Procura dichiarata nulla dal giudice, ma il difensore non deve pagare le spese di giudizio

In materia di disciplina delle spese processuali, nel caso d’invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem del difensore, non è ammissibile la condanna del legale alle spese del giudizio.

Lo ha stabilito la Corte di Cassazione nella sentenza n. 12449, depositata il 16 giugno 2015. Il caso. La ricorrente chiedeva la condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’indennizzo per il pregiudizio sofferto a causa dell’irragionevole durata di una controversia. Il giudizio, promosso dal proprio dante causa davanti al Tribunale di Roma nel 2001 era stata decisa in primo grado dopo 2 anni e in appello dopo 6 anni. Nullità della procura . La Corte d’appello, durante il giudizio di merito, aveva dichiarato la nullità della procura del difensore della ricorrente, in quanto emergeva che la stessa era stata rilasciata all’estero e l’avvocatura distrettuale ne aveva contestato la validità. Infatti, seppure al difensore era stato concesso un termine per la regolarizzazione della procura, il legale non aveva ottemperato. Il secondo grado terminava, oltre che con la dichiarazione di nullità della procura, anche con la condanna del difensore al pagamento delle spese processuali. Il difensore decide di ricorrere in Cassazione sostenendo la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. in materia di condanna alle spese processuali, adducendo che la condanna del legale è ammissibile solo in caso di inesistenza della procura e non di mera nullità. Pagamento delle spese processuali. I Giudici di legittimità ricordano che in materia di pagamento delle spese processuali, solo in caso di inesistenza o falsità della procura ad litem, l’attività del difensore non riflette alcun effetto sulla parte e resta quindi attività processuale di cui il legale si assume esclusivamente la responsabilità al pagamento delle spese processuali. Diversamente, invece, nel caso d’invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem , non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l’attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l’instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo . Poiché, nel caso di specie, è stata dichiarata la nullità della procura, il difensore non può essere chiamato al pagamento delle spese processuali e la S.C. accoglie il ricorso dell’avvocato.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile - 2, sentenza 17 febbraio – 16 giugno 2015, n. 12449 Presidente – Relatore Petitti Fatto e diritto Ritenuto che, con ricorso depositato presso la Corte d'appello di Perugia il 4 aprile 2011, R.J.B. chiedeva la condanna del Ministero della giustizia al pagamento dell'indennizzo per il pregiudizio sofferto a causa della irragionevole durata di una controversia iniziata dal proprio dante causa B.A. dinnanzi al Tribunale di Roma nel giugno 2001, decisa in primo grado nel febbraio 2003 e poi in appello con sentenza depositata nel dicembre 2009 che l'adita Corte d'appello, rilevato che il giudizio di equa riparazione era stato iniziato dal difensore della ricorrente, Avvocato S.N. , sulla base di procura rilasciata all'estero della quale l'Avvocatura distrettuale aveva contestato la validità, e che la parte, alla quale era stato concesso termine sino al 30 novembre 2012 per la regolarizzazione della procura, non aveva ottemperato, dichiarava la nullità della procura, rigettava il ricorso e condannava l'Avvocato S. in proprio al pagamento delle spese che per la cassazione di questo decreto S.N. e R.J.B. , quale erede di B.A. , hanno proposto ricorso affidato a due motivi, cui il Ministero della giustizia ha resistito con controricorso. Considerato che il Collegio ha deliberato l'adozione di una motivazione semplificata nella redazione della sentenza che con il primo motivo di ricorso i ricorrenti deducono violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riguardo alla legge 20 dicembre 1966, n. 1253, sostenendo che l’apostille, essendo stata la procura rilasciata per atto redatto da notaio pubblico, non era necessaria, atteso che la Croazia aveva aderito alla Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961, resa esecutiva con legge n. 1253 del 1966, e che, in ogni caso, la produzione dell'apostille sarebbe ammissibile anche in sede di legittimità che con il secondo motivo, da riferirsi esclusivamente allo S. , viene denunciata la violazione o falsa applicazione delle norme di diritto con riguardo agli artt. 91 e 92 cod. proc. civ., in quanto la procura non poteva, nel caso di specie, essere ritenuta nulla e comunque perché la condanna del difensore in proprio è ammissibile solo in caso di inesistenza della procura e non di mera nullità che il primo motivo è infondato che trova, infatti, applicazione il principio per cui ai sensi della Convenzione sull'abolizione della legalizzazione di atti pubblici stranieri, adottata a L'Aja il 5 ottobre 1961 e ratificata dall'Italia con legge 20 dicembre 1966, n. 1253, la dispensa dalla legalizzazione è condizionata al rilascio, da parte dell'autorità designata dallo Stato di formazione dell'atto, di apposita spostale, da apporre sull'atto stesso, o su un suo foglio di allungamento, secondo il modello allegato alla Convenzione, con la conseguenza che, in assenza di tale forma legale di autenticità del documento, il giudice italiano non può attribuire efficacia validante a mere certificazioni provenienti da un pubblico ufficiale di uno Stato estero nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito che aveva riconosciuto validità ad una procura alle liti, rilasciata su foglio separato e congiunto all'atto di impugnazione, con certificazione della firma a mezzo di un Notary Public dello Stato della California priva della validazione mediante apostille ” Cass. n. 27282 del 2008 Cass. n. 15777 del 2014 che, nella specie, gli stessi ricorrenti, affermando che la produzione dell'apostille sarebbe ammissibile anche in sede di legittimità, sostanzialmente confermano l'accertamento svolto dalla Corte d'appello di Perugia in ordine al mancato deposito, in quel giudizio, dell'apostille che, del resto, trattandosi di adempimento necessario ad integrare la validità della procura rilasciata dalla parte per il giudizio iniziato dinnanzi alla Corte d'appello, la regolarizzazione, come esattamente ritenuto dai giudici di merito, avrebbe dovuto essere effettuata dalla parte nel termine all'uopo assegnato, che lo stesso articolo 182 cod. proc. civ. qualifica come perentorio che non può neanche essere dedotta in questa sede la circostanza che l'apostille era stata in realtà prodotta nel giudizio dinnanzi alla Corte d'appello, come sembrano adombrare i ricorrenti, laddove essi rilevano che l'originale della procura regolarmente postillata era stato prodotto in udienza, trattandosi di vizio revocatorio che il secondo motivo è fondato, atteso che, nella giurisprudenza di questa Corte si è affermato che in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi come nel caso di inesistenza della procura ad litem o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l'atto è speso , l'attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio diversamente, invece, nel caso di invalidità o sopravvenuta inefficacia della procura ad litem, non è ammissibile la condanna del difensore alle spese del giudizio, in quanto l'attività processuale è provvisoriamente efficace e la procura, benché sia nulla o invalida, è tuttavia idonea a determinare l'instaurazione di un rapporto processuale con la parte rappresentata, che assume la veste di potenziale destinataria delle situazioni derivanti dal processo” Cass., S.U., n. 10706 del 2006 che, dunque, rigettato il primo motivo di ricorso e accolto il secondo, il decreto impugnato va cassato in relazione alla censura accolta che, tuttavia, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, provvedendosi ad escludere la condanna del difensore, in proprio, al pagamento delle spese processuali e ponendo il detto onere, in applicazione del principio della soccombenza, a carico della parte ricorrente, nella misura già liquidata dalla Corte d'appello che le spese del giudizio di cassazione possono essere compensate tra le parti in considerazione dell'esito della lite. P.Q.M. La Corte rigetta il primo motivo di ricorso, accoglie il secondo cassa il decreto impugnato in relazione alla censura accolta e decidendo la causa nel merito, condanna la ricorrente R.J.B. al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in Euro 450,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito compensa le spese del giudizio di cassazione.