Assistito irreperibile durante il giudizio, questo basta all’avvocato per recuperare il proprio credito

La condizione di irreperibilità del patrocinato alla quale l’art. 117 D.P.R. n. 115/02 subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell’Erario, afferisce a una situazione sostanziale e di fatto che è indipendente dalla pronunzia processuale di irreperibilità, ma attiene al fatto della non rintracciabilità al momenti in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, fatto che impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale.

Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza n. 13132, depositata il 24 giugno 2015. La fattispecie. Nel caso in esame i Giudici di merito avevano respinto l’istanza di liquidazione formulata dal legale in quanto l’assistito si era reso irreperibile nel corso del giudizio e, pertanto, il difensore ben avrebbe potuto esercitare la propria pretesa risarcitoria. Perciò, ai sensi dell’art. 117 d.P.R. n. 115/02 il difensore ha l’onere di dimostrare di aver esperito inutilmente le procedure per il recupero del credito. La decisione è poi giunta al vaglio della Corte di legittimità. La tesi del ricorrente. A dire del ricorrente non ha alcuna rilevanza che l’irreperibilità di fatto si sia verificata dopo i contatti con il difensore in quanto la condizione di irreperibilità deve essere verificata al momento in cui la pretesa economica divenga azionabile e neppure è rilevante che l’imputato abbia eletto domicilio presso il difensore in quanto tale atto ha unicamente la funzione di agevolare le notifiche ma non incide, di fatto, sull’irreperibilità. e quella della Corte. Il Giudice di legittimità, accogliendo il ricorso, ha argomentato che l’art. 117 D.P.R. n. 115/02 non precisa se per irreperibile” si intende solo il soggetto che sia stato dichiarato tale con decreto del Giudice o anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità. Soccorre, all’uopo, la ratio del combinato disposto degli artt. 116 e 117 D.P.R. n. 115/02 secondo i quali il difensore non può esigere dall’erario le proprie competenze per il solo fatto di aver assunto l’incarico professionale ma, in primo luogo, deve aver dimostrato di aver esperito invano le procedure per il recupero del credito. Ovviamente detta attività non è possibile quanto il soggetto sia di fatto irreperibile a prescindere che sia stato, o meno, dichiarato tale con decreto. La conclusione. Ne consegue che ai fini della liquidazione del compenso professionale ciò che rileva è l’irreperibilità, o irrintracciabilità, di fatto dell’assistito circostanza che impedisce di esperire le procedure per tentare il recupero del credito.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 21 maggio – 24 giugno 2015, n. 13132 Presidente Bianchini – Relatore Petitti Fatto e diritto Ritenuto che il precedente relatore designato alla trattazione del ricorso ha depositato la seguente relazione ai sensi dell'art. 380-bis cod. proc. civ. [ ] 1. Con ordinanza 13/11/2013 del la Corte di Appello di Trento rigettava l'opposizione proposta dall'avv. L.C. avverso il decreto con il quale la Corte di Appello aveva rigettato la sua domanda di liquidazione del compenso a difensore di ufficio di persone irreperibili. La Corte di Appello, con l'ordinanza oggetto di ricorso rigettava l'opposizione rilevando - che le persone difese dal difensore di ufficio, che erano domiciliati presso il suo studio, si erano rese irreperibili di fatto in un momento successivo ai contatti diretti avuti dal difensore con gli stessi durante il procedimento relativo alla custodia cautelare - che pertanto il difensore aveva avuto la possibilità di esercitare la pretesa di pagamento dei compensi e di conseguenza non ricorreva il presupposto richiesto dall'art. 117 DPR 115 del 2002 per la liquidazione del compenso in quanto il difensore non aveva dimostrato di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti. L'avvocato L.C. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. Il Ministero della Giustizia si è costituito con l'Avvocatura Generale dello Stato, senza depositare controricorso. 2. Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 116 e 117 del DPR 115 del 2002 e l'omesso esame del fatto decisivo relativo all'irreperibilità di fatto degli imputati. Il ricorrente sostiene che le ragioni poste a fondamento del rigetto della sua opposizione al diniego di liquidazione sono giuridicamente irrilevanti perché non rileva che l'irreperibilità di fatto si sia verificata dopo i contatti con il difensore in quanto la condizione di irreperibilità deve essere verificata al momento in cui la pretesa diventa azionabile nella specie l'irreperibilità si era verificata sin dalla scarcerazione degli imputati - non rileva che gli imputati avessero eletto il domicilio presso il difensore in quanto l'elezione di domicilio ha la funzione di agevolare le notifiche, ma non incide sul fatto dell'irreperibilità e non è idonea a provare la presenza del soggetto nel luogo in cui ha eletto domicilio, tanto che le notifiche andrebbero eseguite presso il difensore anche se questi rifiutasse l'elezione di domicilio. Il ricorrente aggiunge che gli assistiti erano di fatto irreperibili in quanto qualificati da Carabinieri di Rovereto senza fissa dimora e che dopo la scarcerazione si rendevano irreperibili anche per le forze dell'ordine il riferimento è ad un verbale di vane ricerche del 9/6/2011 Con ordinanza del 13/11/2013 la Corte di Appello di Trento decidendo sull'opposizione a decreto con il quale era stata rigettata l'istanza di liquidazione, rigettava l'opposizione ritenendo che siccome gli assistiti si erano resi irreperibili di fatto in un momento successivo ai contatti diretti avuti con il loro difensore durante il procedimento cautelare e siccome essi erano domiciliati presso lo studio dello stesso avvocato L. sin dal momento della loro scarcerazione, non ricorresse la fattispecie prevista dall'art. 117 DPR 115/2002 e che pertanto il difensore avrebbe dovuto dimostrare di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti. L'avv. L.C. ha proposto ricorso affidato ad un unico motivo. Il Ministero della Giustizia, rappresentato dall'Avvocatura Generale dello Stato, si è costituito senza proporre controricorso, ma chiedendo il rigetto del ricorso e sostenendo che la motivazione era adeguata e immune da vizi. 2. Con l'unico motivo di ricorso il ricorrente deduce la violazione ed erronea applicazione degli artt. 116 e 117 DPR 115 del 2002 e l'omesso esame in ordine all'irreperibilità di fatto, decisiva per la decisione. 2.1 Il motivo è fondato nei limiti di cui infra. La Corte di Appello ha posto a fondamento della decisione reiettiva due circostanze i contatti diretti avuti dagli assistiti con il difensore durante il procedimento cautelare e la domiciliazione presso l'avvocato . Queste circostanze non sono pertinenti rispetto alla nozione di irreperibile di cui all'art. 117 DPR 115 del 2002 alla luce dell'interpretazione della norma quale emerge dalla recente giurisprudenza di questa Corte Cass. 20/7/2010 n. 17021 che qui si condivide, secondo la quale l'art. 117 D.P.R. 115/2002 non specifica la significazione del termine irreperibile e non richiama espressamente gli artt. 159 e 160 c.p.c., sicché, non chiarisce se irreperibile è solo il soggetto che tale sia stato dichiarato nel corso del procedimento penale con apposito decreto del giudice, ovvero anche la persona che, pur rintracciata nel procedimento penale, venga successivamente a trovarsi in una situazione di sostanziale irrintracciabilità. Soccorre, quindi, la ratio sottesa al combinato disposto degli art. 116 e 117 D.P.R. n. 115/2002 cit. per la quale il difensore è tenuto ad esperire le procedure per il recupero dell'onorario e delle spese, non potendo queste essere poste a carico dell'erario solo per l'assunzione officiosa dell'incarico professionale, se tali procedure non sono possibili perché se il debitore non à rintracciabile è, appunto, irreperibile, non può esigersi che il difensore esperisca alcuna attività in tal senso, questa essendo del tutto vanificata da tale condizione del debitore medesimo, e le spese, in tal caso, vanno poste a carico dell'erario, che ha diritto di ripetere le somme anticipate da chi si è reso successivamente reperibile . Ne discende che la condizione di irreperibilità afferisce ad una situazione sostanziale, di fatto che, rendendo irrintracciabile il debitore, impedisca di effettuare procedura alcuna per il recupero del credito professionale. Questa Corte, nel richiamato precedente ha inoltre osservato che a tale conclusione induce anche la considerazione che la irreperibilità deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 c.p.p. la diversa tesi comporterebbe la conclusione - non conforme ai principi costituzionali - che se l'indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto. Non si tratta, quindi, di apprezzare la diversità tra gli istituti di cui all'art. 159 c.p.p. e all'art. 161 c.p.p., comma 4, ma di accertare se il debitore fosse sostanzialmente irrintracciabile, anche in mancanza di un formale decreto ex art. 160 c.p.p., sicché non è esigibile da parte del difensore istante alcuna previa procedura intesa al recupero del credito professionale, tenuto conto anche della sostanziale equiparazione quoad effectum tra la irreperibilità formalmente dichiarata ex art. 159 c.p.p. e quella presunta ex lege ai sensi dell'art. 161 c.p.p., comma 4 in tal senso v. anche Cass. pen. n. 32284 del 2003 . Con l'interpretazione qui sostenuta non si estende l'art. 117 cit. ad ipotesi estranee al concetto di irreperibilità. Anche nella giurisprudenza delle sezioni penali di questa Corte v. quarta Sezione n. 4153 del 2007 si è affermato il principio di diritto per cui la condizione di irreperibilità del patrocinato alla quale il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 117 subordina la liquidazione degli onorari e delle spese di difesa a carico dell'Erario, afferisce ad una situazione sostanziale e di fatto che è indipendente dalla pronunzia processuale di irreperibilità, ma attiene al fatto della non rintracciabilità al momento in cui la pretesa creditoria diventa azionabile, fatto che impedisce di effettuare qualunque procedura per il recupero del credito professionale cfr. anche Cass. 17021/2010 già citata . Pertanto appaiono del tutto non pertinenti, quanto ai criteri da seguire per stabilire l'irreperibilità ai sensi del citato art. 117, il fatto, meramente formale, dell'elezione del domicilio presso il difensore o che l'irreperibilità sia successiva ai contatti diretti avuti con il difensore durante il procedimento cautelare circostanze poste invece a fondamento della decisione . A tal fine il giudice della liquidazione in questo caso il giudice investito dell'opposizione deve accertare se, trattandosi di soggetti stranieri, il difensore, prima di richiedere il compenso con la procedura ex art. 117 d.p.r. cit., abbia assolto l'onere, su di lui incombente al fine di considerare irreperibile di fatto i predetti soggetti Nel caso in cui i loro dati anagrafici siano conosciuti con sicurezza pertanto senza necessità di particolari ricerche o attività che non siano esigibili da un normale creditore sarà onere dell'avvocato esperire ricerche a mezzo di accertamenti, anche tramite l'ufficio stranieri della Questura, onde stabilire se sussista irreperibilità nel senso sopra precisato. A questi principi ai sensi dell'art. 384 c.p.c. dovrà uniformarsi il giudice del rinvio. 3. In conclusione il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 380 bis e 375 c.p.c. per essere dichiarato manifestamente fondato”. Considerato che il Collegio condivide la proposta di decisione, alla quale, del resto non sono state rivolte critiche di sorta che, dunque, il ricorso deve essere accolto, con conseguente cassazione del provvedimento impugnato, con rinvio alla Corte d'appello di Trento perché, in diversa composizione, proceda a nuovo esame dell'opposizione che al giudice di rinvio è demandata altresì la regolamentazione delle spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso cassa, il provvedimento impugnato e rinvia., anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d'appello di Trento, in diversa composizione.