L'accordo raggiunto dopo il termine massimo di durata della mediazione è valido ed efficace

Capita assai spesso che le parti dopo aver sottoscritto un contratto, per qualche ragione, abbiano dei ripensamenti e vogliano, in qualche modo, trovare delle strade per poter impugnare il contratto mettendo nel nulla il regolamento contrattuale raggiunto. Ciò è ancora più frequente nonostante il paradosso nel caso in cui il contratto sia un accordo amichevole, come ad esempio una transazione, che chiude rectius dovrebbe chiudere definitivamente una controversia o meglio ancora la lite

Ed è proprio questa la fattispecie esaminata dalla sentenza del Tribunale di Roma resa all'udienza del 22 ottobre 2014 dove un coerede aveva proposta una domanda di divisione giudiziaria nonostante tutte le parti avessero raggiunto un accordo amichevole all'esito di un procedimento di mediazione davanti ad un organismo iscritto nel registro tenuto dal Ministero della Giustizia. L'accordo di mediazione può essere condizionato. Orbene, proprio per replicare all'eccezione di inammissibilità della domanda proposta la parte attrice aveva chiesto la dichiarazione di nullità e comunque l'annullamento dell'accordo amichevole per alcune ragioni. La prima ragione è che l'accordo era stato raggiunto tra alcune parti che avevano deciso di condizionarlo alla successiva ratifica dell'amministratore di sostegno di una delle parti e che al momento dell'accordo non era stato ancora nominato . Per il Tribunale di Roma non è ravvisabile, però, alcuna causa di invalidità dell'accordo. Ed infatti, osserva il giudice trattandosi di un vero e proprio accordo concluso tra le parti va sottolineato come esso non sia, nella maggior parte dei casi, che una vera e propria transazione per così dire assistita, ossia garantita dalla presenza dei legali delle parti e da un soggetto terzo, per l'appunto l'organismo di mediazione il cui ruolo è quello di mediare le posizioni conflittuali per cercare un punto di raccordo soddisfacente per tutti i contraenti, anche attraverso la formulazione di proposte di soluzione della lite . Ne deriva che non vi è motivo ragionevole per escludere che l'accordo in mediazione possa essere assoggettato, secondo la disciplina generale del contratto ad una condizione sospensiva ai sensi dell'art. 1353 c.c.[ ] non ravvisandosi alcuna preclusione o elemento ostativo nei riguardi del contratto di transazione . Il termine massimo di durata del procedimento. Né miglior fortuna ha avuto l'altro motivo addotto dalla parte per impugnare l'accordo di mediazione raggiunto e consistito nel fatto che quell'accordo era stato raggiunto dopo il termine massimo di quattro mesi oggi tre dopo il decreto del Fare . Ed infatti, osserva correttamente il Tribunale, la disposizione sul termine massimo di durata del procedimento di mediazione è strettamente connessa alla condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, nel senso che la durata massima del procedimento di mediazione è stata stabilita allo scopo di evitare che le parti fossero assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all'Autorità giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione, la cui durata massima, perciò è stata fissata in 4 mesi oggi 3 mesi . Un conto, quindi, sono gli aspetti, per così dire, procedurali della mediazione, altro conto gli aspetti sostanziali dell'accordo. E così, per esemplificare, l'accordo raggiunto all'esito di un procedimento di mediazione incardinato presso un organismo di mediazione incompetente non potrà certamente essere impugnato per questo solo aspetto. Condanna alle spese. Per effetto del rigetto della domanda il giudice condanna la parte che aveva proposto la domanda in giudizio nonostante l'accordo raggiunto al pagamento delle spese processuali. Senonché, quella condanna è semplicemente l'applicazione della regola della soccombenza senza che sia stata fatta applicazione anche dell'istituto della responsabilità processuale aggravata che, per quanto è dato ipotizzare dalla sentenza, ben avrebbe potuto trovare applicazione.

Tribunale di Roma, sez. VIII Civile, sentenza 22 ottobre 2014 Giudice Buscema Premesso che La controversia è stata incardinata da , moglie del defunto , per ottenere nei confronti della altre eredi sorelle , lo scioglimento della comunione ereditaria dei beni relitti Con distinti atti si sono costituite in giudizio le tre convenute le cui difese hanno preliminarmente eccepito l’inammissibilità della domanda giudiziale perché era stato raggiunto un accordo di mediazione fra tutti i coeredi, omologato dal Presidente del Tribunale di Roma con decreto 7 gennaio 2014. Nel merito, contestavano la domanda. Considerato che E’ documentale la circostanza che ha avviato con le altre parti, dinanzi all’organismo di mediazione Associazione Primavera Forense, un procedimento di mediazione rubricato con n. /2012 per espiare la relativa procedura relativamente alla controversia avente ad oggetto la divisione dei beni relitti del defunto Alla prima seduta del 20 luglio 2012 erano presenti tutti i coeredi assistiti dai loro legali, ad eccezione di , coniuge del defunto, la quale non presenziava. Dal verbale redatto in tale occasione risulta che le parti presenti raggiungevano la conciliazione della lite, stilando un accordo con cui si ripartivano i beni caduti in successione, sottoponendolo alla condizione sospensiva della ratifica del verbale da parte del legale rappresentante di in attesa che il Tribunale le nominasse un amministratore di sostegno Risulta altresì che il giorno 18 giugno 2013, presso la sede dell’organismo di mediazione compariva l’avv. nella veste di amministratore di sostegno di , in forza di nomina del 5.3.2013 il quale, previa autorizzazione data dal Tribunale con decreto del 4.6.13, ratificava l’accordo raggiunto, portando pertanto a conclusione la procedura. Ritenuto che Il procedimento di mediazione disciplinato dal d.lgs. 28/10, così come novellato dal decreto legge n. 69 del 20133 convertito dalla legge n. 98 del 2013 , ha natura sostanziale, perché destinato a favorire la conclusione di un vero e proprio accordo negoziale tra i potenziali litiganti, ancorché veicolato attraverso un procedimento che tende a favorirlo. Il contesto dove avviene l’accordo ha una rilevanza solo formale, ma non influisce in alcun modo sulla formazione della volontà pattizia, essendo libere le parti di accordarsi o meno, senza alcun potere impositivo o decisorio dell’organismo di mediazione Ciò trova altresì riscontro nella contestazione che la disciplina dell’istituto in esame ne limita l’operatività alla sola materia dei diritti disponibili, così avvalorandone l’inerenza alla libertà negoziale delle parti e alla loro autonomia negoziale, accordo che può assumere le forme più varie per risolvere la lite, costituendo espressione del potere negoziale delle parti ex art. 1321 c.c., perché attraverso di esso viene regolamentata la situazione giuridica sostanziale Trib. Como, sez. Cantù, ordinanza 2 febbraio 2012 Trattandosi di un vero e proprio accordo concluso tra le parti va sottolineato come esso altro non sia, nella maggior parte dei casi, che una vera e propria transazione per così dire assistita, ossia garantita dalla presenza dei legali delle parti e da un soggetto terzo, per l’appunto l’organismo di mediazione, il cui ruolo è quello di mediare le posizioni conflittuali per cercare un punto di raccordo soddisfacente per tutti i contendenti, anche attraverso la formulazione di proposte di soluzione della lite Lo stesso testo legislativo, nel delineare le caratteristiche e le modalità procedurali della mediazione, fa riferimento in più punti art. 11 all’ accordo” amichevole raggiunto, alla proposta”, all’ accettazione” e, in maniera più esplicita, prescrive che Se con l’accordo le parti concludono uno dei contratti o compiono uno degli atti previsti dall’art. 2643 del codice civile, per procedere alla trascrizione dello stesso la sottoscrizione del processo verbale deve essere autenticata da un pubblico ufficiale a ciò autorizzato” art. 11, comma 3, d.lgs. 28/10 , a riprova che la disciplina è mutuata da quelli dei contratti Alla luce di quanto si è appena chiarito, non vi è motivo ragionevole per escludere che l’accordo in mediazione possa essere assoggettato, secondo la disciplina generale del contratto, ad una condizione sospensiva ai sensi dell’art. 1353 c.c., come è accaduto nel caso di specie, non ravvisandosi alcuna preclusione o elemento ostativo nei riguardi del contratto di transazione Né ha alcun valore giuridico l'argomento speso della difesa dell'attrice teso a inficiare l'accordo perché non conclusosi nel termine previsto dalla normativa, che all'epoca era pari a 4 mesi. La difesa attrice, al riguardo, dimostra di non dare i! giusto valore ermeneutico alla disposizione contenuta nell'art. 6 del citato decreto Legislativo 28 laddove, al comma 1, prescrive va che la. procedura di mediazione ha una durata non superiore a 4 mesi. Infatti, tale disposizione è strettamente connessa alla condizione di procedibilità dell'azione giudiziaria, nel senso che !a durata massima del procedimento di mediazione è stata stabilita allo scopo di evitare che le parti fossero assoggettate sine die al divieto di rivolgersi all'Autorità Giudiziaria se non dopo aver fatto ricorso alla procedura di mediazione, la cui durata massima, perciò, è stata fissata in 4 mesi oggi 3 mesi Ne consegue che tale limite temporale non può che operare esclusivamente per l'azionabilità delle domande in sede giudiziale e non, viceversa, costituire un limite temporale per la formazione dell'accordo. In buona sostanza si intende dire che l’operatività del termine di durata della mediazione involge solo gli aspetti procedurali dell’istituto e non, come è nel caso in esame, gli aspetti sostanziali dell'accordo, i cui effetti sono stati pattiziamente sottoposti a condizione sospensiva senza fissazione di un termine per il verificarsi della condizione L'ulteriore domanda tesa a far annullare l'accordo di mediazione per un preteso vizio del consenso è anch’essa infondata. Al riguardo, l'errore che la parte attrice evidenzia sarebbe consistito nell'aver fatto affidamento, nella stima dei valori mobiliari, al loro valore nominale e non invece al valore di mercato cfr. comparsa di costituzione e risposta 14.1.14, pag. 15 Come la Suprema. Corte ha affermato in tema di transazione, l'errore sulla valutazione economica della cosa in oggetto del contratto non. rientra nella nozione di errore di fatto idoneo a giustificare una pronuncia di annullamento del contratto, in quanto il difetto di qualità della cosa deve attenere solo ai diritti ed obblighi che il contratto in concreto sia idoneo ad attribuire, e non al valore economico del bene oggetto del contratto, che afferisce non all'oggetto del contratto ma alla sfera dei motivi in base al quale la parte si è determinata a concludere un determinato accordo, non tutelato con lo strumento dell'annullabilità anche perché non è riconosciuta dall'ordinamento tutela rispetto al cattivo uso dell'autonomia contrattuale, e all'errore sulle proprie, personali valutazioni, delle quali ciascuno dei contraenti assume il rischio fattispecie relativa ad una transazione. impugnala successivamente da una delle parti perché il valore dei beni ottenuti a seguito delia transazione stessa si era rivelato inferiore rispetto a quello che la parte si attendeva di conseguire ” Cass., 3 aprile 2003, n. 05139 Cass., 24 luglio 1993, n. 8290 Di conseguenza, l’erronea valutazione dedotta non è sussumibile nello schema dell'errore di fatto idoneo ad inficiare il contratto di transazione, oltre all'ulteriore considerazione che - a tutto voler concedere - difetterebbe comunque il requisito della riconoscibilità da parte degli altri contraenti, in ragione del fatto che deve ritenersi che rientri nella comune esperienza e nella ordinaria capacità cognitiva anche dell’uomo medio sapere che il valore nominale dei titoli mobiliari azioni, obbligazioni, etc. non corrisponde a quello di mercato, senza contare che la quando ha aderito all’accordo, era rappresentata da un legale in grado certamente di conoscere tale differenza Oltremodo, dato che la parte che chiede l’annullamento del contratto per errore essenziale ha l’onere di dedurre e provare, in caso di contestazione, i fatti dai quali tale qualità risulti, nonché l’essenzialità dell’errore e la riconoscibilità dalla controparte CAss., 13 marzo 2006, n. 54229 , tale prova non è stata neppure chiesta dall’attrice cfr. memoria istruttoria e art. 1873 c.p.c. e, pertanto, la domanda sarebbe comunque sfornita di prove In conclusione, respinte le domande riconvenzionali di nullità e annullabilità dell'accordo di mediazione introdotte dall'attrice in conseguenza dell'eccezione pregiudiziale di inammissibilità della domanda di divisione, quest'ultima domanda principale va dichiarata inammissibile per aver le parti, prima della proposizione della domanda, proceduto consensualmente allo scioglimento della comunione ereditaria Le spese di lite, stante la soccombenza totale, vanno poste a carico dell'attrice e si liquidano in dispositivo in ragione del valore della controversia. P.Q.M. Il Giudice, definitivamente pronunciando sulla domanda iscritta al n. RG, disattesa ogni contraria istanza ed eccezione, così decide 1 Respinge le domande di nullità e di annullamento dell’accordo di mediazione intercorso tra le parti. 2 Dichiara inammissibile la domanda di scioglimento della comunione ereditaria proposta da 3 Condanna l’attrice a rimborsare alle controparti le spese di lite che liquida, a favore di ciascuna parte, in complessivi euro 15.000 per compensi oltre iva e cpa, oltre al rimborso forfettario delle spese generali come per legge.