La prescrizione è fonte legale e non deontologica e come tale irretroattiva

In merito all'irrogazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale, l’art. 65, comma 5 della legge di riforma dell’ordinamento forense, secondo cui le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore 02.02.2014 , se più favorevoli all’incolpato, non riguarda l’istituto della prescrizione la cui fonte è legale e non deontologica, restando dunque operante il criterio dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative.

In questo senso si è pronunciata la Corte di Cassazione, con la sentenza n. 23364/2015, depositata il 16 novembre. Il caso. Un avvocato veniva attinto dalla sanzione disciplinare della sospensione di due mesi dall’esercizio della professione dal COA distrettuale. La sanzione atteneva a due addebiti per comportamenti tenuti sino al 05.12.2008 e segnatamente a aver assunto incarichi professionali con l’intermediazione di un altro professionista sottoposto a provvedimento disciplinare interdittivo b autentica di mandati alle liti conferiti da persone senza previo contatto. In sede di gravame il CNF riteneva il secondo addebito assorbito nel primo perché più grave mentre respingeva l’eccezione di prescrizione dell’azione disciplinare avendo la condotta sanzionata carattere permanente. Ricorre per cassazione l’avvocato. I motivi di ricorso. Il ricorrente sostiene che gli addebiti ascrittigli siano di natura istantanea dunque separata e non continuata. Tanto la sottoscrizione dei mandati quanto l’interposizione si erano esauriti nel momento in cui aveva accettato di espletare l’attività difensiva e non nel momento successivo in cui aveva iniziato a darvi esecuzione. Da qui l’eccezione di prescrizione quinquennale compresa la proroga a 75 mesi dell’azione disciplinare. Le argomentazioni della Corte. Le Sezioni Unite rigettano il ricorso. Gli Ermellini, per dirimere la vicenda in esame, richiamano quella consolidata giurisprudenza ex multis Cass. SS.UU. sentenza n. 1822/2015 in base alla quale la prescrizione decorre dal momento della cessazione della permanenza del comportamento. D’altra parte nel procedimento disciplinare costituiscono validi atti di interruzione della prescrizione quelli di apertura del procedimento nonché tutti gli atti dal carattere propulsivo o probatorio. Pertanto ai sensi dell’art. 2945, comma 1, c.c. , dal momento dell’interruzione inizia a decorrere un nuovo periodo di prescrizione. Mentre nella fase giurisdizionale dinanzi al CNF e di impugnazione dinanzi alle Sezioni Unite opera il principio dell’effetto interruttivo permanente artt. 2945 co 2 c.c. e 2943 c.c. . Ciò chiarito, le Sezioni Unite affermano altresì come nel caso di specie non possano nemmeno applicarsi i principi introdotti dalla l. n. 247/2012 e, specificamente, l’art. 56 ivi contemplato. Richiamando diversi precedenti ex multis Cass. SS.UU. sentenza n. 11025/2014 spiegano che l’istituto della prescrizione è di fonte legale e non deontologico e che, pertanto, non può applicarsi l’art. 56, comma 3, della suddetta legge, restando operante il criterio generale dell’irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative. Alcun raccordo, infine, è possibile con la disciplina penale ivi prevista in termini di prescrizione, ossia del prolungamento complessivo della durata prescrizione non oltre la metà art. 160, co. 3, c.p. . Da qui l’infondatezza del ricorso proposto con argomentazioni bollate come apodittiche.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 22 settembre – 16 novembre 2015, numero 23364 Presidente Rovelli – Relatore Mammone Svolgimento del processo 1.- Con sentenza 10.11.14 il Consiglio nazionale forense CNF rigettava il ricorso proposto dall'avv. M.M. avverso la sanzione disciplinare della sospensione di due mesi dall'esercizio professionale, irrogatagli dal Consiglio dell'Ordine degli Avvocati COA di Lecce, in relazione a due addebiti disciplinari, relativi a comportamenti tenuti in Lecce fino al 5.12.08, e cioè per avere a assunto incarichi professionali conferiti con l'intermediazione di altro professionista sottoposto a provvedimento disciplinare interdittivo, consentendo a costui l'esercizio abusivo della professione, con violazione degli artt. 5, 6 e 21 del codice deontologico b autenticato mandati ad lites conferiti da persone con le quali ella non aveva preso alcun previo contatto, con violazione degli artt. 8 e 36 del codice deontologico CDF . 2.- Per quanto qui rileva, il CNF prendeva atto preliminarmente di quanto statuito dal COA di Lecce, che il secondo addebito doveva ritenersi assorbito dal primo, dato che l'autenticazione della firma del mandato non apposta in presenza del professionista costituiva modalità di attuazione del comportamento interpositorio. Il CNF rigettava, inoltre, l'eccezione di prescrizione dell'azione disciplinare proposta dall'incolpata, rilevando che la condotta dalla stessa posta in atto si era protratta nel tempo, di modo che la prescrizione aveva cominciato a decorrere dalla cessazione della condotta in questione. Quanto all'elemento soggettivo, il giudice riteneva che la professionista fosse venuta meno al grado minimo di diligenza richiesto nella situazione concreta ed avesse, comunque, avuto la consapevolezza dell'illiceità del comportamento posto in essere. 3.- Propone ricorso per cassazione l'avv. M. . Il Consiglio dell'Ordine territoriale non svolge attività difensiva. Motivi della decisione 4.- La ricorrente ha proposto tre motivi di ricorso. 4.1. Con il primo motivo deduce violazione dell'art. 51 del r.d.l. 27.11.33 numero 1578, degli artt. 2935 e 2945 c.comma e dell'art. 161 c.p. Riprendendo la tesi già sostenuta dinanzi al CNF, l'incolpata sostiene che entrambi gli addebiti ascritti hanno natura istantanea e che al momento stesso della loro attuazione gli stessi avevano esaurito i loro effetti. Quanto alla autenticazione delle firme, l'illecito si era concretizzato nel momento della costituzione in giudizio in esecuzione dei mandati analogamente, quanto all'assunzione degli incarichi professionali, l'azione si era esaurita nel momento in cui la professionista aveva accettato di espletare l'attività difensiva e non nel momento in cui aveva iniziato a darvi esecuzione. Essendo gli atti processuali riconnessi compiuti in epoca anteriore all'inizio della decorrenza del termine di prescrizione fissata dal CNF, ritiene la ricorrente che al momento dell'apertura del procedimento disciplinare l'azione fosse già prescritta. 4.2. Con il secondo motivo è dedotta violazione delle stesse indicate disposizioni in quanto il CNF sarebbe incorso in un errore di calcolo del termine di prescrizione. Avendo il COA indicato la data del 5.12.08 quale momento di cessazione del comportamento, considerata la prescrizione quinquennale e la proroga fino ad un massimo di 75 mesi ex art. 161 c.p., la prescrizione degli illeciti avrebbe dovuto ritenersi maturata alla data del 5.03.15. 4.3. Con il terzo motivo è dedotto, ai sensi dell'art. 360, numero 5, c.p.c., l'omesso esame di un fatto decisivo, oggetto di discussione tra le parti, in quanto il CNF non avrebbe tenuto conto della difesa svolta dalla professionista in sede di appello, ove era stato sostenuto che l'attività professionale era da ritenere espletata personalmente dalla deducente, in quanto nessun profitto o vantaggio economico l'avvocato Lucarelli aveva tratto dal suo compimento. Ove tale circostanza fosse stata presa in considerazione sarebbe stata esclusa la violazione dell'art. 21 del codice deontologico, vigente all'epoca, e sarebbe risultata inesistente la interposizione fittizia rilevata dal COA. 5. I primi due motivi, da trattare in unico contesto per la comunanza delle disposizioni di legge di cui si assume la violazione, sono infondati. Al riguardo deve rilevarsi che la sentenza impugnata ha ritenuto il secondo addebito avere la M. autenticato sottoscrizioni non apposte in sua presenza assorbito nel primo aver assunto incarichi professionali per intermediazione di altro professionista sottoposto a provvedimento disciplinare interdittivo , ritenendo che il comportamento adottato costituisse modalità attuativa del più grave comportamento dell'interposizione. Inoltre, ha ritenuto che la condotta illecita tenuta dalla professionista ebbe carattere permanente e si interruppe solo alla fine del 2008, quando i patrocinati denunziarono al COA l'anomala situazione. La ricorrente invece intende, seppure al solo fine del calcolo della prescrizione, tenere separate le due condotte sostenendo che entrambe ebbero carattere istantaneo e furono compiute, quanto all'autenticazione delle firme, nell'arco temporale 26.07.05-22.07.06 periodo in cui avvenne la costituzione in giudizio della professionista nelle quattro cause civili patrocinate ed oggetto dell'illecito professionale o addirittura prima, se si prendesse in considerazione l'assunzione degli incarichi. Preso atto che l'apertura del procedimento disciplinare era stata deliberata il 13.10.10 e che l'illecito disciplinare si prescrive in cinque anni dal suo compimento, avendo gli atti di impulso del procedimento effetto interruttivo istantaneo, la ricorrente sostiene che la durata del termine di prescrizione non può prorogarsi oltre un quarto della sua durata edittale , di modo che entrambe le infrazioni risulterebbero prescritte. 6. L'affermata natura permanente dell'illecito, in ragione della quale il CNF ritiene perpetrato l'illecito solo al momento della sua cessazione ovvero al momento della sua denunzia , è contestata in maniera del tutto apodittica dalla ricorrente, la quale non apporta alcun argomento per contestare l'assunto e le argomentazioni del giudice, che ha ricondotto nell'ambito di un disegno unico i singoli comportamenti. Conseguentemente, secondo la consolidata giurisprudenza, la prescrizione decorre dal momento della cessazione della permanenza del comportamento v. S.u. 1.10.03 numero 14620, 26.11.08 numero 28159 e 2.02.15 numero 1822 . Inoltre, giova rammentare che nella fase amministrativa del procedimento disciplinare, svolta dinanzi al Consiglio dell'ordine, costituiscono valido atto di interruzione della prescrizione l'atto di apertura del procedimento e tutti gli atri procedimentali di natura propulsiva o probatoria consulenza tecnica d'ufficio, interrogatorio del professionista sottoposto a procedimento , di modo che, ai sensi dell'art. 2945, comma 1, c.comma dal momento dell'interruzione inizia un nuovo periodo di prescrizione. Nella fase giurisdizionale davanti al Consiglio Nazionale Forense opera, invece, il principio dell'effetto interruttivo permanente di cui al combinato disposto degli artt. 2945, comma 2, e 2943 c.c., effetto che si protrae durante tutto il corso del giudizio e nelle eventuali fasi successive dell'impugnazione innanzi alle Sezioni Unite e del giudizio di rinvio fino al passaggio in giudicato della sentenza v., tra le tante, S.u. 13.02.99 numero 58,10.05.01 numero 187, 2.04.03 numero 5072 e 10.11.06 numero 24094 . 7. La formulazione dei due motivi è, in ogni caso, frutto della commistione tra i principi della prescrizione penale è questo il senso del richiamo alle norme del codice penale e di quelli introdotti dalla l. 31.12.12 numero 247, recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, il cui art. 56, oltre a prevedere che l'azione disciplinare si prescrive in sei anni dal fatto e. 1 , stabilisce anche che se gli atti internatavi sono più di uno, la prescrizione decorre dall'ultimo di essi, ma in nessun caso il termine stabilito nel comma 1 può essere prolungato di oltre un quarto . comma 3 . Nessuno dei due principi può, tuttavia, ritenersi applicabile al caso di specie. Quanto alla legge di riforma, entrata in vigore il 2.02.14, queste Sezioni unite hanno chiarito che, in materia di sanzioni disciplinari a carico degli avvocati, l'art. 65, comma 5, della legge in questione, nel prevedere che le norme contenute nel nuovo codice deontologico si applicano anche ai procedimenti disciplinari in corso al momento della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l'incolpato, riguarda esclusivamente la successione nel tempo delle norme del previgente e del nuovo codice deontologico. Ne consegue che per l'istituto della prescrizione, la cui fonte è legale e non deontologica, resta operante il criterio generale dell'irretroattività delle norme in tema di sanzioni amministrative, sicché è inapplicabile lo jus superveniens introdotto con l'art. 56, e. 3, della legge numero 247 S.u. 20.05.14 numero 11025, 2.02.15 numero 1822 e 16.07.15 numero 14905 . Quanto alla disciplina penale, ogni possibile raccordo della legge penale con il r.d.l. 27.11.33 numero 1578, legge professionale qui applicabile, e con la specifica disciplina della prescrizione ivi prevista art. 51 , vede esclusa l'applicabilità del principio dell'art. 160, comma 3, c.p. del prolungamento complessivo del termine prescrizionale non oltre la metà S.u. 30.06.99 numero 372 . 8. Con il terzo motivo la ricorrente deduce l'omesso esame di un fatto decisivo del giudizio, oggetto della discussione tra le parti, ai sensi del nuovo art. 365, numero 5, c.p.c Dalla formulazione del mezzo di impugnazione si ricava che la censura ha ad oggetto un fraintendimento preteso del contenuto della tesi difensiva, sostenuta dinanzi al CNF, secondo cui non esisterebbe violazione dell'art. 21, comma 2, del CDF sotto il profilo materiale, non avendo il p.m. contestato all'avvocato sospeso il reato di esercizio abusivo della professione, né risultando che lo stesso avesse tratto un qualche beneficio economico dall'attività dell'incolpata. La sentenza impugnata dedica, tuttavia, a questa tesi un'ampia trattazione, dapprima riassumendone il contenuto e, successivamente, contestandone il fondamento, mediante la ricostruzione del comportamento materiale tenuto, fino a dichiarare che il comportamento della M. , come concretamente accertato in giudizio costituisce agevolazione dell'esercizio abusivo della professione. Il motivo in questione si risolve, pertanto, in una mera contestazione della motivazione della sentenza, non consentita dall'art. 360, numero 5, c.p.comma nella più recente formulazione, applicabile al caso di specie. Il motivo in questione è, dunque, inammissibile. 9. In conclusione il ricorso è infondato e deve essere rigettato. Non deve emettersi condanna alle spese, essendo il COA di Lecce rimasto intimato. P.Q.M. La Corte di cassazione, pronunziando a Sezioni unite, rigetta il ricorso. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30.05.02 numero 115, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.