Condotta contraria al decoro professionale? Il COA ha il potere di aprire un procedimento disciplinare

La violazione del codice deontologico forense ha una rilevanza giurisdizionale solo nella misura in cui la violazione stessa si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, ossia ad una delle ragioni per cui l’art. 56, comma 3, r.d.l. n. 1578/33 ammette il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, ricorso che è possibile soltanto in caso di utilizzo del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per scopi diversi da quelli riconosciuti loro per legge.

Così ha affermato la Corte di Cassazione con la sentenza n. 19246/15, depositata il 29 settembre. Il caso. La Corte d’appello di Trieste, confermando la pronuncia del Tribunale di Gorizia, rigettava la domanda di un avvocato che chiedeva la condanna di alcuni avvocati al risarcimento dei danni subiti a causa di due procedimenti disciplinari promossi dall’Ordine degli Avvocati di Gorizia, uno dei quali era stato seguito dalla comminatoria della sanzione della censura da parte dell’Ordine degli avvocati di Trieste. Avverso tale decisione ricorre per cassazione l’avvocato, sostenendo in particolare che per aversi risarcibilità del danno cagionato da provvedimenti della P.A., poi dichiarati illegittimi e annullati, non è necessario dare prova dell’elemento soggettivo della colpa, in quanto l’aggettivo ingiusto” riferito al danno implica che per avere ingiustizia del danno, non occorre che il provvedimento sia violatore di norme, ma solo che sia stato emanato in assenza di una causa di giustificazione. Il codice deontologico forense non ha carattere normativo. Gli ermellini ritengono che la decisione dei giudici di merito sia in linea con quanto affermato dalla Sezioni Unite in un arresto del 2013 Cass., sez. Unite, n. 15873/13 , secondo cui il codice deontologico forense non ha carattere normativo, ma è un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono dati per dare attuazione ai valori che contraddistinguono la professione e per garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa. Di conseguenza, la violazione di tale codice ha una rilevanza giurisdizionale solo nella misura in cui la violazione stessa si colleghi all’incompetenza, all’eccesso di potere o alla violazione di legge, ossia ad una delle ragioni per cui l’art. 56, comma 3, r.d.l. n. 1578/33 ammette il ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, ricorso che è possibile soltanto in caso di utilizzo del potere disciplinare da parte degli ordini professionali per scopi diversi da quelli riconosciuti loro per legge Cass., sez. Unite, n. 21585/11 . Inoltre, proseguono gli ermellini, mentre l’accertamento della non conformità della condotta degli iscritti agli ordini professionali ai canoni della dignità e del decoro professionale previsti dal codice deontologico è rimesso agli stessi ordini, i quali hanno la prerogativa di adottare norme di deontologia che gli iscritti sono tenuti ad osservare a pena di sanzioni disciplinari, il rispetto dell’autonomia degli ordini rende inammissibile la censura di violazione di legge contro le decisioni del CNF in materia disciplinare che si risolva nella prospettazione di un asserito contrasto di tali decisioni con le disposizioni deontologiche Cass., sez. Unite, n. 5164/04 . Nel caso di specie, il comportamento degli ordini professionali è stato correttamente considerato dai giudici di merito come lo strumento loro affidato per accertare se il soggetto incolpato avesse posto in essere una condotta contraria alla dignità e al decoro professionale. Per tali motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 giugno – 29 settembre 2015, numero 19246 Presidente Berruti – Relatore Armano Svolgimento del processo L'avvocato E.S. ha citato in giudizio davanti al Tribunale di Gorizia gli avvocati F.O., Bruno G.B.B. e A.T. per sentirli condannare al risarcimento dei danni subiti a causa di due procedimenti disciplinari promossi dall'Ordine degli avvocati di Gorizia, di cui era presidente F.O., uno dei quali seguito dalla comminatoria della sanzione della censura da parte dell'Ordine degli avvocati di Trieste. Deduceva che il primo provvedimento era stato travolto dalla decisione della Corte di cassazione ed il secondo revocato dall'Ordine degli avvocati di Trieste. II Tribunalé di Gorizia ha rigettato la domanda, decisione confermata dalla Corte d'appello di Trieste, con sentenza del 25 giugno 2013. Avverso detta decisione propone ricorso l'avvocato E.S. con quattro motivi e due motivi, definiti subordinati , illustrati da memoria. Resistono con controricorso gli intimati. A.T. presenta anche memoria. Motivi della decisione 1.La Corte di appello, qualificato l'oggetto della controversia come accertamento della responsabilità dei singoli componenti del Consiglio dell'Ordine degli avvocati per aver con il loro voto favorevole contribuito in concreto all'apertura di due procedimenti disciplinari conclusisi il primo con il proscioglimento dell'attuale ricorrente ed il secondo con la revoca della delibera, che avrebbero cagionato danni all'avvocato S., ha ritenuto che la fattispecie doveva essere inquadrata nell'ambito dell'articolo 2043 c.c. che mancava in radice il fatto illecito generatore di responsabilità, non potendo essere tale l'aver concorso a l'apertura di un procedimento disciplinare in quanto dalla legge professionale vigente all'epoca, ed in particolare dal disposto dell'articolo 38 del R.D 1578 /33 si ricava che tale procedimento non era altro che il mezzo attraverso il quale il Consiglio dell'ordine degli avvocati accerta se il soggetto incolpato abbia posto meno comportamenti contrari alla dignità e al decoro professionale. Di conseguenza essendo l'esercizio dell'azione disciplinare da parte dei componenti del consiglio dell'ordine attività non solo lecita e legittima, ma anzi doverosa, mancava l'antigiuridicità della condotta. Nell'ambito di tael sistema, la formulazione di capi d'incolpazione si configura non solo come attività lecita, ma necessaria al fine di garantire il principio del contraddittorio o di permettere al professionista di difendersi, di talché quanto in essi contestato non può configurarsi come ingiuria e diffamazione. 2.Con il primo motivo di ricorso si denunzia violazione degli artt. 81 c.p.c. ,24 d.p.r. numero 3 del 15 gennaio 1957, 1292 1294 c.c. e 1.87 codice penale in relazione all'articolo 360 numero uno c.p.c. Sostiene il ricorrente che la Corte di merito avrebbe errato nel non ritenere, in violazione dell'articolo 24 d.p.r. numero 3 dei 15 gennaio 1957, in tema di responsabilità degli organi collegiali della pubblica amministrazione , la solidarietà del presidente e di tutti i membri del collegio che hanno partecipato all'atto. 3.Con il secondo motivo si denunzia nullità della sentenza per violazione dell'articolo 132 2°comma numero 4 c.p.c. in relazione all'articolo 360 numero 4 c.p.c Il ricorrente censura l'affermazione della sentenza impugnata là dove ha ritenuto che la sentenza di primo grado non aveva dichiarato la carenza di legittimazione passiva dei convenuti, tant'è che aveva deciso di merito la controversia. 4.1 due motivi si esaminano congiuntamente e sono infondati. Infatti, contrariamente a quanto affermato dal ricorrente, i giudici di merito hanno correttamente individuato la domanda proposta ed hanno valutato la responsabilità dei singoli componenti dell'organo collegiale Consiglio dell'Ordine degli avvocati, provvedendo su tale domanda e quindi senza dichiarare alcuna carenza di legittimazione passiva degli appellati, pervenendo al rigetto della stessa. 4.Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli articoli 2043 , 2727, 2729 c.c. in relazione all'articolo 360 comma uno numero 3 c.p.c. II ricorrente sostiene che la Corte territoriale, pur avendo individuato correttamente l'oggetto della causa, ossia ¡'accertamento della responsabilità dei singoli componenti del COA di Gorizia e di Trieste per aver concorso con loro voto favorevole all'emanazione dei provvedimenti disciplinari oggetto dei ricorso e generatori di danni, ha poi erroneamente respinto l'appello e disatteso la domanda di risarcimento dei danno assumendo che nella specie mancherebbe in radice il fatto in illecito generatore della responsabilità. 5.Con il quarto motivo si denunzia omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c Sostiene il ricorrente che per aversi risarcibilità del danno prodotto da provvedimenti della pubblica amministrazione, poi dichiarati illegittimi ed annullati, non occorre dimostrare l'elemento soggettivo della colpa, in quanto l'aggettivo ingiusto riferito al danno fa si che per aversi ingiustizia dei danno, non è richiesto che il provvedimento sia violatore di norme, ma soltanto che sia stato emanato in assenza di una causa di giustificazione. 6.1 due motivi si trattano congiuntamente per la stretta connessione logico giuridica che li lega e sono infondati. Infatti la decisione adottata dai giudici di merito è conforme a quanto affermato dalle Sezioni Unite con sentenza numero 15873 del 25/06/2013,vale a dire che il codice deontologico forense non ha carattere normativo ma è costituito da un insieme di regole che gli organi di governo degli avvocati si sono date per attuare i valori caratterizzanti la professione e garantire la libertà, la sicurezza e la inviolabilità della difesa, con la conseguenza che la violazione di detto codice rileva in sede giurisdizionale, solo in quanto si colleghi all'incompetenza, l'eccesso di potere o la violazione di legge, cioè ad una delle ragioni per le quali il R.D.L. 27 novembre 1933, numero 1578, art. 56, comma 3, convertito con modificazioni nella L. 22 gennaio 1934, numero 36, consente il ricorso alle sezioni unite della Cassazione, che è possibile esclusivamente in caso di uso del potere disciplinare dagli ordini professionali per fini diversi da quelli per cui la legge lo riconosce cfr. S.U. 19 ottobre 2011 numero 21584, 4 febbraio 2009 numero 2637 e 28 settembre 2007 numero 20360 . Inoltre, premesso il codice deontologico forense, prevede ['obbligo generale per gli avvocati di adempiere al loro ministero con dignità e decoro, come si conviene all'altezza della funzione che sono chiamati ad esercitare nell'amministrazione della giustizia e, in particolare, di . comportarsi in giudizio con lealtà e probità legislativamente sancito dagli artt. 12, comma 1, r.d.l. 22.11.1933 numero 1578 ed 88, comma 1, cod. proc. civ., è da dire che, mentre l'accertamento della non conformità della condotta degli iscritti agli ordini professionali ai canoni della dignità e del decoro professionale è rimesso agli ordini medesimi, i quali hanno il potere di emanare norme di deontologia che gli iscritti sono tenuti ad osservare sotto pena di applicazione di sanzioni disciplinari, il rispetto dell'autonomia degli ordini rende inammissibile la censura di violazione di legge avverso le decisioni dei Consiglio nazionale forense in materia disciplinare che si risolva nella prospettazione di un asserito contrasto di dette decisioni con le norme deontologiche cfr, in terminis, Cass. SS.UU. civ., sent. numero 762 del 23.1.2002 -sent. numero 5164 dei 2004 . 7.A tali principi si sono attenuti i giudici di merito ritenendo che il comportamento degli ordini professionali non era altro che il mezzo per esercitare il controllo loro domandato affinché il comportamenti dell'incolpato non sia contrario alla dignità e al decoro professionale. 8.Gli ulteriori due motivi, definiti subordinati , con cui si denunzia la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., si rigettano avendo i giudici di merito in ogni fase seguito correttamente il principio della soccombenza . Le spese dei presente giudizio seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso a condanne ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 1.700,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e spese generali, per ciascuno dei resistenti. Ai sensi dell'art,13 commal quater del D.P.R. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.