Compensi all’avvocato: non spettano se non è stato lui il redattore dell’atto introduttivo

La ricerca di documenti costituisce una prestazione d’ordine intellettuale che però non va confusa con l’attività meramente materiale con la quale i documenti sono messi a disposizione del professionista. Tale attività si inserisce tra l’attività di studio della controversia e quella relativa alla consultazione col cliente ed è normalmente seguita dalla preparazione e redazione dell’atto introduttivo del giudizio. Pertanto, se l’atto introduttivo del giudizio viene redatto da legale diverso da quello a cui è stata rilasciata formalmente la procura alle liti, quest’ultimo non ha diritto di richiedere il pagamento degli onorari e diritti per le attività di studio non richieste e la mera ricerca di documenti.

E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione con ordinanza n. 10420 depositata il 20 maggio 2015. Il fatto. Il giudice di Pace territorialmente competente ingiungeva a carico del convenuto il pagamento di una somma di denaro a titolo di saldo per l’opera professionale prestata dal legale ricorrente nel giudizio promosso dall’ingiunto presso il Tar. Questi, pertanto, proponeva opposizione con la quale chiedeva la revoca del provvedimento monitorio ritenendo di nulla dovere al legale perché a suo avviso, egli sarebbe subentrato nella causa amministrativa al precedente difensore il quale aveva redatto integralmente il ricorso introduttivo del giudizio amministrativo. Pertanto, considerate le somme già pagate, nulla era più dovuto al legale ricorrente, la cui attività era consistita nella mera notifica ed iscrizione a ruolo del ricorso e nel deposito di istanza di discussione e di prelievo. Il legale opposto si costituiva nel giudizio in opposizione chiedendo il rigetto della domanda e la conferma del decreto. L’adito giudice di Pace, rigettava con sentenza l’opposizione. Avverso tale sentenza l’opponente proponeva giudizio di appello che veniva accolto con il riconoscimento a favore del legale di una residua somma di importo irrisorio. Il legale proponeva ricorso per Cassazione che veniva respinto e successivamente, ricorso per revocazione della sentenza resa dai giudici di legittimità. Il mero conferimento formale della procura alle liti non dà diritto al compenso. Nella specie, gli Ermellini hanno ritenuto corretta la decisione dei giudici di merito in quanto lo stesso professionista in sede di giudizio monitorio aveva ammesso di non aver avanzato alcuna richiesta per onorari e competenze inerenti la redazione del ricorso e di essere stato designato, in sostanza, solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio innanzi al Tribunale Amministrativo, atti peraltro, deliberati dal cliente e dal redattore dell’atto introduttivo del giudizio. Concludendo. Il giudizio di revocazione veniva dichiarato inammissibile perché le censure mosse dal ricorrente – non costituenti errori di fatto riguardanti gli atti interni al giudizio di legittimità che si risolvano in erronea percezione di fatti di causa – non rientravano nello statuto dell’errore revocatorio, trattandosi di pretesi vizi in iudicando della sentenza impugnata su aspetti controversi che avevano costituito già oggetto di discussione tra le parti.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 19 marzo – 20 maggio 2015, n. 10420 Presidente Petitti – Relatore Giusti Fatto e diritto Ritenuto che il consigliere designato ha depositato, in data 27 giugno 2014, la seguente proposta di definizione, ai sensi dell'art. 380 bis cod. proc. civ. Su ricorso dell'Avv. B.T. il Giudice di l'Aquila emetteva decreto ingiuntivo a carico di D.L.B. per il pagamento della somma di lire 3.482.700 a titolo di saldo per l'opera professionale da lui prestata quale avvocato nel giudizio promosso dall'ingiunto presso il TAR di L'Aquila. Avverso tale decreto il D.L. proponeva opposizione, con la quale chiedeva la revoca del provvedimento monitorio ritenendo di nulla dovere al legale. Questi infatti, ad avviso dell'opponente, era subentrato, nella causa amministrativa, al precedente difensore Avv. D.F.M. , il quale aveva redatto integralmente il ricorso introduttivo del giudizio amministrativo, per cui - considerate le somme già pagate - nulla era più dovuto all'avv. B. , la cui attività era consistita nella notifica ed iscrizione a ruolo del ricorso e nel deposito d'istanza di discussione e di quella di prelievo pertanto al professionista non spettavano gli onorari da lui richiesti per studio della controversia , per ricerca di documenti e i diritti per la disamina della posizione. Si costituiva l'Avv. B. chiedendo il rigetto dell'opposizione in quanto gli erano dovute tutte le voci richieste. L'adito giudice di Pace, con sentenza n. 494/04 rigettava l'opposizione, osservando che la negligenza professionale pure adombrata dal D.L. nei riguardi del legale, era smentita dal positivo esito del giudizio amministrativo sopra menzionato. Avverso tale sentenza proponeva appello il D.L. e l'adito Tribunale di L'Aquila, con sentenza n. 93/06 depositata in data 7.2.2006, accoglieva l'appello riconoscendo al legale la residua minor somma di Euro 94,24, oltre gli intessi legali. Riteneva il giudice di secondo grado che, avendo il legale ricevuto un mero incarico procuratorio, non era necessario lo studio della controversia né la ricerca di documenti, per cui nulla per tali voci gli era dovuto. Il ricorso per cassazione dell'Avv. B. , resistito dal D.L. , è stato respinto da questa Corte con la sentenza n. 2481 del 1 febbraio 2013. La sentenza è cosi motivata [ ] si osserva che, con il primo motivo del ricorso, l'esponente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 83, 84, 85 c.p.c. e censura l'assunto della sentenza secondo cui era insussistente il diritto di esso Avv. B. a percepire sia i diritti che gli onorari per l'attività svolta disamina, studio della controversia, consultazione e ricerca di documenti , benché la procura alle liti fosse stata rilasciata solo a lui e non all'altro legale che aveva redatto il ricorso introduttivo invero l'Avv. B. era l'unico difensore munito di procura e non poteva essere mero procuratore domiciliatario. Osserva peraltro il ricorrente a tal proposito che il cliente aveva adombrato una sua responsabilità professionale in relazione all'esito del giudizio amministrativo, che era stato posto a suo avviso a rischio di perenzione, anche se poi si era concluso in modo favorevole per il cliente. La doglianza non ha fondamento. Il giudice dell'appello ha adeguatamente motivato la questione suddetta, senza incorrere in alcun vizio interpretativo, rilevando puntualmente che lo stesso professionista, in sede di provvedimento monitorio, aveva riconosciuto di non avere avanzato alcuna richiesta per onorari e competenze inerenti la redazione del ricorso, e di essere stato designato in sostanza solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio avanti al TAR, deliberati dal D.L. e dal suo difensore D.F. . Con il secondo motivo l'esponente denuncia l'omessa o contraddittoria motivazione. Deduce l'erroneità dell'assunto del giudice dell'impugnazione secondo cui l'opposto avrebbe riconosciuto di non avere ricevuto l'incarico di assistenza e difesa, ma di essere stato designato quale domiciliatario e procuratore mandat[ari]o del compimento di singole specifiche attività processuali, essendosi egli limitato a prospettare, in quella sede, la contraddittorietà della tesi dell'opponente, che aveva da un lato invocato la responsabilità professionale dell'opposto e dall'altro escluso lo svolgimento da parte sua di qualsiasi attività di assistenza e difesa. Anche tale doglianza è infondata. La Corte distrettuale ha supportato i riconosciuti limiti del mandato anche con il richiamo all'esclusione della richiesta di d.i. del compenso per attività svolte da altro professionista, come nel caso della redazione del ricorso da parte di altro difensore , sottolineando inoltre l'assunto dello stesso Avv. B. che riconosceva che non gli era stato commesso alcun incarico di difesa da parte del cliente, e che egli, in forza del mandato ricevuto, si era limitato a dare notizia alla parte dell'ordinanza istruttoria del TAR. Occorre peraltro sottolineare che la prova dell'effettività delle prestazioni professionali svolte, incombesse al professionista opposto, in quanto attore in senso sostanziale Cass. n. 8718 del 27/06/2000 . Con il terzo motivo l'esponente denuncia la violazione e falsa applicazione di norme di cui al D.M. n. 127 del 2004 motivo proposto in via subordinata nel caso si ritenesse l'Avv. B. solo procuratore domiciliatario . Assume che la spettanza al procuratore domiciliatario delle sole competenze di cui alla tabella Br non escludeva che le attività di assistenza e difesa legittimate dalla procura rilasciata dal cliente, gli conferissero il diritto al pagamento di onorari e che in ogni caso anche al procuratore domiciliatario spetterebbero i diritti di disamina e lo studio della controversia e quella di ricerca di documenti, che è prestazione intellettuale e non attività materiale. La doglianza è infondata. Invero, la ricerca di documenti costituisce una prestazione d'ordine intellettuale essa però non va confusa con l'attività meramente materiale con la quale i documenti sono messi a disposizione del professionista tale attività tuttavia si inserisce tra l'attività di studio della controversa e quella relativa alla consultazione con il cliente ed è normalmente seguita dalla preparazione e redazione dell'atto introduttivo del giudizio ricorso al TAR , che nella fattispecie era stato redatto dall'altro difensore. Ciò posto è consequenziale e logico il mancato riconoscimento da parte del giudice a quo degli onorari e dei diritti per le attività di studio non richieste e per la ricerca di documenti, trattandosi appunto di atti finalizzati alla redazione dell'atto introduttivo, nella fattispecie scritto da altro legale. Il ricorso dev'essere dunque rigettato. Le spese processuali per il principio della soccombenza, sono poste a carico del ricorrente”. Per la revocazione della sentenza della Corte di cassazione l'Avv. B. ha proposto ricorso, con atto notificato il 1 febbraio 2014, sulla base di un motivo. L'intimato ha resistito con controricorso. Con l'unico motivo, il ricorrente sostiene che la sentenza della Corte di cassazione sarebbe fondata su assunti palesemente erronei e su travisamenti dei fatti di causa, non corrispondendo al vero che l'istante sia stato designato in sostanza solo quale domiciliatario e procuratore incaricato del compimento dei singoli atti processuali in relazione al giudizio davanti al TAR e che all'Avv. B. non sia stato commesso alcun incarico di difesa da parte del cliente. Sarebbe inoltre erronea l'esclusione del diritto dell'Avv. B. a percepire l'onorario per le voci studio della controversia, consultazione del cliente e ricerca dei documenti . La complessiva censura è inammissibile. Per costante orientamento, in tema di revocazione delle sentenze della Corte di cassazione, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, n. 4, cod. proc. civ., la ricorrenza dell'errore revocatorio presuppone, non un qualsiasi errore, ma un errore di fatto riguardante gli atti interni al giudizio di legittimità che si risolva in un'erronea percezione dei fatti di causa - non ricorrendo, dunque, vizio revocatorio, quando la decisione della Corte sia conseguenza di una pretesa errata valutazione o interpretazione di documenti e risultanze processuali e non della relativa inesatta percezione - e che, inoltre, presenti oltre che i caratteri dell'essenzialità e decisività ai fini della pronunzia quelli dell'estraneità a punti controversi su cui il giudice si sia pronunciato nonché dell'assoluta evidenza e della semplice ed incontrovertibile rilevabilità sulla base del mero raffronto tra la sentenza e gli atti e i documenti di causa Sez. Un., 30 ottobre 2008, n. 26022 Sez. Un., 23 gennaio 2009r n. 1666 Sez. Un., 28 maggio 2013, n. 13181 . Nella specie, gli errori denunciati non rientrano nello statuto dell'errore revocatorio, trattandosi di pretesi vizi in iudicando della sentenza impugnata su aspetti controversi che hanno costituito oggetto di discussione tra le parti. A ciò aggiungasi che gli errori denunciati non hanno carattere autonomo, perché non incidono direttamente ed esclusivamente sulla sentenza della Corte di cassazione, ma riguardano già la sentenza di appello, in relazione ad atti e documenti esaminati da quel giudice sicché la parte avrebbe dovuto proporre impugnazione per revocazione contro la decisione di merito, non essendole consentito di addurre l'errore in un momento successivo. Il ricorso può essere avviato alla trattazione in camera di consiglio, per esservi dichiarato inammissibile”. Letta la memoria di parte ricorrente. Considerato che il Collegio condivide la proposta di definizione contenuta nella relazione ex art. 380-bis cod. proc. civ. che i rilievi critici ad essa rivolti, dalla memoria non colgono nel segno che, infatti, l'affermazione secondo cui il professionista [ ] riconosce di non avere ricevuto incarico di assistenza e difesa, ma di essere stato designato quale domiciliatario e procuratore raandat[ari]o del compimento di singole e specifiche attività processuali è già contenuta nella sentenza del Tribunale tant'è vero che, con il primo motivo di ricorso per cassazione, l'Avv. B. si doleva del fatto che il Tribunale dell'Aquila ha avallato la tesi dell'odierno resistente, laddove questi ha sostenuto che l'incarico professionale non fu conferito all'Avv. B. , ma nella sostanza all'Avv. D.F. , con la conseguenza che all'Avv. B. non spetterebbero tant court gli onorari. Il tutto [ ] nonostante la procura alle liti fosse stata rilasciata dal D.L. in favore del solo Avv. B. che, in questa prospettiva, l'affermazione, contenuta nella sentenza della Corte di cassazione qui impugnata per revocazione, secondo cui l'Avv. B. riconosce che non gli era stato commesso alcun incarico di difesa da parte del cliente, costituisce sviluppo logico dell'accertamento compiuto dal Tribunale nella sentenza d'appello che, infine, la censura rivolta al capo della sentenza che ha negato l'esistenza del diritto dell'Avv. B. a percepire l'onorario spettante per le voci studio della controversia, consultazione del cliente e ricerca dei documenti , non costituisce errore di fatto revocatorio, ma denuncia di error in indicando che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza che, poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto — ai sensi dell'art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato - Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1-quater all'art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 - della sussistenza dell'obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dal controricorrente, che liquida, in complessivi Euro 1.700, di cui Euro 1.500 per compensi, oltre a spese generali e ad accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma I-bis dello stesso art. 13.