Reiscrizione all’albo: l’avvocato cancellato non aspetta 5 anni

In presenza di una domanda di reiscrizione nell’albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via d’interpretazione analogica, l’art. 47 r.d.l. n. 1578/1933 secondo cui l’avvocato radiato dall’albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi 5 anni dal provvedimento di radiazione , in quanto la cancellazione è una sanzione meno grave della radiazione.

Lo stabiliscono le Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 10921, depositata il 19 maggio 2014. Il caso. Il Consiglio nazionale forense annullava il provvedimento di reiscrizione all’albo degli avvocati di Palermo, chiesto da un legale, che in precedenza era stato cancellato dal medesimo albo dopo una condanna penale per i reati di peculato e falso ideologico. Secondo il Consiglio Nazionale, non era trascorso dalla data della sentenza penale di condanna un periodo di tempo sufficiente a consentire la riabilitazione. Inoltre, non erano passati i 5 anni, previsti dalla legge per poter richiedere la reiscrizione, da computarsi a partire dalla data del provvedimento di cancellazione, a prescindere dal precedente periodo di sospensione cautelare sofferta. L’avvocato ricorreva in Cassazione, lamentando la violazione dell’art. 47 r.d.l. n. 1578/1933 Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore , poiché tale norma, la quale prevede che la reiscrizione nell’albo professionale di un avvocato in precedenza radiato possa avvenire solo dopo 5 anni, non sarebbe estensibile alla diversa ipotesi di cancellazione, non radiazione, del professionista dall’albo. Cancellazione non è radiazione. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che, in presenza di una domanda di reiscrizione nell’albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via d’interpretazione analogica, l’art. 47 r.d.l. n. 1578/1933, in quanto la cancellazione è una sanzione meno grave della radiazione. Il tempo decorso, comunque, può essere autonomamente valutato ai fini dell’apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata , prevista dall’art. 17 dello stesso r.d.l. per l’iscrizione nell’albo. Per questi motivi, la Corte di Cassazione accoglieva il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 13 – 20 maggio, n. 10921 Presidente Canevari – Relatore Rordorf Esposizione del fatto L'avv. B.B. , dopo esser stato cancellato dall'albo degli avvocati di Palermo a seguito di condanna penale per reati di peculato e falso ideologico, chiese ed ottenne la reiscrizione nel medesimo albo da parte locale consiglio dell'ordine. Su ricorso del Procuratore generale della Repubblica presso la Corte d'appello di Palermo, tuttavia, detto provvedimento di reiscrizione venne poi annullato dal Consiglio nazionale forense, con sentenza resa pubblica il 17 ottobre 2013. Il Consiglio nazionale forense reputò, infatti, che non fosse trascorso dalla data della sentenza penale di condanna un lasso di tempo sufficiente a consentire la riabilitazione, e che neppure fosse trascorso il termine quinquennale previsto dalla legge professionale per poter richiedere la reiscrizione nell'albo, da computarsi a partire dalla data del provvedimento di cancellazione a prescindere dal precedente periodo di sospensione cautelare sofferta. Avverso tale sentenza l'avv. B. ha proposto ricorso per cassazione articolato in tre motivi, chiedendo altresì la sospensione del provvedimento impugnato. Nessuna difesa ha svolto il Consiglio dell'Ordine degli Avvocati di Palermo. Ragioni della decisione Il ricorrente denuncia, in primo luogo, la falsa applicazione nel caso in esame dell'art. 47 del r.d.l. n. 1578 del 1933, giacché tale norma, la quale prevede che la reiscrizione nell'albo professionale di un avvocato in precedenza radiato possa avvenire solo dopo cinque anni, non è estensibile alla diversa ipotesi del professionista non già radiato, bensì cancellato da detto albo. In secondo luogo rileva come sia errato anche il riferimento dell'impugnata sentenza al termine entro cui è possibile richiedere la riabilitazione penale ridotto da cinque a tre anni per effetto della modifica apportata all'art. 179 c.p. dall'art. 3, comma 1, lett. a, della legge n. 145 del 2004 . Infine insiste nel sostenere che, ove il professionista abbia sofferto un periodo di sospensione cautelare dall'albo prima di essere radiato, il computo del termine che deve decorrere perché possa chiedersi la reiscrizione va fatto partire dalla data della predetta sospensione. Il primo motivo di ricorso è fondato. È stato infatti già chiarito da questa corte che, in presenza di una domanda di reiscrizione nell'albo degli avvocati di colui che abbia in precedenza subito la sanzione disciplinare della cancellazione, non trova applicazione, in via d'interpretazione analogica, l'art. 47 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 - secondo cui l'avvocato radiato dall'albo non può esservi nuovamente iscritto prima che siano trascorsi cinque anni dal provvedimento di radiazione - in quanto la cancellazione è sanzione meno grave della radiazione, ancorché il tempo decorso possa essere autonomamente valutato ai fini dell'apprezzamento della sussistenza del requisito della condotta specchiatissima ed illibata”, che l'art. 17 del medesimo decreto richiede per l'iscrizione nell'albo sez. un. 12 dicembre 2012, n. 22785, e 12 maggio 2008, n. 11653 . Da tale principio non v'è motivo di discostarsi e, giacché l'impugnata sentenza non ne ha invece tenuto conto, essa deve essere cassata sotto questo profilo, con conseguente rinvio al Consiglio nazionale forense perché riesamini la vertenza alla luce di detto principio. I rimanenti motivi di ricorso restano assorbiti, al pari dell'istanza di sospensione. Sussistono giusti motivi per la compensazione delle spese del presente giudizio di legittimità, non avendo il Consiglio dell'ordine degli Avvocati di Palermo in alcun modo contrastato l'iniziativa del ricorrente. P.Q.M. La corte accoglie il primo motivo di ricorso, con assorbimento degli altri, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa al Consiglio nazionale forense compensando tra le parti le spese del giudizio di legittimità.