Un fax per disconoscere la sottoscrizione “per autentica” della procura alle liti? Non basta, ci vuole la querela di falso

Per la contestazione dell'autografia della sottoscrizione apposta dal difensore per autenticare una procura speciale rilasciata in calce o a margine dell' atto introduttivo del giudizio è necessaria la querela di falso.

La Corte di Cassazione VI sez. Civile, sentenza n. 15170 depositata il 2 luglio 2014 si è occupata della nullità-inesistenza della procura alle liti sotto il peculiare profilo del disconoscimento della autentica da parte del presunto” difensore. Vengono indagate le modalità da seguire per l’efficacia di un simile disconoscimento. Il caso. Una attrice, in primo grado, aveva evidentemente avuto qualche problema con il proprio avvocato, tanto che lo stesso aveva poi inoltrato un fax nel quale, in buona sostanza, disconosceva la propria sottoscrizione della procura alle liti. Tale avvocato veniva peraltro sostituto da altro difensore che, nella fase finale del giudizio di primo grado, depositava una nuova procura. La Corte d'Appello, in riforma della sentenza, dichiarava l'inesistenza del rapporto processuale, in quanto instaurato da un difensore non munito di valida procura. Contro tale decisione è stato proposto ricorso per cassazione. Aveva fatto bene la Corte d’appello ad accogliere la censura per cui l’atto introduttivo del giudizio in primo grado era stato proposto in difetto di procura? No. Secondo la Cassazione, infatti, il Giudice di secondo grado aveva sbagliato. Non vi era infatti alcuna nullità della procura e meno che mai inesistenza. Ma gli Ermellini si soffermano in particolare su aspetti di carattere processuale, tali per cui la Corte d’appello non avrebbe dovuto neppure prendere in considerazione l’eccezione inerente il presunto difetto di procura. La Corte territoriale aveva ricordato il principio secondo cui l'esistenza della procura alle liti – e quindi di una valida procura - costituisce presupposto della instaurazione del rapporto processuale per cui non è applicabile la sanatoria-ratifica prevista dal vecchio testo dell’art. 182 c.p.c. , traendone la conseguenza dell'irrilevanza della procura successivamente conferita. La motivazione espressa dalla Corte non è giuridicamente corretta. Carente proposizione del motivo di appello. La proposizione del motivo di appello con la deduzione della nullità o inesistenza della procura, in applicazione del principio dell'onere della prova delle allegazioni costitutive del motivo, supponeva che l'appellante provasse le circostanze evidenziatrici della fondatezza del motivo di appello. Prospettata dall’appellante la nullità o inesistenza della procura figurante in primo grado in calce all'atto introduttivo del giudizio e della relativa autenticazione da parte del legale sulla base di un disconoscimento via fax da parte di costui della propria firma di autenticazione, la Corte si sarebbe dovuta interrogare a sulla possibilità giuridica che un avvocato possa disconoscere la sottoscrizione apposta, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., in funzione di autenticazione della procura conferitagli a margine o in calce ad un atto introduttivo di un giudizio b sulla possibilità giuridica che il detto avvocato possa poi disconoscere la sottoscrizione apposta sul detto atto introduttivo del giudizio, che formalmente appaia da lui compiuto nell'espletamento del mandato alle liti conferito con quella procura. In via gradata la Corte d’appello si sarebbe dovuta anche interrogare sulla valenza probatoria di un disconoscimento contenuto nel fax proveniente da chi appariva in primo grado come difensore della attrice. Ci voleva la querela di falso. Ora, circa la possibilità per un difensore di disconoscere la propria sottoscrizione, i Giudici di secondo grado avrebbero dovuto tenere in considerazione questo principio per la contestazione dell'autografia della sottoscrizione apposta dal difensore per autenticare una procura speciale rilasciata in calce o a margine dell' atto introduttivo del giudizio è necessaria la querela di falso, attesa la natura dell'atto di autenticazione che, al pari dell'autenticazione della scrittura privata, mentre rileva, quanto all'effetto, come strumento di attribuzione al documento cui si riferisce della particolare efficacia probatoria prevista dal combinato disposto degli artt. 2702 e 2703, comma 1, c.c., è, quanto alla struttura, un atto pubblico risultante, in coerenza con la definizione dell'art. 2699 c.c., da un documento redatto da un pubblico ufficiale che, in quanto autorizzato a costituire la descritta certezza in ordine all'atto principale, deve per ciò stesso ritenersi necessariamente dotato di poteri idonei a presidiare di non minore certezza l'atto accessorio destinato a realizzare quel risultato, con la conseguenza che, al pari della pubblica fede concernente l'autenticità della sottoscrizione della procura, anche quella relativa alla provenienza della certificazione dal soggetto che se ne professa autore non può essere rimossa se non attraverso lo speciale procedimento di cui agli artt. 221 e ss. c.p.c. . Il disconoscimento tramite fax” non doveva essere tenuto in considerazione. Pertanto, solo con una querela di falso, tendente a dimostrare di non essere autore della dichiarazione di autentica e della sottoscrizione relativa, l'avvocato, quale pubblico ufficiale da cui promanavano, almeno in via formale, l'una e l'altra, avrebbe potuto far valere la falsità di entrambe. Conseguentemente l'allegazione nel motivo di appello del disconoscimento tramite il fax era del tutto inidonea ad evidenziare la prospettata mancanza di jus postulandi , perché assolutamente improduttivo del preteso effetto di disconoscimento. Anche per tali ragioni la sentenza d’appello è stata cassata con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 3, sentenza 15 aprile – 2 luglio 2014, n. 15170 Presidente Finocchiaro – Relatore Frasca Svolgimento del processo p.1. I.R. ha proposto ricorso per cassazione contro la s.p.a. Assimoco e nei confronti di C.B. e C.F. , avverso la sentenza del 22 giugno 2011, con la quale la Corte d'Appello di Roma, in riforma della sentenza resa in primo grado inter partes dal Tribunale di Roma il 5 novembre 2009 ed accogliendo sul punto l'appello dell'Assimoco, con cui era stata prospettata per la prima volta la relativa questione, ha dichiarato l'inesistenza del rapporto processuale in quanto instaurato per conto della I. da un difensore non munito di valida procura. p.2. Al ricorso ha resistito con controricorso soltanto l'Assimoco. Motivi della decisione p.1. Con l'unico motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 125, comma 2 e 182 c.p.comma in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c. . Vi si svolgono per gran parte dell'illustrazione considerazioni che riguardano l'esegesi del testo dell'art. 182 c.p.comma introdotto dall'art. 46 della l. n. 69 del 2009 e parrebbero adombrare, sebbene in modo non del tutto chiaro, un'esegesi del vecchio art. 182 c.p.comma - applicabile alla controversia - che tenderebbe a sostenere che anche nel regime antecedente alla novellazione di cui a detta legge, la nullità riguardante la procura per come rilevata quanto all'atto introduttivo del giudizio dalla Corte territoriale - al contrario di quanto reputato da essa, che ha considerato i vizi di invalidità della procura, siano essi di inesistenza o di nullità, produttivi sempre dell'inesistenza del rapporto processuale - avrebbe potuto reputarsi determinativa non già della inesistenza dell'attività processuale e, quindi, del rapporto processuale introdotto con detto atto, bensì soltanto della sua nullità e, quindi, eventualmente suscettibile di sanatoria. Tale sanatoria sarebbe nella specie avvenuta in primo grado, perché la I. , aveva revocato il mandato al suo precedente difensore, Avvocato Fabio Di Martino e si era rivolta ad altro legale, l'Avvocato Fabrizia Equizi, che si era costituita nel primo atto utile successivo, cioè con le note conclusionali del 3 luglio 2009, depositando nell'udienza la procura alle liti conferitale. Nella parte finale dell'illustrazione del motivo, tuttavia, facendosi carico della prospettazione della questione relativa alla procura fatta con l'atto di appello da parte dell'Assimoco, nel senso la mancanza di una procura sarebbe emersa da un fax ad essa inviato il 25 novembre 2009 dall'Avvocato Fabio Di martino, nel quale egli aveva dichiarato la sua totale estraneità al giudizio, si assume che erroneamente la Corte capitolina avrebbe considerato quel fax prova sufficiente del reale ed effettivo vizio” della procura conferitagli dalla I. . p.2. Il motivo, che in sostanza prospetta due distinte censure, sollecita questa Corte a valutare se la Corte territoriale abbia ritenuto correttamente fondato il motivo di appello con cui la Assimoco aveva dedotto che l'atto introduttivo del giudizio in primo grado era stato proposto in difetto di procura. Il motivo è fondato, sebbene sulla base di rilievi che questa Corte, esaminando gli atti prodotti in questa sede dalle parti in funzione della valutazione della sussistenza della violazione della norma del procedimento che impone il ministero del difensore tramite conferimento di procura, è in grado di formulare in iure esaminando detti atti e che, collocandosi a monte del problema della possibile sanatoria ai sensi del vecchio testo dell'art. 182 c.p.c., consentono di evidenziare sia che non vi era alcuna nullità e meno che mai inesistenza di procura, sia - in disparte la sua erroneità - la totale irrilevanza del rilievo che la sentenza impugnata ha attribuito ai fax dell'Avocato Di Martino. In disparte la considerazione che i rilievi che si verranno svolgendo comunque pertengono all'esame della seconda censura prospettata con il motivo, si osserva che la Corte vi è comunque legittimata sulla base del principio di diritto secondo cui In ragione della funzione del giudizio di legittimità di garantire l'osservanza e l'uniforme interpretazione della legge, nonché per omologia con quanto prevede la norma di cui al secondo comma dell'art. 384 cod. procomma civ. là dove consente la salvezza dell'assetto di interessi, per come regolato dalla sentenza di merito, allorquando la soluzione della questione di diritto data dalla sentenza impugnata sia errata e, tuttavia, esista una diversa ragione giuridica, che, senza richiedere accertamenti di fatto, sia idonea a giustificare la soluzione della controversia sancita dal dispositivo della sentenza in relazione alla questione sollevata dal motivo di ricorso , deve ritenersi che, nell'esercizio del potere di qualificazione in diritto dei fatti, la Corte di cassazione può ritenere fondata la questione, sollevata dal ricorso, per una ragione giuridica diversa da quella specificamente indicata dalla parte e individuata d'ufficio, con il solo limite che tale individuazione deve avvenire sulla base dei fatti per come accertati nelle fasi di merito ed esposti nel ricorso per cassazione e nella stessa sentenza impugnata, senza cioè che sia necessario l'esperimento di ulteriori indagini di fatto, fermo restando, peraltro, che l'esercizio del potere di qualificazione non deve inoltre configgere con il principio del monopolio della parte nell'esercizio della domanda e delle eccezioni in senso stretto, con la conseguenza che resta escluso che la Corte possa rilevare l'efficacia giuridica di un fatto se ciò comporta la modifica della domanda per come definita nelle fasi di merito o l'integrazione di una eccezione in senso stretto”. Cass. n. 19132 del 2005 da ultimo Cass. 3437 del 2014 . p.2.1. Queste le ragioni della fondatezza del motivo. p.2.1.2. Nel fascicolo di parte resistente si rinviene il fascicolo di parte del giudizio di appello ed in esso la citazione introduttiva dell'appello proposto dall’Assimoco, nella quale, sotto il paragrafo I e sotto la rubrica inesistenza o nullità della procura alle liti , si dedusse quanto segue Nel giudizio recante RG 75240/06, conclusosi con la sentenza appellata, parte attrice veniva rappresentata e difesa dall'Avv. Fabio Di Martino. In corso di causa si costituiva, quale nuovo difensore, l'Avv. Fabrizia Equizi. L'Avv. Fabio di Martino, con fax del 25/11/09, comunicava sia a questa difesa, sia all'Assimoco S.p.A., che il giudizio recante RG 75240/06 svoltosi dinanzi al Tribunale di Roma, definito con la sentenza impugnata risultava essere a lui totalmente estraneo docomma 1, 1 bis, 1 ter, 1 quater . Lo stesso Avv. Fabio di Martino disconosceva sia la firma apposta in calce all'atto introduttivo del giudizio recante RG 75240/06, sia quella di autentica della sottoscrizione della signora I.R. . Ne consegue che devono ritenersi inesistente tanto la procura alle liti quando il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado. L'inesistenza di tali atti si trasmette sino alla sentenza appellata, in quanto l'intero rapporto processuale non è stato ritualmente incardinato” . Questo risulta essere stato il tenore dell'atto di appello. p.2.1.3. La sentenza qui impugnata nel ritenere fondato il motivo di appello ora riprodotto, si è così espressa p.6.1. - È difatti fondato il primo motivo con cui l'appellante evidenzia come il giudizio di primo grado fosse stato introdotto dalla I. mediante l'avvocato Fabio Di Martino, sostituito in corso di causa dal nuovo difensore Patrizia Equizi tuttavia - ha sottolineato l'assicuratore appellante - l'avvocato Fabio Di Martino, con fax del 25 novembre 2009, aveva comunicato sia alla società appellante sia al suo difensore, di essere totalmente estraneo al giudizio introdotto dalla I. , mediante atto mancante della firma apposta sia in calce al medesimo, sia in calce alla procura. P.6.2. - A fronte di siffatta doglianza, nonché per la constatazione che l'atto introduttivo del giudizio di primo grado prodotto in copia dalla stessa I. reca a margine di una procura all'avvocato Di Martino, ma non è da questi sottoscritto né in calce alla procura né in calce all'atto, incombeva evidentemente sulla I. la prova di aver ritualmente instaurato il giudizio attraverso il tempestivo conferimento dello ius postulandi ad un procuratore legalmente esercente, come richiesto dall'articolo 83 c.p.c. prova che l'appellata non solo non ha fornito, ma non ha neppure dedotto. Il legale dell'appellata, nella comparsa di risposta in questa sede, si è difatti limitato a riferire di essere rimasto estraneo alla vicenda concernente la fase anteriore al conferimento della procura in suo favore ed in particolare di avere appreso della procura all'avvocato Di Martino dalla propria cliente, la quale avrebbe anche narrato di essere stata inizialmente patrocinata da tale avvocato Enzo Liguori, poi deceduto, e di essere stata in seguito informata dei [rectius dai] dipendenti dello studio Liguori, che, in conseguenza del decesso di questi, sarebbe stata rappresentata e difesa dall'avvocato Di Martino, il quale, in data 13 dicembre 2006, avrebbe richiesto copia conforme del ricorso introduttivo del giudizio. Ciò detto, è di tutta evidenza come, per un verso neppure la stessa I. abbia sostenuto di avere avuto diretti rapporti con l'avvocato Di Martino, e, per altro verso, come la richiesta della copia - ossia di un 'attività materiale assolutamente informale - non possa certo valere a dimostrare l'esistenza di una valida procura all'avvocato detto. Com'è noto, il rapporto tra la parte e l'avvocato si colloca da un duplice versante, quello del contratto di patrocinio, nei rapporti interni tra l'una e l'altro, e quello della procura, che è atto unilaterale con il quale il difensore viene investito del potere di rappresentare la parte in giudizio, ossia dello ius postulandi sotto tale profilo la procura alle liti - che si colloca nel rapporto con il contratto di patrocinio in modo analogo a quello della procura sostanziale del rapporto con il contratto di mandato - non richiede l 'accettazione da parte dell'avvocato, e ciò perché egli svolge la sua attività in ragione del contratto di patrocinio avendo necessità della procura al solo scopo di rappresentare e difendere la parte nel giudizio. Nondimeno, in un'ipotesi come l'attuale in cui non soltanto la sottoscrizione apposta sull'atto introduttivo del giudizio e sulla procura mancano, ma l'avvocato ha negato in radice l'esistenza stessa del contratto di patrocinio e lo svolgimento di qualsiasi attività di rappresentanza e difesa della I. , è di tutta evidenza come nessun'altra procura alle liti possa ritenersi conferita, essendo invece la stessa tutt'affatto inesistente. Così stando le cose, naturalmente, nulla rileva che la originaria attrice abbia poi conferito, nel corso del giudizio di primo grado, altra procura alle liti al difensore che anche in questa sede la rappresenta, essendo stata rilasciata detta procura in evidente violazione del termine stabilito dall'articolo 125 del codice di procedura civile, il quale stabilisce che la procura può essere lasciata anche successivamente alla notificazione della citazione, ma anteriormente alla costituzione della parte rappresentata”. Sulla base di questa motivazione la Corte territoriale ha quindi rammendato, citando giurisprudenza di questa Corte, il principio secondo cui l'esistenza della procura alle liti - e quindi di una valida procura - costituisce presupposto della instaurazione del rapporto processuale, quello per cui non è applicabile la sanatoria-ratifica prevista dal vecchio testo e ne ha tratto la conseguenza dell'irrilevanza della procura successivamente conferita. p.2.2. La motivazione espressa dalla Corte capitolina, specie se si confronta con il tenore del motivo di appello che essa doveva esaminare, non appare giuridicamente corretta. p.2.3. Si deve rilevare in primo luogo che la proposizione del motivo di appello da parte della Assimoco con la deduzione della nullità o inesistenza della procura, in applicazione del principio dell'onere della prova delle allegazioni costitutive del motivo, supponeva che l'appellante provasse le circostanze evidenziatrici della fondatezza del motivo di appello. Ancora prima supponeva che in iure ed in astratto tali circostanze fossero idonee a giustificare la nullità o la inesistenza della procura. Ora, alla Corte d'Appello è sfuggito che dette circostanze erano del tutto inidonee a fornire detta giustificazione in iure già in astratto. E, si badi, lo erano sia nell'ottica alternativamente prospettata della nullità, sia in quella che poi la Corte capitolina ha seguito, cioè di ravvisare una inesistenza della procura. Lo si rileva senza che sia necessario prendere posizione sulla possibilità che la conseguenze del vizio di jus postulandi in termini di nullità oppure di inesistenza della procura non debbano essere identiche, come invece, nella parte finale della motivazione, mostra di ritenere la Corte romana in proposito si tratterebbe di verificare, se veramente un vizio di nullità della procura relativa al primo grado di giudizio, non rilevato dalla controparte per tutto il corso del giudizio di primo grado e nemmeno dal giudice durante tale corso e nella stessa sentenza, sia veramente deducibile, al contrario di un vizio di inesistenza ed al di là della pur ritenuta dalla giurisprudenza di questa Corte, ma non da tutta la dottrina inapplicabilità della sanatoria di cui all'art. 182 vecchio testo alla nullità della procura, con l'appello da quella parte, che non lo ha fatto nel corso del primo grado di giudizio, ed addirittura rilevabile d'ufficio dallo stesso giudice d'appello. Ma tale verifica non è necessaria nel caso di specie. Si deve, in secondo luogo, rilevare che alla Corte d'Appello - ma è notazione che, come si vedrà, risulterà perfino superflua - è, poi, sfuggito che, al livello della corretta applicazione dell'onere della prova, operante anche riguardo ai fatti evidenziatori delle nullità processuali, era l'Assimoco a dover dimostrare in concreto le circostanze allegate nell'appello. p.2.3.1. Sotto il primo aspetto, avendo l'Assimoco prospettato la nullità o inesistenza della procura figurante in primo grado in calce all'atto introduttivo del giudizio di primo grado e della relativa autenticazione da parte dell'Avocato Di Martino, sulla base di un disconoscimento nel fax da parte di costui della propria firma di autenticazione della sottoscrizione della procura apposta sull'atto introduttivo del giudizio di primo grado della signora I.R. e di quella apposta in calce a tale atto, la Corte si sarebbe dovuta interrogare a sulla possibilità giuridica che un avvocato possa disconoscere la sottoscrizione apposta, ai sensi dell'art. 83 c.p.c., in funzione di autenticazione della procura conferitagli a margine o in calce ad un atto introduttivo di un giudizio b sulla possibilità giuridica che il detto avvocato possa poi disconoscere la sottoscrizione apposta sul detto atto introduttivo del giudizio, che formalmente appaia da lui compiuto nell'espletamento del mandato alle liti conferito con quella procura. In via gradata la Corte capitolina si sarebbe dovuta anche interrogare sulla valenza probatoria di un disconoscimento contenuto nel fax proveniente da chi appariva in primo grado come difensore della I. . Ora, riguardo all'interrogativo sub a la Corte capitolina avrebbe dovuto considerare il seguente principio di diritto Per la contestazione dell'autografia della sottoscrizione apposta dal difensore per autenticare una procura speciale rilasciata in calce o a margine dell'atto introduttivo del giudizio è necessaria la querela di falso, attesa la natura dell'atto di autenticazione che, al pari dell'autenticazione della scrittura privata, mentre rileva, quanto all'effetto, come strumento di attribuzione al documento cui si riferisce della particolare efficacia probatoria prevista dal combinato disposto degli artt. 2702 e 2703, primo comma, cod. civ., è, quanto alla struttura, un atto pubblico risultante, in coerenza con la definizione dell'art. 2699 cod. civ., da un documento redatto da un pubblico ufficiale che, in quanto autorizzato a costituire la descritta certezza in ordine all'atto principale, deve per ciò stesso ritenersi necessariamente dotato di poteri idonei a presidiare di non minore certezza l'atto accessorio destinato a realizzare quel risultato, con la conseguenza che, al pari della pubblica fede concernente l'autenticità della sottoscrizione della procura, anche quella relativa alla provenienza della certificazione dal soggetto che se ne professa autore non può essere rimossa se non attraverso lo speciale procedimento di cui agli artt. 221 e segg. cod. procomma civ.” Cass. n. 5711 del 1996 adde Cass. n. 715 del 1999 n. 6047 del 2003 n. 10240 del 2009 . L'applicazione di detto principio evidenzia che, con riferimento alla procura sull'atto introduttivo del giudizio di primo grado, la provenienza dall'Avvocato Di Martino della certificazione di autenticazione della sottoscrizione della I. di conferimento della procura si doveva reputare assistita dalla fede pubblica che assiste l'atto pubblico per ciò che riguarda la provenienza dal pubblico ufficiale che risulta averlo formato art. 2700 c.c. . La dichiarazione dell'Avvocato Di martino di autenticazione della sottoscrizione di conferimento della procura della I. figurante sul detto atto era, infatti, riconducibile al primo comma dell'art. 2703 c.c., per quanto attiene alla provenienza dalla I. , ma, per quanto attiene alla provenienza del'autenticazione dal detto Avvocato seguiva il regime dell'atto pubblico, perché l'autenticazione del difensore ha tale natura. Ne discende che solo con una querela di falso, tendente a dimostrare di non essere autore della dichiarazione di autentica e della sottoscrizione relativa, l'Avvocato Di Martino, quale pubblico ufficiale da cui promanavano, almeno in via formale, l'una e l'altra, avrebbe potuto far valere la falsità di entrambe. Conseguentemente l'allegazione nel motivo di appello del disconoscimento tramite il fax era del tutto inidonea ad evidenziare la prospettata mancanza di jus postulandi , perché assolutamente improduttivo del preteso effetto di disconoscimento il detto fax si sarebbe dovuto ritenere. Ancora in via consequenziale obbligata sarebbe stata la risposta all'interrogativo sub b dato che nel fax il disconoscimento della sottoscrizione del ricorso era fatto conseguire come mera implicazione di quello della sottoscrizione della procura, esso si sarebbe dovuto considerare parimenti tamquam non esset . In sostanza, rileva il Collegio, le allegazioni ed il fax poste a base del motivo di appello erano palesemente inidonee a giustificarlo in iure . p.2.3.2. Ne segue che la Corte capitolina non avrebbe potuto, nell’esaminarlo, dare rilievo alla circostanza che la I. aveva prodotto solo una copia del ricorso introduttivo recante esclusivamente la sua sottoscrizione, giacché tale rilevanza supponeva che il motivo d'appello fosse astrattamente fondato in iure . Non solo siffatto modo di procedere e le conseguenze che la Corte ne ha fatto derivare si sono risolte anche nell'accollare alla I. un onere probatorio che non le incombeva, posto che avrebbe dovuto essere l'Assimoco a provare la fondatezza della sua eccezione. La Corte territoriale, dunque, avrebbe dovuto rigettare il motivo di appello sulla base del suo stesso tenore. Peraltro, per completezza ma a questo punto ad abundantiam , si deve poi considerare che dall'esame del fascicolo di parte della Assimoco e precisamente da quello del suo fascicolo di parte del giudizio di primo grado, presente nel fascicolo di parte del giudizio di appello e prodotto in esso, come da indice, emerge la presenza come documento n. 2 della copia notificata alla stessa Assimoco del ricorso della I. . A margine di esso si rinviene la presenza della procura rilasciata dalla I. all'Avvocato Di Martino con la sua sottoscrizione per autentica ed in calce al ricorso è presente la sottoscrizione del medesimo avvocato. Ebbene, in disparte che la prospettazione - come s'è veduto priva di fondamento in iure già in astratto - del motivo di appello non era stata nel senso che sull'originale del ricorso non figurava la sottoscrizione per autentica della procura e quella del ricorso stesso, ma nel senso che, avendone l'Avvocato Di Martino disconosciuto la paternità nel fax , ad esse non poteva darsi valore, con la conseguenza che non era in contestazione la presenza di esse sull'originale, ed in disparte, inoltre, che si sarebbe dovuta considerare la prospettazione del nuovo difensore Avvocato Equizi, di cui si dice nella motivazione, eventualmente domandando alla medesima la ragione della produzione della copia dell'atto introduttivo con la sola firma della I. di rilascio della procura domanda che sarebbe stata sensata, potendosi ipotizzare che il depositario dell'originale avrebbe potuto - nel caso di eventuale ritiro del fascicolo di parte di primo grado - essere lo stesso Avvocato Di Martino e che esso avrebbe potuto non essere consegnato all'Avvocato Equizi , si deve considerare - ed avrebbe dovuto farlo la Corte capitolina - che, se sulla copia notificata consegnata all'Assimoco figurava l'autenticazione della procura da parte dell'Avvocato Di Martino e la sua sottoscrizione in calce al ricorso, a fortiori l'una e l'altra dovevano esservi sull'originale, ancorché non prodotto dalla I. . Sicché la rilevanza della copia prodotta dalla medesima, già insussistente per la ragione detta poco sopra, lo diventava ancora di più. p.3. Il motivo di ricorso è conclusivamente accolto e la sentenza è cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, in diversa composizione, che considererà privo di fondamento il primo motivo di appello ed esaminerà gli altri e le prospettazioni difensive della I. su di essi. p.4. Al giudice di rinvio è rimesso di regolare all'esito le spese del giudizio di cassazione. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte d'Appello di Roma, comunque in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di cassazione.