteva individuare ed affermare una terza qualificazione del rapporto come rapporto di mero fatto di natura pubblica senza intaccare il principio del limite del potere decisionale del giudice di rinvio. 2.1. - I primi due motivi - da esaminare congiuntamente, stante la stretta connessione - sono inammissibili. Né l'uno né l'altro colgono la ratio decidendi . Se è vero, infatti, che la Corte d'appello, giudicando in sede di rinvio, ha inizialmente, ed in via dubitativa, avanzato la tesi secondo cui il principio enunciato dal Supremo Collegio nella sentenza resa nella presente controversia non sembra escludere che la verifica delle modalità da parte del giudice del merito possa condurre ad inquadrare il rapporto con l'ente pubblico in un rapporto di mero fatto di natura pubblica, di certo non rientrante nel regolare rapporto che il professionista ha già con l'ente pubblico ma che si affianca allo stesso tuttavia è decisiva la considerazione che nel prosieguo della motivazione pag. 23 e ss. la sentenza impugnata abbandona questa prospettiva e - partendo dalla premessa che la pronuncia resa dalla Corte di cassazione limiti il potere di qualificazione della domanda da parte del giudice del merito nel solo accertamento se le prestazioni in questione siano state effettuate con carattere di libera attività professionale ovvero in regime di parasubordinazione - perviene alla conclusione che le prestazioni in questione rese dal B. in favore della Regione devono considerarsi svolte nell'ambito di un rapporto di lavoro parasubordinato ex art. 409, n. 3, cod. proc. civ. pag. 27 . È questa la qualificazione del rapporto dedotto in giudizio che orienta le successive statuizioni della Corte territoriale e detta qualificazione, lungi dal porsi come terza qualificazione del rapporto , si muove nell'ambito dell'alternativa che le Sezioni Unite avevano rimesso al giudice del rinvio, demandandogli appunto di valutare - trattandosi di aspetto riguardante il merito della domanda ma non la giurisdizione - se le relative prestazioni siano state in concreto effettuate con carattere di libera attività professionale ovvero in regime di parasubordinazione. 3. - Con il terzo motivo violazione e falsa applicazione dell'art. 3 del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, nella legge 22 gennaio 1934, n. 36 violazione, per altro verso, dell'art. 2909 cod. civ. e dell'art. 112 cod. proc. civ. il ricorrente censura la sentenza impugnata là dove la Corte ha ritenuto l'invalidità del rapporto di parasubordinazione per incompatibilità ai sensi dell'art. 3 del regio decreto-legge n. 1578 del 1933 e per mancanza di forma scritta richiesta ad substantiam . Con esso si pone il seguente quesito dica la S.C. se o meno l'incompatibilità prevista dalla legge professionale ingenera invalidità del rapporto, rilevabile d'ufficio, posto in essere in permanenza dell'abilitazione professionale, prima che tale incompatibilità venga ad essere sanzionata, e se o meno il rapporto di parasubordinazione per il patrocinio legale può essere costituito se non da un'unica e contestuale convenzione scritta, dalla sequela delle delibere e dei relativi mandati cosi come accettati ed eseguiti. Inoltre, posto che la sentenza di cassazione con rinvio aveva disposto di esaminare il rapporto di natura privatistica di patrocinio legale o come parasubordinato o come libero professionale, e premesso che l'attore aveva già inizialmente ed anche nell'atto di riassunzione sostenuto la sussistenza di quest' ultimo, dica la S.C. se o meno la Corte di merito aveva l'obbligo di esaminare entrambe le ipotesi alternative formulate nella sentenza di rinvio e se o meno aveva comunque l'obbligo di esaminare la domanda cosi come prospettata dall'attore-appellante in riassunzione come compenso per attività libero-professionale . 3.1. - Il motivo è infondato, per la parte in cui non è inammissibile. 3.1.1. - In primo luogo, la qualificazione del rapporto operata dal giudice del rinvio non ha messo in discussione la statuizione sulla giurisdizione resa dalle Sezioni Unite con la citata sentenza n. 13970 del 2004 né ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. Detta sentenza, infatti, ha affermato che il patrocinio legale non può ritenersi compreso nel rapporto di pubblico impiego tra l'ente territoriale e il professionista quando questi, come nel caso di specie, non sia inquadrato nel ruolo legale ma nel ruolo amministrativo, per poi demandare al giudice del rinvio, trattandosi di un aspetto concernente il merito e non la giurisdizione, se le relative prestazioni siano state in concreto effettuate con carattere di libera attività professionale ovvero in regime di parasubordinazione. Di talché la qualificazione, operata dalla Corte d'appello, nel senso della riconducibilità delle prestazioni nell'ambito del rapporto di lavoro parasubordinato, è conforme al dictum delle Sezioni Unite e d'altra parte, la Corte territoriale ha spiegato ampiamente le ragioni a favore della soluzione in concreto divisata rispetto all'altra ipotesi, il riconoscimento del rapporto come libero professionale, teoricamente prospettabile e dedotta dall'attore a fondamento della causa petendi , avendo sottolineato sia il carattere continuativo della collaborazione professionale, sia l'assoggettamento dell'Avv. B. all'ingerenza e alle direttive della Regione Calabria desumibili in particolare dalla nota n. 1553 dell'8 marzo 1988 , sia, ancora, il fatto che il B. , iscritto all'albo speciale, esercitava l'attività di legale solo in favore della Regione. Non sussiste, pertanto, la denunciata violazione dell'art. 2909 cod. civ. e del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. 3.1.2. - Il giudice a quo ha fondato la declaratoria di nullità del contratto su due rationes , ciascuna delle quali autonoma e sufficiente a sostenere la decisione a la prima, per la incompatibilità dell'esercizio della professione di avvocato con lo svolgimento delle prestazioni inerenti all'impiego pubblico, per non essere l'attore mai stato chiamato a svolgere mansioni di avvocato in rapporto organico con le funzioni assegnate all'Ufficio legale della Regione Calabria b la seconda, per il difetto di forma scritta, richiesta ad substantiam , versandosi in ipotesi di contratto stipulato con la pubblica amministrazione. Non è fondata la censura alla seconda ratio decidendi quella sub b . Non è infatti in discussione il principio secondo cui in tema di forma scritta ad substantiam dei contratti della P.A., il requisito è soddisfatto, nel contratto di patrocinio, con il rilascio al difensore della procura ai sensi dell'art. 83 cod. proc. civ., atteso che l'esercizio della rappresentanza giudiziale tramite la redazione e la sottoscrizione dell'atto difensivo perfeziona, mediante l'incontro di volontà fra le parti, l'accordo contrattuale in forma scritta, rendendo cosi possibile l'identificazione del contenuto negoziale e i controlli dell'Autorità tutoria Cass., Sez. II, 5 maggio 2004, n. 8500 Cass., Sez. VI-3, 16 febbraio 2012, n. 2266 . È invece decisivo osservare che - come la Corte d'appello ha correttamente sottolineato - ciò che viene in rilievo nella specie non è il singolo contratto di mandato professionale, ma il contratto di lavoro parasubordinato da cui traggono origine le singole delibere di incarico ed il conseguente rilascio delle procure alle liti, accordo, questo, per il quale manca la stipulazione in forma scritta. In altri termini, occorreva, c.d. substantiam , la forma scritta del contratto di lavoro para-subordinato con la Regione, avente ad oggetto la prestazione di servizi, da parte del dipendente dell'ente pubblico territoriale con funzioni amministrative, di assistenza e rappresenta in giudizio forma che non poteva essere surrogata da quella dei singoli atti di esecuzione, consistenti nel conferimento, di volta in volta, delle procure alle liti. Di qui la complessiva inammissibilità di questa parte del motivo, in rapporto all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., posto che quando una decisione di merito, impugnata in sede di legittimità, si fonda su distinte ed autonome rationes decidendi ognuna delle quali sufficiente, da sola, a sorreggerla, perché possa giungersi alla cassazione della stessa è indispensabile che tali censure risultino tutte fondate ne consegue che, rigettato il motivo che investe una delle riferite argomentazioni, a sostegno della sentenza impugnata, è inammissibile, per difetto di interesse, il restante motivo, atteso che anche se quest'ultimo dovesse risultare fondato, non per questo potrebbe mai giungersi alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base della ratio nella specie, la mancanza della forma scritta ad substantiam del contratto di lavoro parasubordinato ritenuta corretta. 4. - Il quarto mezzo denuncia vizio di motivazione per illogicità e contraddittorietà su fatto controverso e decisivo. Premesso che la Corte di merito ha negato la pretesa del credito professionale per l'attività effettivamente svolta con delibere autorizzative e distinte procure per i singoli incarichi professionali in pendenza anche di un rapporto di pubblico impiego per altre mansioni, configurando in astratto il rapporto di parasubordinazione, poi negando lo stesso per ragioni formali , il ricorrente, nel porre il quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., si chiede se appaia o meno per ciò stesso logicamente corretto escludere anche il rapporto libero professionale e conseguentemente negare ogni tutela per la pretesa creditoria dedotta in giudizio . 4.1. - Il motivo è infondato. Come rilevato retro, al punto 3.1.1. del Considerato in diritto, la Corte d'appello ha ampiamente dato conto, con motivazione logica e congruamente motivata, delle ragioni per cui le prestazioni in questione rese dall'Avv. B. in favore della Regione devono considerarsi svolte nell'ambito, non di un contratto di prestazione d'opera professionale in regime di libera attività professionale, ma di un rapporto di lavoro parasubordinato. Nel contestare la qualificazione data dal giudice del merito al rapporto controverso, il ricorrente, pur lamentando formalmente un decisivo difetto di motivazione, tende, in realtà, ad una non ammissibile in sede di legittimità richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze ormai definitivamente accertati in sede di merito. Sotto questo profilo il ricorrente, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante ai sensi dell'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., invoca, piuttosto, una diversa lettura delle risultanze procedimentali cosi come accertate e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo così all'impugnata sentenza censure che non possono trovare ingresso in questa sede. 5. - Il quinto mezzo lamenta violazione degli artt. 2230 e ss. cod. civ. e dei principi generali sulla prova. Sinteticamente premettendo che la Corte di merito ha ritenuto non dimostrata la non obbligatorietà dei patrocini nonostante avesse rilevato la mancata contestazione dei fatti addotti a sostegno della domanda , il ricorrente formula il quesito se o meno occorresse provare la non obbligatorietà della prestazione per dimostrare il rapporto privatistico della prestazione professionale che esulava dal distinto rapporto di impiego, e se o meno il fatto non contestato avesse bisogno di essere provato . 5.1. - Il motivo non coglie la ratio decidendi , perché la Corte d'appello fonda la propria decisione sulla natura privatistica, in regime di parasubordinazione, delle prestazioni in concreto effettuate, come si desume chiaramente dalla motivazione che inizia dall'ultimo capoverso di pag. 23 della sentenza. 6. - Con il sesto motivo violazione, per altro verso, degli artt. 2230 e ss. cod. civ. il ricorrente pone i seguenti interrogativi se quanto e fino a quando esiste l'iscrizione all'albo professionale può o meno il giudice di merito, d'ufficio e senza eccezione della parte, considerare nullo o inefficace il rapporto di patrocinio per ritenuta insussistenza dei presupposti per l'iscrizione all'albo speciale per mancanza di una formale costituzione di un ufficio legale per legge già istituito e di fatto operativo, e se o meno il rapporto di natura privatistica di cui agli artt. 2230 e ss. cod. civ. richiede il requisito dell'esplicazione della attività libero professionale in via esclusiva e se la mancanza di tale requisito può o meno configurare la nullità o inefficacia del rapporto, rilevabile d'ufficio e senza eccezione di parte se o meno la Corte di merito doveva esaminare concretamente caso per caso l'attività del ricorrente per determinarne la riconducibilità dell'opera al rapporto libero professionale e, avendo ritenuto la nullità della convenzione, se o meno avesse dovuto conseguentemente determinare il compenso secondo la gradualità prevista dall'art. 2233 cod. civ. . 6.1. - Il motivo è inammissibile. Quanto alla prima parte del quesito, relativa alla nullità del contratto pur nella permanenza dell'iscrizione all'albo speciale, valgono le considerazioni espresse retro, sub 3.1.2. del Considerato in diritto . Quanto alla seconda parte del quesito, la ragione della inammissibilità sta nel fatto che essa non coglie l'intera ratio decidendi . L'esclusione della configurabilità del rapporto libero-professionale ai sensi dell'art. 2230 cod. civ. è stata infatti basata non solo sulla circostanza che l'avv. B. , iscritto all'albo speciale, esercitava l'attività di legale solo in favore della Regione, ma anche, e prima ancora, sul carattere continuativo della collaborazione professionale e sull'assoggettamento dell'avv. B. all'ingerenza e alle direttive della Regione Calabria desumibili in particolare dalla nota n. 1553 dell'8 marzo 1988 . In ordine, infine, alla necessità di esaminare caso per caso l'attività del ricorrente, l'inammissibilità discende dal fatto che si tratta nella specie di un quesito di merito, che non prospetta una discrasia tra le ragioni, neppure indicate, che sostengono in diritto la sentenza impugnata e la diversa regula iuris che invece avrebbe dovuto essere applicata. 7. - Il settimo mezzo lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2041 e 2042 cod. civ. nonché omessa pronuncia per omessa considerazione di fatto decisivo della controversia. Con esso il ricorrente si duole che la Corte di merito abbia escluso perfino un compenso indennitario sotto il profilo dell'arricchimento senza causa, non prevedendo alcuna retribuzione dell'attività prestata come se fosse una prestazione meramente volontaria e di donazione nei confronti dell'ente . Il quesito che accompagna il motivo è del seguente tenore dica la Suprema Corte se il giudice del merito può o meno escludere il requisito dell' utilitas di cui all'art. 2041 cod. civ. ipotizzando, sempre d'ufficio, la possibilità di alternative di soddisfacimento delle esigenze di servizio dell'ente in altra forma, e dica la S.C. se in presenza di espressi reiterati mandati di conferimento degli incarichi, col riconoscimento anche implicito della prestazione, e contenenti anche la motivazione degli stessi con il parere richiesto secondo la procedura interna, possa o meno essere disapplicata dal giudice di merito in sede di scrutinio della domanda subordinata di arricchimento senza causa il principio [del] compenso indennitario di cui all'art. 2041 cod. civ., non prevedendo alcuna retribuzione dell'attività effettivamente espletata. Inoltre, dica la S.C. se, avendo ritenuto il giudice di primo grado che l'attività di udienza si svolgesse durante gli orari di ufficio, occorresse o meno in appello censurare specificamente la ritenuta mancanza di prova sulle modalità di svolgimento della residua prestazione e dica la S.C. se o meno la Corte di merito ha omesso di pronunciare in ordine a tale fatto controverso . 7.1. - Il motivo è inammissibile. Il rigetto della domanda di ingiustificato arricchimento è fondato su una duplice argomentazione, la prima relativa alla mancata prova del fatto oggettivo dell'arricchimento della Regione, la seconda concernente la mancanza di una censura specifica articolata con l'atto di appello avverso la statuizione del primo giudice in punto di mancata prova dell'impoverimento dell'Avv. B. . Sotto il primo profilo, la Corte di Catanzaro ha rilevato, condividendo la conclusione del Tribunale, che ciò che assume rilievo è la astratta possibilità della Regione di avvalersi della avvocatura erariale e non la circostanza che nel caso di specie il patrocinio di tale avvocatura non è stato chiesto . Sotto il secondo profilo, la Corte distrettuale ha rilevato che il B. si è limitato ad una mera affermazione là dove ha sostenuto che l'attività dell'appellante è stata svolta anche ovviamente al di fuori degli orari d'ufficio , senza specificamente censurare l'impugnata sentenza nella parte in cui ha affermato che un tale assunto non ha trovato decisivi riscontri . In questo contesto, il quesito che conclusivamente accompagna conclusivamente il motivo non solleva una valida censura. Per un verso, infatti, e sotto il primo profilo, il quesito mette in dubbio che, ai fini dell' utilitas , il giudice sia abilitato ad ipotizzare d'ufficio la possibilità di alternative di soddisfacimento delle esigenze di servizio in altra forma, ma erroneamente non considera che il giudice ha il potere-dovere di riscontrare la sussistenza dei presupposti che, ai sensi dell'art. 2041 cod. civ., fanno scattare l'obbligo indennitario della P.A Per l'altro verso, e sotto il secondo profilo, l'interpello formulato dal ricorrente non tiene conto del dato - decisivo ed assorbente - che l'accertamento del primo giudice in ordine alla mancanza di prova dell'impoverimento per avere l'Avv. B. , dipendente della Regione, svolto l'attività professionale in favore dell'ente durante l'orario di servizio, avrebbe dovuto essere impugnato con uno specifico motivo di appello, ai sensi dell'art. 342 cod. proc. civ., e non con una affermazione generica. 8. - Con l'ottavo motivo violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. il ricorrente deduce che la questione della nullità assoluta del contratto per mancanza di forma scritta ad substantiam era inammissibile per la preclusione di cui all'art. 345 cod. proc. civ., non essendo stata affatto riproposta, ma proposta, ex novo e per la prima volta, in appello. Di qui il quesito se o meno il giudice di merito in sede di rinvio può introdurre e statuire su questioni ed eccezioni non sollevate nei modi e nei termini di legge e non rilevabili d'ufficio . 8.1. - Il motivo è infondato, essendo ammissibile l'eccezione di nullità del contratto per difetto di forma prospettata per la prima volta in appello da una delle parti, e rientrando nel potere-dovere del giudice, anche in sede di gravame, rilevare d'ufficio la nullità del titolo negoziale posto a base della pretesa di pagamento Cass., Sez. I, 21 dicembre 2007, n. 27088 Cass., Sez. Un., 12 dicembre 2014, n. 26243 . 9. - Con il nono motivo violazione e falsa applicazione, per altro verso, degli artt. 112 e 345 cod. proc. civ. si addebita alla Corte di merito di avere commesso extra petizione, sia qualificando giuridicamente i fatti riconducendoli nel regime della parasubordinazione senza la relativa eccezione e cosi modificando sostanzialmente la causa petendi dell'azione proposta [ ], e sia avendo posto a fondamento della decisione una disciplina di natura contrattuale non allegata dall'attore a sostegno della domanda . Il quesito formulato dal ricorrente è il seguente premesso sinteticamente che la Corte di merito ha ritenuto di trarre argomento ai fini del rigetto della domanda dalla verifica della sussistenza delle condizioni dell'azione in mancanza di impugnazione e dal rilievo dato non ai singoli contratti di patrocinio, ma a quello di parasubordinazione, per poi dichiarare la nullità di tale contratto, [ ] dica la S.C. se il giudice di merito poteva o meno diversamente qualificare giuridicamente i fatti senza la relativa eccezione e se cosi facendo potesse o meno modificare la causa petendi dell'azione proposta, ponendo a fondamento della decisione una disciplina di natura contrattuale non allegata dall'attore a sostegno della domanda e non eccepita dalla controparte . 9.1. - La censura è infondata, perché rientra nel potere-dovere del giudice d'appello, investito della domanda di adempimento contrattuale rigettata dal giudice di primo grado, procedere alla qualificazione giuridica del rapporto negoziale posto a base della pretesa creditoria. D'altra parte, non è nella specie prospettabile alcuna preclusione alla qualificazione del rapporto operata dalla Corte territoriale la sentenza del Tribunale ha infatti escluso che l'attore avesse fornito la prova dell'esistenza di un rapporto privatistico di prestazione d'opera professionale con la Regione , in ogni caso concludendo, in via subordinata, per la nullità insanabile di esso e la prima pronuncia della Corte d'appello di Catanzaro, quella in data 1 febbraio 2002 contenente la declinatoria di giurisdizione, si esprime in termini di presunto contratto d'opera intellettuale . 10. - Con il decimo motivo si lamenta omessa e/o insufficiente e contraddittoria motivazione, per altro verso, su fatto decisivo della controversia. Con esso il ricorrente formula il quesito ex art. 366-bis cod. proc. civ., sinteticamente premettendo che la Corte di merito ha negato le richieste istruttorie sul presupposto che le stesse non fossero state ammesse in primo grado e non riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, e conseguentemente ritenute tardive, mentre le stesse non erano state delibate dal giudice di primo grado, e senza considerare che erano state proposte in appello con apposito capo di gravame ed anzi riproposte in sede di precisazione delle conclusioni, senza alcuna eccezione di controparte, e chiedendo se o meno appare per ciò stesso corretto escludere la ammissibilità e l'espletamento di quei mezzi istruttori e conseguentemente non consentire di poter provare le effettive modalità di conferimento e espletamento degli incarichi professionali anche sotto il profilo del vantaggio conseguito dall'ente per effetto dello svolgimento di quell'attività, e se la Corte di merito può o meno rigettare le richieste istruttorie riproposte in grado di appello ed in contraddittorio con la controparte, senza indicare i criteri che deponevano per la loro ulteriore inammissibilità . 10.1. - Il motivo è infondato. Quanto alle prove per interrogatorio formale e per testi, in sede di rinvio la Corte di appello, con l'ordinanza depositata in data 9 agosto 2006, le ha dichiarate inammissibili per tardività. L'esame della richiesta di prova vi è dunque stato e si è risolto in una valutazione negativa della relativa ammissibilità. La difesa dell'avv. B. non deduce di avere riproposto, successivamente a tale ordinanza di inammissibilità della prova in data 9 agosto 2006, l'istanza di ammissione limitandosi a fare riferimento alle conclusioni di cui alla precdente udienza del 12 giugno 2001 . E dalle conclusioni rassegnate dal difensore del B. all'udienza del 9 dicembre 2008, trascritte a pag. 2 della sentenza qui impugnata, non compare alcuna riproposizione di richiesta di prova per interrogatorio e per testi. L'omessa riproposizione di detta istanza ha valore di rinuncia alla prova stessa Cass., Sez. III, 27 aprile 2011, n. 9410 Cass., Sez. VI-2, 27 giugno 2012, n. 10748 . Quanto, poi, alla consulenza tecnica d'ufficio, la richiesta di accertare, per il tramite di essa, la natura e l'entità delle prestazioni ha evidentemente carattere esplorativo mentre l'istanza di affidare all'ausiliare del giudice la quantificazione del corrispondente compenso è priva di decisività, avendo la Corte d'appello - con statuizioni che resistono alle censure articolate con il ricorso - escluso l' an della pretesa creditoria. 11. - Il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dalla Regione controricorrente, che liquida, in complessivi Euro 8.000 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.