La responsabilità professionale dell’avvocato va provata in concreto

Per l'affermazione della responsabilità professionale dell'avvocato è necessario che, secondo un giudizio probabilistico, la sostituzione della condotta asseritamente colposa con quella esigibile possa determinare il vantaggio auspicato dal cliente. Tale forma di responsabilità presuppone la violazione del dovere di diligenza, per il quale trova applicazione, in luogo del criterio generale della diligenza del buon padre di famiglia, quello della diligenza professionale media esigibile, ai sensi dell'art. 1176, comma 2, c.c., da commisurare alla natura dell'attività esercitata, in combinato disposto con l’art. 2236 c.c

La vicenda processuale. Il fatto generatore della pronuncia n. 10526/2015 della Cassazione può essere così sintetizzato. Un avvocato otteneva dal Tribunale un decreto ingiuntivo di euro 13.552,68 contro un proprio cliente che si era reso inadempiente al pagamento delle competenze professionali per 4 cause. Proposta opposizione, questa veniva rigettata. Interposto gravame, la Corte d’Appello lo accoglieva solo parzialmente riducendo il dovuto ad euro 12.657,55. Con riferimento alla quarta controversia, infatti, veniva acclarato che l’avvocato non si era costituito per conto del cliente, con conseguente declaratoria di sua contumacia. Era giusto dunque stornare la somma di euro 895,13. Ricorre per cassazione il cliente con riferimento agli altri tre giudizi. Negligenza dell’avvocato? Le doglianze del ricorrente attengono ai 3 contenziosi per cui sono state formulate le altrettante parcelle. Nel primo giudizio, il Tribunale aveva dichiarato l’improponibilità della domanda per la presenza di una clausola arbitrale. La negligenza del professionista sarebbe dovuta discendere nella circostanza di non essersi attivato per la formazione del collegio, anzi conclamata nell’aver nominato un arbitro in conflitto di interessi con il ricorrente. Nel secondo giudizio, la negligenza professionale sarebbe consistita nell’aver ritardato l’azione di rilascio di un immobile, con conseguente danno per mancato guadagno locatizio. Nel terzo giudizio, l’avvocato sarebbe incorso in una colposa inerizia nel porre in esecuzione un’ordinanza di rilascio di un immobile, liberato dagli occupanti solo dopo sei anni. La Corte di Cassazione rigetta lo spiegato ricorso sotto ogni profilo, perché inammissibile oltre che infondato. Gli Ermellini spiegano che la responsabilità professionale del prestatore d’opera intellettuale, com’è quella dell’avvocato, va provata in concreto. Questo significa che non è sufficiente prospettare una mera perdita di chanche , come nell’ipotesi in cui la pretesa si basi su una indeterminata quanto generica seria e concreta probabilità di vittoria della causa. Come nel caso di specie, infatti, una affermazione di tal fatta si risolve in una deduzione meramente tautologica incapace di fornire una indicazione concreta sui reali sviluppi del processo qualora l’avvocato avesse orientato la sua condotta verso parametri di diligenza esigibile. Dal punto di vista operativo La sentenza in commento offre diversi spunti operativi. Qualora si volesse intraprendere una causa contro un avvocato reputato negligente occorre allegare e provare i fatti posti a base del dedotto. L’ onus probandi è particolarmente stringente perché occorrerà a la prova del danno sofferto sotto il profilo del quantum debeatur b la prova del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio patito dal cliente. Quanto sopra in una chiave di prognosi ex ante di esito positivo dell’azione giudiziale spiegata. Un esempio per tutti. In caso di mancata impugnazione della sentenza di primo grado, non è stata ritenuta sufficiente la deduzione da parte del cliente della astratta possibilità alla riforma in senso a lui favorevole, al fine di ravvisare la responsabilità dell'avvocato Cass. Civ., sent. 722/1999 . E’ così che il danno derivante dall'omessa impugnazione è riscontrabile solo qualora, sulla base di criteri probabilistici, venga accertato, con giudizio riservato al giudice di merito, che il gravame, qualora tempestivamente proposto, sarebbe stato giudicato fondato Cass. Civ., sent. 2836/2002 . Detto altrimenti occorrerà dimostrare la probabilità di vittoria nel contenzioso e che questa vittoria non si è realizzata in ragione di un mandato professionale eseguito negligentemente, essendo il legale incorso nella violazione di tutti quei precetti imposti dal combinato disposto di cui agli artt. 2236 e 1176, co. 2, c.c L'avvocato, infatti, risponde secondo il criterio della diligenza professionale, tenuto conto della natura dell'attività prestata, ed esclusa la responsabilità nei casi di particolare difficoltà.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 26 febbraio – 22 maggio 2015, n. 10526 Presidente Russo – Relatore Cirillo Svolgimento del processo 1. L'avv. B.G. ottenne dal Tribunale di Verbania un decreto ingiuntivo nei confronti di I.G. per il pagamento, a titolo di competenze professionali, della somma di Euro 13.552,68, relativa a quattro parcelle per altrettanti giudizi nei quali lo aveva assistito. Propose opposizione l’I. , chiedendo la revoca del decreto ingiuntivo, avanzando eccezione di inadempimento e domandando la condanna dell'avv. B. al pagamento, in suo favore, del risarcimento del danno. Si costituì nel giudizio di opposizione l'avv. B. , chiedendo il rigetto della medesima. Il Tribunale di Verbania rigettò l'opposizione, condannando la parte opponente al pagamento delle spese di lite. 2. Avverso la sentenza è stato proposto appello dalla parte soccombente e la Corte d'appello di Torino, con sentenza del 30 giugno 2010, ha accolto parzialmente il gravame, revocando il decreto ingiuntivo e condannando l’I. al pagamento della minore somma di Euro 12.657,55 oltre gli interessi, compensando le spese dei due giudizi di merito nella misura del 10 per cento e ponendo il 90 per cento delle stesse a carico dell'I. . Per quanto ancora di interesse in questa sede, ha osservato la Corte territoriale che il merito della causa andava analizzato tenendo presenti i quattro diversi giudizi nei quali il professionista aveva assistito l'I. . 2.1. Quanto al primo giudizio, promosso davanti al Tribunale di Novara, nel quale l'I. aveva chiesto il pagamento di una somma, a titolo di interessi, nei confronti del Comune di Romagnano Sesia, l'esito era stato di improponibilità della domanda per la presenza di una clausola compromissoria per arbitrato irrituale. Tanto premesso, la Corte d'appello ha osservato che i motivi di appello proposti dall'I. riguardavano una presunta responsabilità dell'avv. B. consistente 1 nell'aver omesso di precisare le conclusioni anche nel merito, in tal modo determinando una presunzione di abbandono delle domande 2 nell'avere erroneamente introdotto la causa davanti al Tribunale, anziché davanti al Collegio arbitrale 3 nell'avere poi nominato un arbitro in conflitto di interessi con il proprio cliente. In ordine a queste censure, la Corte ha rilevato che quella di cui al n. 1 era inammissibile in quanto nuova, trattandosi di circostanza non dedotta in primo grado, e comunque infondata, avendo il Tribunale accolto l'eccezione di improponibilità della domanda. Le altre due censure - e soprattutto la seconda - erano comunque infondate perché l'I. non aveva in alcun modo censurato la decisione di primo grado sotto il profilo della insussistenza del nesso di causalità per mancanza di prova del futuro esito vittorioso del giudizio. In altri termini, l'appellante non aveva provato che, se la domanda fosse stata proposta davanti al Collegio arbitrale, essa sarebbe stata accolta per cui la mancata censura di quel profilo rendeva l'opposizione al decreto infondata in ordine alle prestazioni professionali rese nel giudizio promosso davanti al Tribunale di Novara. 2.2. Il secondo giudizio aveva ad oggetto una domanda proposta dall'I. , davanti al Tribunale di Verbania, nei confronti di tale M. per i danni da ritardato rilascio nella consegna di un immobile dato in locazione. La domanda dell'attore era stata accolta in parte, non avendo il Tribunale ritenuto provati i danni da mancato guadagno locatizio e da perdita dell'incremento patrimoniale. Le doglianze rivolte dall'I. contro l'avv. B. riguardavano 1 l'erronea deduzione delle prove, ritenute dal giudice irrilevanti e 2 la mancata richiesta dell'abbreviazione dei termini, che avrebbe consentito di evitare il danno. A questo riguardo la Corte torinese ha osservato che alcune delle domande avanzate in appello erano inammissibili in quanto nuove. In relazione, invece, alla deduzione dei capitoli di prova, la Corte ha posto in luce che l'assunto dell'appellante era smentito dai fatti, poiché le prove richieste dall'avv. B. erano state ammesse e i relativi testimoni escussi, sicché nessuna negligenza era addebitabile al professionista. Quanto alla generica censura di negligenza ed imperizia del difensore nella deduzione delle prove, la stessa era infondata, attesa la sua genericità e la conseguente inidoneità a fondare un'eccezione di inadempimento ai sensi dell'art. 1460 del codice civile. 2.3. Il terzo giudizio aveva ad oggetto una causa di sfratto per finita locazione intimato dall'I. nei confronti di tale M. , svoltasi davanti alla Pretura di Arona. La causa era stata definita con sentenza di risoluzione del contratto passata in giudicato, in relazione alla quale l’I. lamentava che l'avv. B. fosse stato negligente per l'eccessiva durata del giudizio. In ordine a questa causa, la Corte d'appello di Torino ha subito rilevato che era inammissibile, siccome nuova, la censura relativa alla presunta mancata attivazione dell'avv. B. nel porre in esecuzione l'ordinanza di rilascio emessa ai sensi dell'art. 665 cod. proc. civ. domanda che risultava avanzata soltanto con l'atto di appello. E comunque, tale domanda era infondata, non risultando in alcun modo provata l'inerzia del difensore nella procedura in questione. 2.4. In relazione alla quarta causa, invece, nella quale l'avv. B. non si era costituito per conto dell'I. , che era stato dichiarato contumace, la Corte d'appello ha ritenuto che il gravame fosse fondato ed ha quindi stornato dalla somma complessiva portata dal decreto ingiuntivo il compenso di Euro 895,13 relativi alla parcella professionale per quel giudizio. 3. Contro la sentenza della Corte d'appello di Torino propone ricorso I.G. , con atto affidato ad un solo complesso motivo. Resiste con controricorso B.R. , nella qualità di erede del defunto avv. B.G. . Il ricorrente ha presentato memoria. Motivi Della Decisione 1. Con il primo ed unico motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all'art. 360, primo comma, n. 3 e n. 5 , c.p.c, violazione e falsa applicazione degli artt. 1176, secondo comma, 2236, 1218, 1223, 1226, 1175 e 1460, primo comma, c.c , oltre ad omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Il ricorrente suddivide la censura in relazione ai tre giudizi residui nei quali è stato riconosciuto il credito professionale dell'avv. B. . 2. Quanto al giudizio promosso davanti al Tribunale di Novara nei confronti del Comune di Romagnano Sesia, si rileva che il Tribunale dichiarò la domanda improponibile per la presenza di una clausola arbitrale. Se la domanda fosse stata proposta correttamente davanti al Collegio arbitrale, essa sarebbe stata accolta, con conseguente risarcimento, trattandosi nella specie di seria e concreta probabilità di riuscita”. Il difensore, poi, una volta intervenuta la pronuncia del Tribunale, non si attivò per la formazione del Collegio arbitrale, nominando addirittura un arbitro in conflitto di interessi con l'I. . Ricorda il ricorrente che la liquidazione del danno da perdita di chance può anche non essere provata in modo preciso, applicandosi la liquidazione equitativa. E comunque, incombeva al professionista l'onere della prova di dimostrare l'interruzione del nesso causale tra la sua condotta e l’inadempimento. 2.1. La censura non è fondata. Come risulta dalla precedente esposizione, la pretesa risarcitoria avanzata dall'odierno ricorrente nei confronti dell'avv. B. si fondava su tre diverse doglianze, tutte ritenute infondate dalla Corte d'appello per le ragioni in precedenza esposte. 2.2. Rispetto alla motivazione di rigetto, il ricorso torna a proporre le medesime questioni, riguardo alle quali valgono le seguenti osservazioni. Quanto alla doglianza in precedenza indicata con il n. 1 - consistente nell'aver omesso di precisare le conclusioni anche nel merito, in tal modo determinando una presunzione di abbandono delle domande - essa si infrange sulla corretta motivazione della Corte d'appello, la quale ha ritenuto la censura comunque infondata sul rilievo che, essendosi concluso il giudizio davanti al Tribunale con la rimessione agli arbitri in virtù dell'esistenza della clausola compromissoria, è pacifico che nessun danno poteva derivare al cliente da tale eventuale negligenza, dovendo il giudizio ricominciare da capo. L'ulteriore profilo di cui alla p. 14 e ss. del ricorso - che ipotizza addirittura, da parte del professionista, una messa in scena consistente nella finta procedura arbitrale” - è inammissibile in questa sede, risolvendosi nell'evidente tentativo di rimettere in discussione un profilo di fatto della vicenda. Ruolo centrale e decisivo assume comunque, ai fini del rigetto di questa prima censura, la motivazione della Corte torinese circa la mancanza di prova in ordine al futuro esito vittorioso del giudizio. È il caso di ricordare che la giurisprudenza di questa Corte, con orientamento consolidato, ha affermato che la responsabilità del prestatore d'opera intellettuale nei confronti del proprio cliente per negligente svolgimento dell'attività professionale presuppone la prova del danno e del nesso causale tra la condotta del professionista ed il pregiudizio del cliente. Qualora si tratti dell'attività dell'avvocato, l'affermazione della responsabilità per colpa professionale implica una valutazione prognostica positiva circa il probabile esito favorevole dell'azione giudiziale che avrebbe dovuto essere proposta e diligentemente seguita tale giudizio, da compiere sulla base di una valutazione necessariamente probabilistica, è riservato al giudice di merito, con decisione non sindacabile da questa Corte se adeguatamente motivata ed immune da vizi logici così, fra le altre, le sentenze 9 giugno 2004, n. 10966, 27 marzo 2006, n. 6967, 27 maggio 2009, n. 12354, 5 febbraio 2013, n. 2638, e 13 febbraio 2014, n. 3355 . Nella specie, la Corte d'appello ha rilevato che tale prova era del tutto mancata e a fronte di simile motivazione, il ricorso si limita ad una censura che è, in sostanza, tautologica, perché afferma soltanto che la domanda giudiziale dell'I. , ove proposta davanti al collegio arbitrale, avrebbe avuto esito vittorioso in quanto fondata su di una seria e concreta probabilità di riuscita”. Ma è palese che simile affermazione non è in grado di superare la motivazione di rigetto della Corte d'appello né va taciuto che il ricorso non fornisce alcuna indicazione relativa ai successivi sviluppi della causa davanti al collegio arbitrale. Ne consegue che la prima parte del motivo in esame, avente ad oggetto il giudizio proposto davanti al Tribunale di Novara nei confronti del Comune di Romagnano Sesia, è priva di fondamento. 3. In ordine al giudizio promosso davanti al Tribunale di Verbania per il ritardo nel rilascio dell'immobile, il ricorrente ricorda che la sua domanda volta al risarcimento dei danni per mancato guadagno locatizio e per perdita di incremento patrimoniale fu respinta per mancanza di prova. Nel decidere il presente giudizio, prima il Tribunale di Verbania e poi la Corte d'appello di Torino avrebbero riconosciuto d'ufficio che la prestazione dell'avv. B. era di particolare difficoltà, ai sensi dell'art. 2236 cod. civ., senza considerare che sarebbe stato onere del professionista eccepire e dimostrare tale presunta difficoltà. Sussisterebbe, pertanto, anche la violazione dell'art. 112 c.p.c., perché il giudice si sarebbe pronunciato su eccezioni non rilevabili d'ufficio. 3.1. La censura non è fondata. Si deve osservare, innanzitutto, che la Corte d'appello ha correttamente limitato il campo della propria decisione alle sole doglianze poste in primo grado dall'I. , consistenti nella presunta erronea deduzione delle prove e nella mancata richiesta di abbreviazione dei termini di comparizione. Così delimitato lo spazio dell'indagine, la Corte d'appello ha escluso la responsabilità professionale dell'avv. B. ponendo in evidenza, come in precedenza si è già detto, che nessuna negligenza poteva essere imputata al professionista, anche in ordine alla tempestiva deduzione delle prove che erano state poi ammesse. Stando le cose in questi termini, la sentenza in esame v. p. 18 ha in modo coerente escluso la rilevanza della questione circa il rilievo d'ufficio della limitazione di responsabilità prevista dall'art. 2236 cod. civ., trattandosi di profilo ininfluente in considerazione dell'accertata assenza di negligenze. A fronte di simile motivazione, la censura dimostra di non cogliere la ratio decidendi della sentenza impugnata, perché continua a discutere v. ricorso a p. 20 dell'applicabilità d'ufficio della previsione dell'art. 2236 c.c., del tutto irrilevante nella specie. Da tanto consegue l'evidente infondatezza della censura, che comunque sollecita un nuovo e non consentito esame del merito. 4. In riferimento alla terza causa, riguardante lo sfratto per finita locazione, l'I. ripercorre le tappe del giudizio davanti alla Pretura di Arona, mettendo in luce l'inerzia dell'avv. B. nel porre in esecuzione l'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 c.p.c., ritardo che aveva poi diluito i tempi del giudizio fino al momento in cui il giudice aveva sospeso l'esecuzione, sicché lo sfratto era stato poi eseguito solo sei anni dopo. 4.1. La censura, quando non inammissibile, è comunque priva di fondamento. La Corte d'appello, come si è detto, ha osservato che la domanda proposta dall'I. nei confronti dell'avv. B. in relazione a quel giudizio aveva ad oggetto esclusivamente l'ingiustificata lunghezza della causa dovuta alla negligenza” del professionista. Tanto premesso, la Corte ha rilevato che il profilo di responsabilità collegato al ritardo nel porre in esecuzione l'ordinanza di rilascio di cui all'art. 665 cod. proc. civ. era un profilo nuovo, e come tale inammissibile in grado d'appello e, ciò nonostante, ha comunque ugualmente rigettato anche nel merito la pretesa risarcitoria. L'odierno ricorso è interamente centrato, in relazione al giudizio qui in esame, solo sul profilo del presunto ritardo nel porre in esecuzione l'ordinanza di rilascio, ma non supera la ratio decidendi della sentenza impugnata nella parte in cui ha evidenziato l'inammissibilità della domanda conseguente alla sua novità. La censura posta è, quindi, eccentrica rispetto alla motivazione della sentenza e, comunque, diretta ad ottenere un nuovo e non consentito esame del merito. Ne consegue l'evidente infondatezza anche di tale profilo di censura. 5. Il ricorso, pertanto, è rigettato. A tale pronuncia segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in conformità ai soli parametri introdotti dal decreto ministeriale 10 marzo 2014, n. 55, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 3.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.