Sì al risarcimento del danno se l’avvocato non comunica al cliente la fissazione dell’udienza dibattimentale

L’omessa comunicazione al cliente, in particolare della fissazione dell’udienza penale dibattimentale e dell’avvenuta notificazione della sentenza di condanna, fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce fonte di responsabilità professionale.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella pronuncia n. 16991 del 20 agosto 2015. Il caso. Un uomo citava in giudizio il proprio avvocato chiedendo che venisse condannato al risarcimento dei danni subiti in conseguenza della violazione dei doveri professionali. In particolare, il professionista convenuto, nella sua qualità di difensore in procedimento penale, aveva omesso di comunicare all’attore la fissazione dell’udienza dibattimentale, di svolgere la propria difesa all’udienza e di comunicargli la pronunzia di condanna, tanto che il medesimo attore era rimasto contumace nel detto giudizio e la sentenza emessa era passata in giudicato. Accolta la domanda in primo grado, la pronuncia veniva confermata anche in sede d’appello. L’avvocato si rivolge, quindi, alla Corte di Cassazione. La buona fede oggettiva o correttezza. Il ricorrente censura principalmente il percorso argomentativo seguito dai Giudici di merito per affermare la sua responsabilità professionale, deducendo l’esistenza di taluni vizi motivazionali nella pronuncia impugnata. La Suprema Corte, dopo aver riscontrato dei profili di inammissibilità, respinge anche nel merito il ricorso confermando la sentenza di condanna. Al riguardo, osserva innanzitutto che l’avvocato è professionista tenuto all’esecuzione del contratto di prestazione d’opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui al combinato disposto degli artt. 1176, comma 2, e 2236 c.c. e della buona fede oggettiva e correttezza. Come osservato in dottrina, oltre che regola di comportamento quale dovere di solidarietà fondato sull’art. 2 Cost. e regola di interpretazione del contratto art. 1366 c.c. , la buona fede oggettiva o correttezza è anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo fonte di integrazione del comportamento dovuto, là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell’apprezzabile sacrificio. La specificità del caso concreto. L’impegno imposto dall’obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto e alla qualità dei soggetti coinvolti. Tale obbligo è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell’incarico conferito al professionista dal committente. Pertanto, il difensore è a tale stregua tenuto a fornire le necessarie informazioni al cliente, anche per consentirgli di valutare i rischi insiti nell’iniziativa giudiziale. Alla luce di ciò, l’omessa comunicazione al cliente in particolare della fissazione dell’udienza penale dibattimentale e dell’avvenuta notificazione della sentenza di condanna, fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce senz’altro fonte di responsabilità professionale. La perpetuatio dell’ufficio del difensore. Sotto altro profilo, la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che la rinunzia al mandato da parte del difensore come del pari la revoca della procura da parte del cliente non fa perdere al procuratore rinunziante o revocato lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo fino a quando non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro procuratore. Pertanto, per effetto del principio della c.d. perpetuatio dell’ufficio di difensore, la rinunzia così come la revoca non ha efficacia nel processo e non determina la relativa interruzione fino a quando non sia avvenuta la sostituzione del difensore. Obblighi di comunicazione in caso di rinuncia al mandato. Con particolare riferimento agli obblighi connessi alla ricezione degli atti per i quali sia avvenuta la domiciliazione, l’obbligo di informare il nuovo difensore dell’avvenuta notifica di sentenze emesse nei confronti della parte successivamente alla cessazione dell’incarico rientra quindi nel più generale dovere di diligenza professionale cui l’avvocato è tenuto nei confronti del cliente, anche in caso di rinunzia o revoca del mandato o anche di risoluzione consensuale del rapporto, e dalla relativa responsabilità il domiciliatario non può essere esonerato se non in virtù della prova, posta a suo carico, di avere dato notizia della notifica al nuovo difensore. Applicazione dei principi al caso di specie. Ciò premesso, gli Ermellini ritengono che i Giudici di merito abbiano correttamente applicato i principi richiamati al caso di specie, essendo incontestabile che l’avvocato convenuto avesse ricevuto mandato difensivo e di domiciliazione dall’attore e, nel giudizio incardinato per accertare la sua responsabilità, non aveva fornito alcuna dimostrazione di aver comunicato all’autorità giudiziaria l’estinzione del mandato difensivo. Invero l’avvocato si era limitato a dedurre di aver comunicato telefonicamente al proprio cliente l’avvenuta notificazione del decreto di citazione a giudizio e della sentenza di condanna. Tuttavia, tali condotte, seppur vere, sarebbero comunque gravemente negligenti, posto che la semplice comunicazione telefonica della ricezione degli atti non sarebbe stata idonea a far comprendere il contenuto ed il significato degli stessi. Ritenuta quindi integrata la violazione da parte del ricorrente degli obblighi professionali, i Giudici di legittimità ritengono altresì che la detta violazione abbia generato un danno all’attore, giacché la circostanza di essere stato all’udienza assistito da difensore di fiducia ha comportato a la mancata concessione di termini a difesa al nuovo difensore b che il difensore d’ufficio non si sia potuto avvalere del teste a difesa indicato nella fase delle indagini c che l’attore fosse contumace nel dibattimento e non provvedesse ad appellare la sentenza di condanna.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 28 aprile – 20 agosto 2015, n. 16991 Presidente Vivaldi – Relatore Scarano Svolgimento del processo Con sentenza del 25/3/2011 la Corte d'Appello di Perugia ha respinto il gravame interposto dal sig. L.M. nei confronti della pronunzia Trib. Terni 29/1/2008, di accoglimento della domanda nei suoi confronti proposta dal sig. B.L. di risarcimento dei danni subiti in conseguenza della violazione dei doveri professionali, per avere, nella sua qualità di avvocato difensore in procedimento penale, omesso di comunicargli la fissazione dell'udienza dibattimentale, di svolgere la propria difesa all'udienza, di comunicargli la pronunzia di condanna, sicché era rimasto contumace nel detto giudizio, e la sentenza emessa era passata in giudicato. Avverso la suindicata pronunzia del giudice dell'appello il L. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 4 motivi, illustrati da memoria. Resiste con controricorso il B. , cha ha presentato anche memoria. Motivi della decisione Con il 1 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione” degli artt. 178, 189, 281, 281 bis c.p.c., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione in relazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Si duole che erroneamente la corte di merito ha ritenuto rinunziata la prova testimoniale richiesta, in quanto il Giudice di 1^ grado è stato sollecitato ad una valutazione del proprio provvedimento avente ad oggetto le istanze istruttorie proprio perché le conclusioni formulate in quella sede dall'odierno ricorrente sono state articolate per relationem sia nella comparsa di costituzione che negli atti successivi tra cui le memorie ex art. 184 c.p.c. ”. Con il 2 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione” degli artt. 2697, 1218, 2236 c.c., 40 c.p.c., 97, 107 c.p.p., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione in relazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Si duole che la corte di merito abbia erroneamente ritenuto che la presenza del difensore di fiducia, sempre e comunque ed a prescindere dal quadro probatorio, possa essere sinonimo di assoluzione certa dell'imputato”. Con il 3 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione” degli artt. 1227, 2697, 2727, 2729 c.c., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione in relazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Con il 4 motivo il ricorrente denunzia violazione o falsa applicazione” degli artt. 1223, 2697, 2059 cc, 112 c.p.c., in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. nonché omessa, insufficiente o contraddittoria” motivazione in relazione su punto decisivo della controversia, in riferimento all'art. 360, 1 co. n. 5, c.p.c Si duole che la corte di merito abbia liquidato il danno morale a controparte ritenendo di poter condividere le conclusioni medico legali del perito di parte”, senza disporre CTU. I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati. Come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare i motivi posti a fondamento dell'invocata cassazione della decisione impugnata debbono avere i caratteri della specificità, della completezza, e della riferibilità alla decisione stessa, con fra l'altro l'esposizione di argomentazioni intelligibili ed esaurienti ad illustrazione delle dedotte violazioni di norme o principi di diritto, essendo inammissibile il motivo nel quale non venga precisato in qual modo e sotto quale profilo se per contrasto con la norma indicata, o con l'interpretazione della stessa fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina abbia avuto luogo la violazione nella quale si assume essere incorsa la pronuncia di merito. Sebbene l'esposizione sommaria dei fatti di causa non deve necessariamente costituire una premessa a sé stante ed autonoma rispetto ai motivi di impugnazione, è tuttavia indispensabile, per soddisfare la prescrizione di cui all'art. 366, 1 co. n. 4, c.p.c., che il ricorso, almeno nella parte destinata alla esposizione dei motivi, offra, sia pure in modo sommario, una cognizione sufficientemente chiara e completa dei fatti che hanno originato la controversia, nonché delle vicende del processo e della posizione dei soggetti che vi hanno partecipato, in modo che tali elementi possano essere conosciuti soltanto mediante il ricorso, senza necessità di attingere ad altre fonti, ivi compresi i propri scritti difensivi del giudizio di merito e la sentenza impugnata v. Cass., 23/7/2004, n. 13830 Cass., 17/4/2000, n. 4937 Cass., 22/5/1999, n. 4998 . È cioè indispensabile che dal solo contesto del ricorso sia possibile desumere una conoscenza del fatto , sostanziale e processuale, sufficiente per bene intendere il significato e la portata delle critiche rivolte alla pronuncia del giudice a quo v. Cass., 4/6/1999, n. 5492 . Quanto al vizio di motivazione ex artt. 360, 1 co. n. 5, c.p.c. va invero ribadito che esso si configura solamente quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione in particolare cfr. Cass., 25/2/2004, n. 3803 . Tale vizio non consiste pertanto nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito v. Cass., 14/3/2006, n. 5443 Cass., 20/10/2005, n. 20322 . La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare salvo i casi tassativamente previsti dalla legge prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti v. Cass., 7/3/2006, n. 4842 . Cass., 27/4/2005, n. 8718 . Orbene, i suindicati principi risultano invero non osservati dall'odierno ricorrente. I motivi risultano invero formulati in violazione dell'art. 366, 1 co. n. 6, c.p.c., atteso che il ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito [es., alla sentenza deliberata in data 22.1.2007” dal Tribunale di Terni, alle informazioni, quale indagato, ai carabinieri di Gualdo Cattaneo” rese dal B. , all'”attività istruttoria svolta” alla replica conclusionale depositata dinanzi al Tribunale di Terni pagina 1 2 ”, alle istanze . articolate nel corso del giudizio di primo grado”, alla precisazione delle conclusioni”, alle repliche conclusionali”, al capitolo 3 delle memorie istruttorie”, alla perizia medico legale di parte” limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente per la parte d'interesse in questa sede riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di Cassazione, al fine di renderne possibile l'esame v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220 , con precisazione anche dell'esatta collocazione nel fascicolo d'ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti anche in sede di giudizio di legittimità v. Cass., 23/3/2010, n. 6937 Cass., 12/6/2008, n. 15808 Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157 , la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile cfr. Cass., 19/9/2011, n. 19069 Cass., 23/9/2009, n. 20535 Cass., 3/7/2009, n. 15628 Cass., 12/12/2008, n. 29279. E da ultimo, Cass., 3/11/2011, n. 22726 Cass., 6/11/2012, n. 19157 . A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del solo ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento v. Cass., 18/4/2006, n. 8932 Cass., 20/1/2006, n. 1108 Cass., 8/11/2005, n. 21659 Cass., 2/81/2005, n. 16132 Cass., 25/2/2004, n. 3803 Cass., 28/10/2002, n. 15177 Cass., 12/5/1998 n. 4777 sulla base delle sole deduzioni contenute nei medesimi, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative, non avendo la Corte di legittimità accesso agli atti del giudizio di merito v. Cass., 24/3/2003, n. 3158 Cass., 25/8/2003, n. 12444 Cass., 1/2/1995, n. 1161 . Non sono infatti sufficienti affermazioni come nel caso apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione, dovendo il ricorrente viceversa porre la Corte di legittimità in grado di orientarsi fra le argomentazioni in base alle quali ritiene di censurare la pronunzia impugnata v. Cass., 21/8/1997, n. 7851 . Va per altro verso sottolineato che il requisito di cui all'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. non risulta invero soddisfatto mediante la trascrizione come nella specie di parte degli atti o documenti del giudizio di merito [nel caso, in particolare, parte delle repliche conclusionali in appello pagina 1 e seguenti ”, parti dell'”atto di appello”]. È al riguardo invece necessario che dei medesimi vengano riportati gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità. La violata disposizione è infatti volta ad agevolare la comprensione dell'oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura v. Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628 , atteso che ai fini del rispetto del suindicato requisito ex art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c. è necessario che vengano riportati nel ricorso gli specifici punti di interesse nel giudizio di legittimità, con eliminazione del troppo e del vano , non potendo gravarsi questa Corte del compito, che non le appartiene, di ricercare negli atti del giudizio di merito ciò che possa servire al fine di utilizzarlo per pervenire alla decisione da adottare v. Cass., Sez. Un., 11/4/2012, n. 5698 Cass., 14/6/2011, n. 12955 Cass., 22/10/2010, n. 21779 Cass., 23/6/2010, n. 15180 Cass., 18/9/2009, n. 20093 Cass., Sez. Un., 17/7/2009, n. 16628 . Il ricorrente è pertanto al riguardo tenuto non già ad un'attività materiale meramente compilativa, alternando pagine con richiami ad atti processuali del giudizio di merito alla relativa allegazione o trascrizione, bensì a rappresentare e interpretare i fatti giuridici in ordine ai quale richiede l'intervento di nomofilachia o di critica logica da parte della Corte Suprema, il che distingue il ricorso di legittimità dalle impugnazioni di merito v. Cass., 23/6/2010, n. 15180 , trovando a tale stregua ragione il tenore dell'art. 366 c.p.c. là dove impone di redigere il ricorso per cassazione esponendo sommariamente i fatti di causa, sintetizzando cioè i medesimi con selezione dei profili di fatto e di diritto della vicenda sub iudice, nonché indicazione delle ragioni di critica nell'ambito della tipologia dei vizi elencata dall'art. 360 c.p.c., in un'ottica di economia processuale che evidenzi i profili rilevanti ai fini della formulazione dei motivi di ricorso, che altrimenti finiscono per risolversi in censure astratte e prive di supporto storico v. Cass., 23/6/2010, n. 15180 . Va per altro verso ribadito che il vizio di motivazione non può essere invero utilizzato per far valere la non rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte, non valendo esso a proporre in particolare un pretesamente migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all'ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell'apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice cfr. Cass., 9/5/2003, n. 7058 . La deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce infatti al giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui in via esclusiva spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare salvo i casi tassativamente previsti dalla legge prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti v. Cass., 7/3/2006, n. 4842 Cass., 27/4/2005, n. 8718 . Il motivo di ricorso per cassazione viene altrimenti a risolversi in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice del merito, id est di nuova pronunzia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalità del giudizio di legittimità. Né ricorre d'altro canto vizio di omessa pronuncia su punto decisivo qualora la soluzione negativa di una richiesta di parte sia implicita nella costruzione logico-giuridica della sentenza, incompatibile con la detta domanda v. Cass., 18/5/1973, n. 1433 Cass., 28/6/1969, n. 2355 . Quando cioè la decisione adottata in contrasto con la pretesa fatta valere dalla parte comporti necessariamente il rigetto di quest'ultima, anche se manchi una specifica argomentazione in proposito v. Cass., 21/10/1972, n. 3190 Cass., 17/3/1971, n. 748 Cass., 23/6/1967, n. 1537 . Secondo risalente orientamento di questa Corte, al giudice di merito non può infatti imputarsi di avere omesso l'esplicita confutazione delle tesi non accolte o la particolareggiata disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi, giacché né l'una né l'altra gli sono richieste, mentre soddisfa l'esigenza di adeguata motivazione che il raggiunto convincimento come nella specie risulti da un esame logico e coerente, non di tutte le prospettazioni delle parti e le emergenze istruttorie, bensì di quelle ritenute di per sé sole idonee e sufficienti a giustificarlo. In altri termini, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell'esito dell'avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell'adottata decisione, evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla, ovvero la carenza di esse v. Cass., 9/3/2011, n. 5586 . Con particolare riferimento al 4^ motivo va ulteriormente osservato che giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità l'omesso esame di una domanda e la pronunzia su domanda non proposta, nel tradursi nella violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, sono deducibili con ricorso per cassazione esclusivamente quale error in procedendo ex art. 112 c.p.c. in relazione all'art. 360, 1 co. n. 4, c.p.c. cfr. Cass., Sez. Un., 16/10/2008, n. 25246 Cass., 29/9/2006, n. 21244 Cass., 5/12/2002, n. 17307 Cass., 23/5/2001, n. 7049 nullità della sentenza e del procedimento v. Cass., Sez. un., 14/1/1992, n. 369 Cass., 25/9/1996, n. 8468 , e non anche sotto il profilo della violazione o falsa applicazione di norme di diritto ai sensi dell'art. 360, 1 co. n. 3, c.p.c., come dall'odierno ricorrente viceversa prospettato v. in particolare Cass., 4/6/2007, n. 12952 Cass., 22/11/2006, n. 24856 Cass., 26/1/2006, n. 1701 . Va al riguardo altresì ribadito che anche in caso di denunzia di violazione ex art. 112 c.p.c. il disposto di cui all'art. 366, 1 co. n. 6, c.p.c. va invero osservato, dovendo specificamente indicarsi l'atto difensivo o il verbale di udienza nei quali le domande o le eccezioni sono state proposte, onde consentire al giudice di verificarne, in primo luogo, la ritualità e la tempestività, e, in secondo luogo, la decisività v. Cass., 31/1/2006, n. 2138 Cass., 27/1/2006, n. 1732 Cass., 4/4/2005, n. 6972 Cass., 23/1/2004, n. 1170 Cass., 16/4/2003, n. 6055 . È infatti al riguardo noto che, pur divenendo nell'ipotesi in cui vengano denunciati con il ricorso per cassazione errores in procedendo giudice anche del fatto processuale , con conseguente potere-dovere della Corte di legittimità di procedere direttamente all'esame e all'interpretazione degli atti processuali, preliminare ad ogni altra questione si prospetta in ogni caso la disamina dell'ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, sicché solamente all'esito del relativo positivo accertamento diviene possibile valutarne la fondatezza nel merito, ed esclusivamente nell'ambito di quest'ultima valutazione questa Corte può e deve procedere direttamente all'esame ed all'interpretazione degli atti processuali v. Cass., 23/1/2006, n. 1221 . In altri termini, va anche nel caso osservato il principio generale in base al quale il ricorrente che proponga in sede di legittimità una determinata questione giuridica implicante accertamenti di fatto ha l'onere non solo di allegarne l'avvenuta deduzione avanti al giudice di merito ma, in ossequio al disposto di cui all'art. 366, 1 co. n. 6, c.p.c., ma altresì di indicare in quale atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto e di riportarne il contenuto nel ricorso, al fine di consentire il controllo ex actis della veridicità di tale asserzione, prodromico alla disamina nel merito della questione medesima cfr., con riferimento a diverse ipotesi, Cass., 19/6/2012, n. 10032 Cass. 20/10/2006, n. 22540 Cass., 27/5/2010, n. 12992 Cass. 27/9/2006, n. 21020 . Orbene, nel non osservare i suindicati principi, non debitamente ed esaustivamente per quanto in questa sede d'interesse riproducendo nel ricorso i suindicati atti, ovvero, laddove riportati, senza puntualmente ed esaustivamente indicare i dati necessari al relativo reperimento in atti alla stregua di quanto più sopra indicato [es., rispettivamente, la perizia medico legale di parte” e parte dell'”atto di appello”], la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile, il ricorrente non pone questa Corte nella condizione di compiutamente apprezzare quale fosse l'oggetto della domanda originariamente rivolta al giudice di prime cure, quale sia stata la relativa pronunzia, e quali fossero i limiti oggettivi e soggettivi del gravame avverso la medesima interposto. E la pur formalmente denunziata violazione dell'art. 112 c.p.c. non risulta invero idoneamente argomentata sotto il profilo dell' error in procedendo . Quanto al merito, va osservato che l'avvocato è professionista tenuto all'esecuzione del contratto di prestazione d'opera professionale secondo i canoni della diligenza qualificata di cui al combinato disposto degli artt. 1176, 2 co., e 2236 c.c. cfr., con riferimento ad altri professionisti, Cass., 6/5/2015, n. 8989 Cass., 20/10/2014, n. 22222 Cass., 9/10/2012, n. 17143 e, con specifico riferimento all'avvocato, cfr. Cass., 12/4/2011, n. 8312 nonché, da ultimo, Cass., 28/2/2014, n. 4790 e della buona fede oggettiva o correttezza. Come osservato anche in dottrina, oltre che regola artt. 1337, 1358, 1375 e 1460 c.c. di comportamento [quale dovere di solidarietà fondato sull'art. 2 Cost. v. Cass., 10/11/2010, n. 22819 Cass., 22/1/2009, n. 1618 Cass., Sez. Un., 25/11/2008, 28056 che trova applicazione a prescindere alla sussistenza di specifici obblighi contrattuali, in base al quale il soggetto è tenuto a mantenere nei rapporti della vita di relazione un comportamento leale, specificantesi in obblighi di informazione e di avviso, nonché volto alla salvaguardia dell'utilità altrui nei limiti dell'apprezzabile sacrificio, dalla cui violazione conseguono profili di responsabilità v. Cass., 27/4/2011, n. 9404 Cass., Sez. Un., 25/11/2008, n. 28056 Cass., 24/7/2007, n. 16315 Cass., 13/4/2007, n. 8826 Cass., 27/10/2006, n. 23273 Cass., 20/2/2006, n. 3651. V. altresì Cass., 24/9/1999, n. 10511 Cass., 20/4/1994, n. 3775], e regola art. 1366 c.c. di interpretazione del contratto v. Cass., 23/5/2011, n. 11295 , la buona fede oggettiva o correttezza è infatti anche criterio di determinazione della prestazione contrattuale, costituendo invero fonte altra e diversa sia da quella eteronoma suppletiva ex art. 1374 c.c. in ordine alla quale v. la citata Cass., 27/11/2012, n. 20991 che da quella cogente ex art. 1339 c.c. in relazione alla quale cfr. Cass., 10/7/2008, n. 18868 Cass., 26/1/2006, n. 1689 Cass., 22/5/2001, n. 6956. V. altresì Cass., 9/11/1998, n. 11264 di integrazione del comportamento dovuto v. Cass., 30/10/2007, n. 22860 , là dove impone di compiere quanto necessario o utile a salvaguardare gli interessi della controparte, nei limiti dell'apprezzabile sacrificio [che non si sostanzi cioè in attività gravose o eccezionali o tali da comportare notevoli rischi o rilevanti sacrifici v. Cass., 30/3/2005, n. 6735 Cass., 9/2/2004, n. 2422 , come ad esempio in caso di specifica tutela giuridica, contrattuale o extracontrattuale, non potendo considerarsi implicare financo l'intrapresa di un'azione giudiziaria v. Cass., 21/8/2004, n. 16530 , anche a prescindere dal rischio della soccombenza v. Cass., 15/1/1970, n. 81 ]. L'impegno imposto dall'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza va quindi correlato alle condizioni del caso concreto, alla natura del rapporto, alla qualità dei soggetti coinvolti v. Cass., 30/10/2007, n. 22860 . L'obbligo di buona fede oggettiva o correttezza è infatti da valutarsi alla stregua della causa concreta dell'incarico conferito al professionista dal committente cfr. Cass., 29/1/2013, n. 2071 . Il difensore è a tale stregua tenuto pertanto a fornire le necessarie informazioni al cliente, anche per consentirgli di valutare i rischi insiti nell'iniziativa giudiziale cfr. Cass., 12/4/2011, n. 8312 Cass., 20/11/2009, n. 24544 Cass., 30/7/2004, n. 14597 . L'omessa comunicazione al cliente in particolare della fissazione dell'udienza penale dibattimentale e dell'avvenuta notificazione della sentenza di condanna, fino a far decorrere il termine per impugnare, costituisce allora senz'altro fonte di responsabilità professionale cfr. Cass., 12/4/2011, n. 8312 Cass., 12/10/2009, n. 21589 . Sotto altro profilo, si è nella giurisprudenza di legittimità posto in rilievo che la rinunzia al mandato da parte del difensore come del pari la revoca della procura da parte del cliente a norma dell'art. 85 c.p.c. non fa perdere al procuratore rinunziante o revocato lo ius postulandi e la rappresentanza legale del cliente per tutti gli atti del processo fino a quando non si sia provveduto alla sua sostituzione con un altro procuratore, sicché per effetto del principio della c.d. perpetuatio dell'ufficio di difensore la rinunzia così come la revoca non ha efficacia alcuna nel processo e non determina la relativa interruzione fino a quando non sia avvenuta la sostituzione del difensore cfr. Cass., 9/4/2013, n. 9568 Cass., 18/12/2012, n. 23324 Cass., 9/7/2009, n. 16121 Cass., 2/3/2000, n. 2309 Cass., 28/10/1995, n. 11303 . Con particolare riferimento agli obblighi connessi alla ricezione degli atti per i quali sia avvenuta la domiciliazione, l'obbligo di informare il nuovo difensore dell'avvenuta notifica di sentenze emesse nei confronti della parte successivamente alla cessazione dell'incarico, rientra quindi nel più generale dovere di diligenza professionale cui l'avvocato è tenuto nei confronti del cliente, anche in caso di rinunzia o revoca del mandato o anche di risoluzione consensuale del rapporto, e dalla relativa responsabilità il domiciliatario non può essere esonerato se non in virtù della prova, posta a suo carico, di avere dato notizia della notifica al nuovo difensore v. Cass., 12/10/2009, n. 21589 . Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell'impugnata sentenza fatto invero corretta applicazione. In particolare là dove, nel porre in rilievo essere incontestabile che l'avv. Longarini avesse ricevuto mandato difensivo e di domiciliazione dal B. , posto che egli, presente, fu nominato difensore e domiciliatario in occasione delle dichiarazioni rese agli inquirenti nella fase delle indagini” e nel sottolineare che b posto tale vincolo contrattuale spettava al professionista dimostrare di averlo onorato o che esso si era estinto c l'estinzione del rapporto professionale di difesa penale viene meno . solo con un atto complesso consistente nella rinuncia del difensore comunicata alla parte difesa ed all'organo procedente art. 107 c.p.c. , mancando il quale il difensore mantiene la sua posizione e, quindi, i doveri che costituiscono la sua obbligazione contrattuale d è pacifico in giudizio che L. non dette alcuna comunicazione all'autorità giudiziaria, sì che il mandato difensivo non si estinse né si estinsero le correlate, inadempiute, obbligazioni del professionista e quanto alle comunicazioni, l'avv. L. si limita a dedurre di aver comunicato telefonicamente al B. col quale aveva, a suo dire, interrotto il rapporto professionale l'avvenuta notificazione del decreto di citazione a giudizio e della sentenza di condanna tali condotte del professionista, ove vere, sarebbero comunque gravemente negligenti, posto che la semplice comunicazione telefonica della ricezione degli atti non sarebbe stata idonea a far comprendere il contenuto ed il significato degli atti, complessi, in questione”, essa è pervenuta a ravvisare nella specie integrata la violazione da parte dell'odierno ricorrente degli obblighi professionali”. Ancora, là dove ha ritenuto indiscutibile” che la detta violazione sia stata generatrice di danno per B. ”, giacché la circostanza di essere stato all'udienza conseguentemente assistito da difensore d'ufficio, nominato in udienza, da considerarsi sostituto del difensore di fiducia” ha comportato a la mancata concessione di termini a difesa al nuovo difensore, trattandosi di previsione che non trova applicazione nelle situazioni in cui il giudice designa un sostituto del difensore non comparso” b che il difensore d'ufficio non si sia potuto avvalere del teste indicato in propria difesa dal B. già nella fase delle indagini difensive, stante la scadenza del termine fissato per il deposito della lista testimoniale” c che il B. fu contumace nel dibattimento e non provvide ad appellare la sentenza di condanna”. Emerge evidente, a tale stregua, come lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dell'odierno ricorrente, oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all'art. 366, n. 4, c.p.c., in realtà si risolvono nella mera rispettiva doglianza circa la dedotta erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle sue aspettative v. Cass., 20/10/2005, n. 20322 , e nell'inammissibile pretesa di una lettura dell'asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932 . Per tale via, infatti, come sì è sopra osservato, lungi dal censurare la sentenza per uno dei tassativi motivi indicati nell'art. 360 c.p.c., il ricorrente in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443 . All'inammissibilità ed infondatezza dei motivi consegue il rigetto del ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 4.200,00, di cui Euro 4.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge.